Ormai si può parlare apertamente di «Cop flop»
Fino a pochi mesi fa la Cop26 era vista come l’appuntamento cruciale per dare scacco al cambiamento climatico. Sul tema sembrava esserci finalmente un ampio consenso a livello internazionale e la presenza di Joe Biden alla Casa Bianca, al posto del “negazionista” Donald Trump, pareva l’ennesimo segnale che questa volta tutto sarebbe andato secondo i piani. Invece, per l’ennesima volta, a una settimana dall’apertura del vertice di Glasgow si parla di «Cop flop».
Xi Jinping salterà la Cop26
Il colpo di grazia al summit climatico lo hanno dato i soliti noti. Il primo ad annunciare che non si farà vedere in Scozia è stato il presidente Xi Jinping, leader del paese che emette più CO2 al mondo. Inutile dire che senza la Cina (responsabile del 30% delle emissioni globali) ogni tentativo di raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sarà vano.
L’assenza del leader cinese ha fornito il pretesto perfetto ad altri “principi” dell’inquinamento per marcare visita: non ci saranno né il russo Vladimir Putin né il brasiliano Jair Bolsonaro e non hanno ancora confermato la loro presenza i vertici di Messico, Sudafrica e Giappone. I primi due hanno addotto come motivazione il peggioramento delle condizioni pandemiche nel Regno Unito. Ma tutti sanno che cosa nasconde questa piccola foglia di fico: la mancanza di volontà di impegnarsi ulteriormente a ridurre le emissioni.
Il vertice di Glasgow parte malissimo
«Se i leader mondiali scelgono di non partecipare, a prescindere dal motivo, questo segnala chiaramente che il clima semplicemente non è in cima alla loro lista delle priorità», ha dichiarato alla Cnn Mark Lynas, esperto e sostenitore della tesi secondo la quale la Cop26 è la nostra «ultima possibilità» per centrare gli obiettivi di Parigi e cioè limitare l’aumento del riscaldamento globale a 1,5 gradi.
L’assenza dei grandi leader in Scozia è solo l’ultimo segnale del fallimento anticipato della Cop26. Dei primi dieci paesi per emissioni di CO2, soltanto quattro hanno migliorato i propri impegni climatici. All’orizzonte non sembra neanche esserci consenso sul grande nodo di ogni vertice: lo stanziamento da parte dei paesi ricchi di ingenti risorse a fondo perduto per permettere la transizione ecologica degli Stati in via di sviluppo. Questi ultimi chiedono 750 miliardi all’anno, i primi non riescono a garantirne neanche 100.
La Cina è sempre meno green
A prescindere da ciò che verrà deciso e sbandierato probabilmente come successo di facciata alla Cop26, preoccupa l’atteggiamento della Cina. Pechino ha appena dichiarato, come promessa aggiuntiva rispetto al 2015, che entro il 2060 ridurrà a meno del 20% l’utilizzo di combustibili fossili. Ma sono promesse lontane, facilmente rivedibili nel tempo, che non hanno alcun impatto nell’immediato.
A conferma dell’ambiguità della Cina, pesa la decisione del governo di aumentare l’estrazione e l’utilizzo del carbone per far fronte alla crisi energetica del paese. Come spiegato dalla Xinhua, la nuova politica ambientale del regime prevede «la gestione del rapporto tra riduzione dell’inquinamento, riduzione del carbone e sicurezza energetica, filiera industriale, sicurezza alimentare». La riduzione delle emissioni, cioè, non deve intaccare «la vita normale delle persone».
Una dichiarazione d’intenti che fa a pugni con la richiesta di «sacrifici» che arriva dalle piazze frequentate da Greta Thunberg e dagli stessi promotori della Cop26.
Biden debole, resta solo l’Ue
Se la Cina (insieme a Russia, Brasile, India e Giappone) si defila, anche gli Stati Uniti di Biden non sembrano sulla buona strada. Come riportato pochi giorni fa dal Corriere, infatti, «il presidente sarebbe ormai pronto a ridimensionare la manovra da 3.500 miliardi, stralciando una parte consistente degli investimenti sull’energia pulita». Alle prese con i rincari dell’energia, come rivelato da Politico, Biden avrebbe perfino convocato i grandi responsabili dell’industria del petrolio e del gas, chiedendo loro di aumentare la produzione. Un’iniziativa molto poco green e che mal si addice a chi ha fatto della lotta al cambiamento climatico una delle proprie bandiere.
Davanti al fuggi fuggi generale, l’unica potenza fermamente impegnata nella lotta al global warming resta l’Unione Europea. Quella di Bruxelles purtroppo appare come una corsa solitaria, troppo per avere un impatto concreto. E se l’Ue non troverà validi alleati rischierà soltanto di danneggiare la propria economia senza beneficiare in alcun modo l’ambiente.
Foto Ansa
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