Campiglio: la vera equità tiene conto dei redditi e della famiglia – RS
“«Dopo il Fondo salva-Stati servirebbe un Fondo salva-famiglie, perché i costi economici e sociali ai quali i nuclei familiari andranno incontro saranno molto alti. Tali da far saltare alcuni equilibri già precari». Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica alla Cattolica di Milano, considera questa manovra obbligata – dopo 30 anni di errori e riforme mancate – e in larga parte condivisibile. Ma al tempo stesso assai preoccupante nei suoi effetti sulla condizione reale delle famiglie italiane” (Avvenire, p. 3).
Secondo Campiglio la manovra era inevitabile ma non è affatto equa. “«Non è in questione una singola misura, ma le modalità e il quadro complessivo. Di per sé un’imposizione sull’abitazione principale può essere giusta e utile. Ma andrebbe rapportata al reddito, perché, ad esempio, molti pensionati vivono in un’abitazione, magari ampia essendo quella nella quale hanno cresciuto i figli, ma ora dispongono di assegni previdenziali modesti e faranno fatica a pagare»”. E ancora: “«È chiaro che le famiglie con figli, in particolare con più figli, hanno necessità di maggiore spazio abitativo. Anche per questo dico che non si può parlare di equità se non si tiene conto della famiglia che è la dimensione base dell’equità. E non capisco cosa voglia dire equità se non c’è una stretta connessione con i principi costituzionali della capacità contributiva, della progressività, del sostegno alle famiglie»” (Avvenire, p. 3).
Anche l’aumento dell’Iva, che dovrebbe essere alzata di due punti per salvare le detrazioni fiscali, non è una buona idea per Campiglio: “«Questo sarà dolorosissimo. Per salvare detrazioni, già di per sé insufficienti, rischiamo di farci doppiamente male. L’aumento dell’Iva, infatti, si scaricherà sui prezzi generando inflazione. In uno studio che ho appena condotto ho verificato come le famiglie del decile più basso di consumi, quelle più modeste, subiscano l’aumento dei prezzi assai più delle famiglie del decile di consumi più alti, le più ricche. E questo perché spendono per beni di prima necessità e ad alta frequenza di acquisto sui quali non ci sono prezzi elastici o grandi sconti. E questo senza considerare che con il blocco degli adeguamenti calerà il potere d’acquisto dei pensionati sopra i 1.000 euro. Sul piano generale, poi, dall’avvento dell’euro l’Italia ha registrato un incremento dei prezzi superiore dell’8% rispetto alla Germania e del 5% nei confronti della Francia. Un ulteriore aumento dell’Iva porterà questo divario ad ampliarsi, ai danni della nostra competitività e quindi della crescita economica»” (Avvenire, p. 3).
Bene le «misure sull’Irap e sugli incentivi per le assunzioni di donne e giovani», però “«bisogna prendere di petto la questione degli scarsi investimenti esteri in Italia. In rapporto al Pil sono appena il 20% contro il 40% della Germania. Eppure, il costo orario del lavoro da noi è più basso, perché allora le imprese estere non investono in Italia? Probabilmente perché non si fidano, temono i tempi della nostra giustizia, la farraginosità delle nostre regole»” (Avvenire, p. 3).
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