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Veglie per i «martiri contemporanei». Cinque grandi testimonianze di cristiani perseguitati oggi (non nei primi secoli)

Dall'«infedele ostinato» di tre anni gettato nel fuoco da Boko Haram al gesuita che in Siria ha dato la vita per cristiani e musulmani, fino alla donna irachena che non ha abiurato davanti alla spada dell'Isis

Leone Grotti
23/05/2015 - 4:30
Chiesa
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«Ci sono più martiri nella Chiesa oggi che nei primi secoli». Lo ha detto papa Francesco, destando scalpore, ma basta aprire un qualunque giornale per rendersi conto che è proprio così. Consideriamo solo gli ultimi mesi: i 147 studenti kenyoti trucidati nel campus universitario di Garissa da Al Shabaab, i 21 egiziani sgozzati in Libia dallo Stato islamico, le centinaia di vittime senza nome massacrate da Boko Haram in Nigeria, le decine cadute sotto i colpi di mortaio dei ribelli ad Aleppo, in Siria, i 22 fedeli uccisi a Youhanabad (Pakistan) mentre pregavano in chiesa, solo per ricordare i casi più eclatanti.

È impossibile citarli tutti, ma la persecuzione dei cristiani impera ogni giorno anche in paesi lontani, e di cui si parla pochissimo, come Cina, Laos, Indonesia, Vietnam, Corea del Nord. Stasera la Conferenza episcopale italiana ha chiesto che la Veglia di Pentecoste venga dedicata a tutti i «martiri nostri contemporanei». Una veglia si svolgerà in tutte le diocesi «d’Italia e del mondo» che vorranno aderire. L’obiettivo, come ricordato dal Papa, è «ricordare tanti fratelli e sorelle esiliati o uccisi per il solo fatto di essere cristiani. Sono martiri. Auspico che tale momento di preghiera accresca la consapevolezza che la libertà religiosa è un diritto umano inalienabile, aumenti la sensibilizzazione sul dramma dei cristiani perseguitati nel nostro tempo e che si ponga fine a questo inaccettabile crimine». Noi vogliamo ricordare cinque storie di cristiani perseguitati, avvenute nell’ultimo anno in cinque diversi paesi: Pakistan, Nigeria, Siria, Iraq e Centrafrica.

pakistan-arsi-viviPAKISTAN. SHEHZAD MASIH E SHAMA BIBI, BRUCIATI VIVI
Era il 4 novembre 2014 quando Shehzad e Shama sono stati presi da una folla di almeno 400 musulmani, picchiati con bastoni, legati con una corda a un trattore, trascinati lungo una strada piena di pietre e sassi, cosparsi di benzina e gettati in una fornace per cuocere i mattoni, dove sono bruciati vivi. La coppia cristiana, che lavorava in una fabbrica di mattoni nel villaggio Chak 59, aveva quattro figli. Shama (che era incinta di quattro mesi) è stata accusata di blasfemia per aver bruciato una pagina del Corano. Per questo un gruppo di estremisti ha ordinato loro di pentirsi e convertirsi all’islam. Quando i due cristiani si sono rifiutati, tre imam dei villaggi vicini hanno radunato tutti i musulmani con gli altoparlanti posti sui minareti delle moschee incitandoli alla vendetta. Una folla inferocita «con gli occhi iniettati di sangue», secondo i testimoni, li ha presi e li ha bruciati vivi. Tre imam e 106 persone sono state denunciate per l’omicidio. Il capo del distretto di polizia di Kasur ha dichiarato: «Shama non ha mai commesso blasfemia».

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SIRIA. VAN DER LUGT E LA SUA TOMBA DIVENTATA SANTUARIO
Padre Frans van der Lugt
, 76 anni, da quasi 50 in Siria, è stato assassinato il 7 aprile 2014. Viveva nella città vecchia di Homs, sconvolta dalla guerra e in mano ai ribelli. Nonostante i consigli dei superiori, non aveva mai voluto lasciare il suo popolo da solo. «Sono l’unico sacerdote rimasto. Qui c’erano decine di migliaia di cristiani, ora appena 66. Come potevo lasciarli soli? Il popolo siriano mi ha dato così tanto, tutto quello che aveva. E se ora la gente soffre, io voglio condividere il loro dolore e le loro difficoltà».
Era rispettato sia dai cristiani che dai musulmani, perché aiutava tutti. Quando la crisi è cominciata, «cinque famiglie musulmane si sono trasferite nel suo monastero e lui si è preso cura di loro», ricordano i suoi amici. «Diceva sempre: “Io non vedo cristiani o musulmani, ma esseri umani”». Ma ai terroristi islamici, padre Frans non andava a genio: «Diceva sempre che era padre sia dei cristiani sia dei musulmani. Molte volte i ribelli lo hanno condotto davanti alla corte della sharia per discutere delle sue credenze, ma lui si rifiutava. Diceva: “Non parlerò con voi di politica o religione. Siamo tutti esseri umani. Parlerò solo di umanità”».
Il 7 aprile, due uomini armati e mascherati sono entrati nel monastero dove viveva, dopo aver sopraffatto la resistenza del guardiano. Non hanno fatto fatica, perché il missionario diceva sempre: «Accolgo tutti. Chiunque entri dalla mia porta è il benvenuto». Lo hanno trascinato fuori, lo hanno colpito al volto, gli hanno sparato due colpi alla testa e se ne sono andati. Oggi la sua tomba, nella città vecchia di Homs, «è diventata un santuario, meta di pellegrinaggio per i cristiani che sono tornati in questo quartiere devastato».

