
Case green, servono 1.000 miliardi. «L’impatto sociale sarà enorme»

La direttiva sull’efficienza energetica degli edifici (“Case green”) entrerà in vigore il 28 maggio e secondo un’analisi di Deloitte per raggiungere gli obiettivi imposti dall’Unione Europea «all’Italia serviranno tra gli 800 e i 1000 miliardi di euro»: una cifra mostruosa, pari a tre Pnrr. Lo scopo della direttiva europea è raggiungere un parco edifici neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050.
Oltre il 60% dei 13 milioni di immobili presenti nel nostro paese sono in classe energetica F e G. Per questo, secondo una stima Fillea-Cgil, nel giro di dieci anni sarà necessario riqualificare 500 mila edifici pubblici e 5 milioni di edifici privati per rientrare nei primi paletti fissati dall’Ue. «Per capire quanto sia complicato raggiungere questi obiettivi», spiega in un’intervista a Tempi Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, «basta pensare che in tre anni con il Superbonus a fronte di 200 miliardi di investimenti abbiamo ristrutturato appena lo 0,5% degli immobili in Italia, poco meno di 500 mila edifici. È chiaro che cosa significa?».
Che gli obiettivi sono irrealizzabili per il nostro paese?
Questo dipende sempre da quanto si vuole investire, ma è evidente che appare tutto molto complesso. È una direttiva che solleva tante domande.
Quali?
Innanzitutto bisogna chiedersi se ha davvero senso fare dell’efficientamento energetico degli edifici la priorità delle priorità. La direttiva si riferisce a tutti gli immobili, a prescindere da dove si trovino. Ma è chiaro che se l’obiettivo è ridurre le emissioni di CO2, la posizione di un edificio fa la differenza. Se si trova in una regione dove il clima è mite, per cui l’immobile non ha bisogno di un grande dispendio energetico per il riscaldamento e il raffreddamento, si rischia di produrre più emissioni per fare i lavori e per produrre i materiali di quello che si risparmia in mancate emissioni di CO2. Lo stesso ragionamento vale per le seconde case: se in un immobile non ci vado d’inverno, la spesa per la riqualificazione potrebbe rivelarsi inutile.
Il gioco quindi non vale la candela?
Dipende sempre dall’approccio. Il piano nazionale integrato per l’energia e il clima italiano, in linea con le direttive dell’Unione Europea, prevede che nel 2030 il 65% dell’energia elettrica derivi da fonti rinnovabili. Questo significa che la maggior parte dell’energia che andremo a consumare sarà pulita: quindi, anche se consumo più energia, non produco più emissioni. Il singolo cittadino pagherà di più, ma non ci saranno effetti negativi per il pianeta, se la vogliamo mettere in questi termini. La conseguenza è che l’efficientamento degli edifici avrà effetti benefici sul clima a breve e medio termine, ma più passa il tempo più i vantaggi saranno ridotti.
Rischiamo di spendere ingenti risorse per niente?
Esattamente. Intanto, però, l’introduzione di questi nuovi obblighi avrà conseguenze significative sul valore degli edifici. Già oggi se prendiamo due immobili identici in una stessa zona, quello in classe energetica migliore costa il 25% in più. Domani la divaricazione dei prezzi sarà ancora più marcata e questo porterà a forti disparità sociali: ci dirigiamo verso un mondo dove i ricchi vivranno in case efficienti e i poveri saranno ancora più penalizzati.
L’Unione Europea sostiene che la direttiva “Case green” farà bene sia all’ambiente che all’economia.
Peccato che non sia così. Se fosse vero, se convenisse anche dal punto di vista economico fare questi interventi, non ci sarebbe bisogno di incentivi e sussidi. Bruxelles si gira dall’altra parte, ma l’impatto sociale ci sarà, eccome.
La posizione dell’Ue è troppo talebana quando si occupa di ambiente?
Il vero problema, a mio avviso, è che l’Ue è radicale solo quando vuole. Da un lato dice che ridurre le emissioni di CO2 è la più grande delle priorità, dall’altro però tratta una fonte pulita come l’energia nucleare come uno strumento di serie B per raggiungere lo scopo. Se bisogna assolutamente ridurre le emissioni, perché si vieta il nucleare? Verrebbe da pensare che il taglio delle emissioni non è la priorità numero uno, ma allora per che cosa stiamo facendo tutti questi sacrifici?
Tornando alle case, tra quattro giorni la direttiva sarà legge: dove troviamo 800-1.000 miliardi?
I luoghi dove prendere le risorse sono sempre gli stessi: o nelle nostre tasche o in quelle degli altri. E poiché nessun cittadino farà mai interventi onerosi che non portano a risparmi tali da giustificare l’investimento, sarà necessario obbligarli. E lo Stato dovrà per forza introdurre degli incentivi.
La lezione del Superbonus, però, invita a essere cauti.
Noi abbiamo speso troppo e in troppo poco tempo per rifare un numero limitato di edifici, spesso a vantaggio di persone facoltose che non avevano bisogno di aiuti e ora ci ritroviamo con conti pubblici insostenibili. Servirà quindi un approccio molto più flessibile e oculato. Gli aiuti dovranno variare a seconda della condizione economica dei beneficiari: molti incentivi a chi ha redditi medio-bassi, pochi a chi non ne ha bisogno. Resta comunque la domanda di fondo.
Quale?
Ha davvero senso obbligare il sistema economico di un intero paese a investire risorse private e pubbliche nella riqualificazione energetica degli edifici?
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