Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
L’altro giorno quando i vecchi inglesi e quelli più poveri, intervistati, dicevano: «Io voglio essere inglese, non europeo», esprimevano un sentimento amaro. Non c’era orgoglio, ma quasi il dovere di salvarsi. Noi tutti per tanti anni abbiamo pensato di essere europei come a una speranza. Europei: cioè più liberi, senza paura del comunismo; senza paura della miseria. Con la possibilità di essere forti come gli americani e come i russi, e non più un Bel Paese piccolo, un’Italietta insomma.
Ma adesso dire “io sono europeo” vuol dire “sono tedesco”. Anzi: “Comandano i tedeschi”. Questo è il sentimento popolare. A torto o meno, questo è ciò che percepiscono le persone. Il fatto è che hanno pure ragione. Perché è vero. La Germania ha usato la sua forza e la debolezza degli altri per trasformarci in sue colonie. Sia chiaro: non è colpa dei tedeschi, loro sono sempre stati così, dai tempi in cui avevano il chiodo sopra l’elmo. Siamo noi italiani e francesi (parlo degli altri due popoli che hanno più voluto prima il Mercato comune europeo e poi l’Unione), noi e il nostro modo di votare ad avere colpa.
Prima, durante gli anni del Partito comunista più forte dell’Occidente, il nostro europeismo era indebolito dai vari Napolitano e Ingrao che preferivano i carri armati sovietici a Budapest e si opponevano alla libertà dei rivoltosi ungheresi i quali volevano essere Occidente ed Europa. Poi quando negli anni Novanta, in piena Tangentopoli, ci siamo inchinati al capitalismo finanziario che ha imposto privatizzazioni suicide all’Italia regalando banche e imprese ai forestieri e alle solite famiglie Agnelli-De Benedetti eccetera. Infine con la sottomissione vergognosa voluta dal Quirinale e dal Pd alla volontà franco-tedesca di cacciare Berlusconi e il suo legittimo governo sostituendolo con tre premier non eletti da nessuno. Quando non si ha la forza della democrazia si è deboli, si è sottomessi.
Ora che si tratta di fare? Uscire dall’Europa ci consegnerebbe all’Africa. Non siamo la Gran Bretagna che è socia dell’America. Noi ci toccherebbe farci soci della Tunisia e del Marocco. Si tratta piuttosto di rinegoziare tutto. Con vigore. L’Italia è e resta una potenza storica, culturale e manifatturiera. La Germania e la Francia hanno bisogno di buoni rapporti con noi. Ma senza un governo che abbia un mandato che vada ben oltre i confini ormai lillipuziani del renzismo, otterremo belle parole e una bottiglia di gazzosa spumeggiante di niente.
Le dimissioni di Renzi sul piatto
Occorrerebbe subito che Renzi mettesse nel piatto le sue dimissioni, come Cameron, acquistando paradossalmente un peso drammatico nei vertici europei, mentre a Roma Mattarella proponesse un governo di unità nazionale che indìca elezioni rapidamente sulla base dell’Italicum più o meno corretto allargato al Senato, e con un accordo di tutti i partiti per annullare con un bel no questa riforma costituzionale del menga, che ci fa risparmiare 41 milioni (non miliardi, ma milioni) all’anno e ci porta via la democrazia.
Intanto Renzi chieda e ottenga il mandato dal parlamento perché, come da anni chiede Brunetta, la Germania metta in atto subito una politica che tagli il suo enorme surplus commerciale di 300 miliardi di euro l’anno usato per conquistarci invece che per far star meglio il suo popolo allargando i cordoni della borsa e consentendogli di acquistare le merci degli altri paesi europei. Altrimenti, al diavolo, meglio liberi in Africa che schiavi della Germania.
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