nigeria-hassanNIGERIA. HASSAN, L’«INFEDELE OSTINATO» DI TRE ANNI
Domenica 23 novembre i terroristi islamici di Boko Haram hanno attaccato per la seconda volta il villaggio cristiano di Attagara, nel nord della Nigeria. Appena li ha visti arrivare, Hassan, bambino cristiano di appena tre anni, è scappato ma i miliziani l’hanno bloccato. Gli hanno ordinato di consegnare la Bibbia che teneva in mano, ma lui si è rifiutato. Allora gliel’hanno strappata di mano e l’hanno gettata in un rogo acceso lì vicino. Hassan è corso vicino al fuoco per recuperarla con un bastone e un membro di Boko Haram, per impedirglielo, l’ha colpito alla testa con il calcio del kalashnikov e l’ha spinto dentro il fuoco.
Racconta un testimone: «Non soddisfatto, gli ha calpestato la testa con lo stivale per premerlo dentro le fiamme, mentre gli altri miliziani insultavano il bambino chiamandolo “infedele ostinato”». Hassan ha riportato gravi ustioni al volto ma è sopravvissuto.

khiria-cristiana-iraq-profughi-stato-islamicoIRAQ. KHIRIA, CHE DAVANTI ALL’ISIS NON HA ABIURATO
«Sono nata cristiana e se per questo dovrò morire, preferisco morire cristiana». Così Khiria Al-Kas Isaac, 54 anni, cristiana irachena di Qaraqosh, fuggita dallo Stato islamico in Kurdistan, ha risposto agli islamisti che volevano costringerla ad abiurare. Quando il 7 agosto lo Stato islamico è entrato in città, le hanno subito ordinato di convertirsi e quando lei si è rifiutata, l’hanno imprigionata per 10 giorni insieme ad altre 46 donne. Tutte venivano frustate «ma nessuna si è convertita».
Lei affrontava così i terroristi: «Ho risposto loro che preferivo morire cristiana e poi ho citato il Vangelo di san Matteo (10,33). Gesù disse: “Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”». Un giorno, frustandola, le hanno detto: «Convertiti o ti farò ancora più male». E Khiria: «Sono una donna vecchia e malata. Non ho figlie o figli che possano incrementare il numero dei musulmani o seguirvi, che vantaggio ne avrete se mi convertirò?».
L’ultimo giorno prima di liberarla «un terrorista mi ha premuto la spada sul collo davanti a tutte le altre e mi ha detto: “Convertiti o sarai decapitata”. Io gli ho risposto: “Sarò felice di essere una martire”». Khiria è stata allora derubata di tutto quello che aveva, compresi i soldi messi da parte per un’operazione al rene, e rilasciata. Il 4 settembre le è stato permesso di scappare e ha così potuto raggiungere gli altri sfollati cristiani ad Ankawa, insieme al marito e due altre donne.

centrafrica-padre-fagba

CENTRAFRICA, I SACERDOTI PERSEGUITATI PER AIUTARE I MUSULMANI
I muri della chiesa e della parrocchia di San Pietro a Boali, in Centrafrica, sono pieni di fori di proiettile. Tutti hanno cercato di sparare contro padre Xavier Fagba: prima gli islamisti perché difendeva i cristiani, poi gli animisti perché difendeva i musulmani, a dimostrazione di quanto è complessa la guerra civile che ha sconvolto il paese nel marzo del 2013 e che non è ancora finita. Di notte riceve telefonate al cellulare: viene minacciato di morte. Ma non gli importa. Nella sua chiesa ospita e dà da mangiare a 650 musulmani. «È giunto il momento per gli uomini di buona volontà di alzarsi in piedi e mostrare la forza e la qualità della loro fede», ha dichiarato nel febbraio 2014. I musulmani li è andati a prendere lui, casa per casa, per impedire che venissero uccisi dagli anti-balaka: «Non avevo un piano – racconta – Ho solo pensato: “Qui ci sono dei fratelli in difficoltà, hanno bisogno di aiuto”. Io sono andato a darglielo come pastore e come cristiano. L’ho fatto in nome della mia fede».
A Carnot, davanti alla chiesa di padre Justin Nary, sono stati portati più di 40 litri di gasolio: appena i soldati se ne andranno, gli anti-balaka bruceranno la sua chiesa, dove sono protetti più di 800 musulmani. «Camminando per la città mi hanno puntato la pistola alla tempia già quattro volte», racconta, mentre si prende cura di questo gregge insolito. I musulmani non si aspettavano di essere accolti: «Senza la Chiesa sarei morto. Non pensavo che avrei mai pregato e vissuto in una chiesa», afferma Marafa Abdulhamane, 73 anni. Si accoda Mahmoud Laminou: «Se non fosse per la Chiesa cattolica e per i militari ora saremmo tutti morti».

@LeoneGrotti

Foto van der Lugt Ansa

Tags: ChiesaCinaCristiani PerseguitatiGarissaIraqIsisIslamlaosmartiriNigeriaPakistanPapa FrancescoSiriaStato IslamicoTerrorismo Islamicoveglia pentecoste
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