Sud Sudan, riprende la «guerra assurda». Un milione di sfollati «senza cibo né medicine. Gli eserciti distruggono tutto»
«I ribelli sono tornati a sparare, penso che abbiano ripreso il controllo della loro zona. Ora temiamo che i combattimenti ricomincino come nei mesi scorsi». È molto preoccupato padre Daniele Moschetti, superiore provinciale dei comboniani in Sud Sudan, dove i ribelli fedeli a Riek Machar hanno violato il cessate il fuoco cercando di riprendere il loro ex quartiere generale nella città di Nasir, nell’Alto Nilo, nel nord del paese.
SOLDATI INCONTROLLABILI. In sette mesi la guerra tra l’esercito regolare del presidente Salva Kiir e l’Armata bianca dei ribelli dell’ex vicepresidente deposto Riek Machar ha già fatto almeno 16 mila morti. «Uno dei grandi problemi dell’accordo siglato a maggio – dichiara il missionario a tempi.it – è che l’Armata bianca è un’accozzaglia di persone e non tutti rispondono a Machar. Inoltre c’è il discorso tribale che infiamma gli animi». Gli uomini di Kiir sono di etnia Dinka e attaccano principalmente l’etnia Nuer, fedele a Machar, e viceversa.
«MANCA IL CIBO». Nel paese ci sono più di un milione di sfollati, oltre a «300 mila persone in paesi all’estero», che fanno sempre più fatica a sopravvivere: «Manca il cibo, fa caldissimo e con la stagione delle piogge la gente vive in stagni e acquitrini, con il rischio di contrarre malattie», continua padre Moschetti. «Ora che ci sono nuove notizie di scontri, la gente tornerà a rifugiarsi nelle foreste per non essere uccisa ma là non hanno niente e nessuno si preoccupa della popolazione».
«GUERRA ASSURDA». I leader Machar e Kiir, infatti, «pensano solo al potere e a conquistare risorse e posizioni. Tutti dicono di voler dialogare ma poi non sono disposti al compromesso e allora è difficile che si fermi questa guerra assurda. Questa situazione la paga la gente comune perché gli eserciti distruggono tutto: case, scuole e ospedali e ora non si trovano più medicinali né medici».
ANNIVERSARIO DELL’INDIPENDENZA. Il 9 luglio scorso il paese ha celebrato il terzo anniversario della sua indipendenza dal Sudan, in un clima che non ha niente di festoso: «Il presidente ha detto molte belle parole – conferma padre Moschetti – ma servono fatti. Non ci sono prospettive, ma solo il fiorire delle armi e con quelle non si va da nessuna parte. La Chiesa sta facendo quello che può per aiutare la popolazione: rispondiamo ai bisogni che incontriamo, soprattutto cerchiamo di essere segni di speranza per la gente, che ne ha bisogno. A loro serve qualcuno su cui contare e bisogna guardare avanti, perché non c’è altra via».
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