Cina, il "metodo Trump" funziona. Dopo i dazi, applichiamolo ai diritti umani

Di Leone Grotti
22 Maggio 2018
Potrebbe essere già finita la guerra dei dazi, a riprova che l'unico modo per trattare con il governo comunista è fare la voce grossa. Se la Germania vuole davvero salvare Liu Xia, deve copiare l'odiato tycoon.
In this photo provided by the Shenyang Municipal Information Office, Liu Xia, center, wife of jailed Nobel Peace Prize winner and Chinese dissident Liu Xiaobo, holds a portrait of him during his funeral at a funeral parlor in Shenyang in northeastern China's Liaoning Province, Saturday, July 15, 2017. China says the body of Liu Xiaobo, who died this week after a battle with liver cancer, has been cremated. The government of the city of Shenyang in northeastern China, where Liu was treated, said in a briefing that the cremation took place Saturday morning in a ceremony attended by family and friends. (Shenyang Municipal Information Office via AP)

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Doveva essere uno scontro epocale che avrebbe cambiato per sempre i rapporti economici tra nazioni in tutto il mondo, invece la guerra dei dazi sembra già finita. Stati Uniti e Cina hanno concordato di «prendere misure efficaci per ridurre in modo sostanziale il deficit degli Usa nel commercio» con il Dragone. Dopo giorni di trattative tra delegazioni ai massimi livelli a Washington, è stata rilasciata una dichiarazione congiunta sino-americana che lascia ben sperare.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”] SOSPESI I DAZI. Pechino è famosa per non mantenere le promesse e gli annunci (il recente caso degli uiguri rinchiusi nei centri di rieducazione attraverso il lavoro insegna), quindi bisogna prendere con le molle le dichiarazioni di questi giorni. Usa e Cina hanno però sospeso i dazi da centinaia di miliardi di dollari applicati sulle rispettive merci. Inoltre, per ridurre il surplus commerciale che il Dragone vanta nei confronti degli Stati Uniti (375 miliardi circa), la Cina ha promesso di acquistare più merci americane (e di conseguenza meno merci europee) e di approvare leggi e regolamenti per tutelare la proprietà intellettuale.

IL “METODO TRUMP”. Magari il deficit commerciale americano verso la Cina non si ridurrà di 200 miliardi di dollari, come annunciato trionfalmente e prematuramente dall’amministrazione Trump pochi giorni fa, resta però un dato politico: la scelta del tycoon di fare la voce grossa con Pechino, approvando misure impensabili (il ritorno ai dazi) nel panorama economico mondiale, ha dato i suoi frutti. Trump ha costretto il governo comunista a sedersi al tavolo per trattare e anche se gli Usa otterranno meno di quanto annunciato in questi giorni, il leader repubblicano ha dimostrato al mondo che a volte è necessario rischiare di andare allo scontro, magari anche rimettendoci, per far rientrare nei ranghi la seconda potenza economica mondiale.

SALVIAMO LIU XIA. Sarebbe ora che il “metodo Trump” venisse applicato anche ai diritti umani. Tutto il mondo si è commosso ascoltando poche settimane fa la voce disperata di Liu Xia – moglie del defunto premio Nobel lasciato morire in prigione Liu Xiaobo -, agli arresti domiciliari dal 2010, nonostante non vi sia alcuna accusa formale contro di lei. La poetessa minaccia di lasciarsi morire se non le verrà restituita la libertà. Un gruppo di premi Nobel ha lanciato un appello pubblico per chiedere al regime di rilasciarla, ma Pechino ha fatto spallucce ignorando la richiesta.
L’EMPATIA TEDESCA. La Germania si è già detta disponibile ad accogliere Liu Xia. Da anni Berlino dimostra un’encomiabile empatia nei confronti della donna e del marito defunto. Mentre il partito comunista lasciava morire di cancro Liu Xiaobo, impedendo le cure, il governo tedesco aveva chiesto a Pechino di permettere ai due di espatriare. Invano. Ora rinnova la richiesta alla Cina di lasciare andare almeno Liu Xia, ma il regime da quell’orecchio non ci sente.
IL CASO G20. La Germania dovrebbe utilizzare il “metodo Trump” e non accontentarsi di fare bella figura agli occhi del mondo, facendo finta di avere cuore la vicenda della donna perseguitata ma senza mettere davvero in gioco i propri interessi. Nel luglio scorso, quando la vita di Liu Xiaobo era appesa un filo, Angela Merkel si disse «preoccupata» per il suo caso. Ma quando il presidente Xi Jinping si presentò al G20 di Amburgo, lo stesso mese, non sollevò neanche il problema, se non (forse) in privato per non infastidire il leader cinese. Ovviamente non ha ottenuto nulla, in compenso ha firmato ricchi accordi commerciali.
LE PAROLE NON BASTANO. In questi giorni la cancelliera torna in Cina per l’11ma volta dal 2005 e nonostante sia preoccupata dall’arroganza commerciale cinese tanto quanto gli Stati Uniti, sembra che non alzerà la voce, limitandosi a firmare altre ricche partnership industriali prestando il fianco a Pechino per l’ennesima volta. Magari rinnoverà l’appello per liberare Liu Xia, ma non servirà a niente. Con il Dragone bisogna rischiare e sfidarlo a viso aperto, se si vuole ottenere qualcosa. Trump insegna, ma al presidente americano di Liu Xia importa poco o nulla. Se Merkel vuole continuare a rivendicare la sua diversità antropologica, agisca con i fatti. Farsi belli con i diritti umani, solo a parole, non serve a niente.

@LeoneGrotti


Foto Ansa

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