Mons. Carlassare: «Il mio Natale di riconciliazione e pace in Sud Sudan»

Di Flavio Zeni
18 Dicembre 2022
Intervista al vescovo di Rumbek, ora nel paese africano dopo il periodo di convalescenza in seguito all'attentato. «Il miracolo della vita si ripete ogni giorno dove c'è un cuore che impara ad amare»
Padre Christian Carlassare, vescovo della diocesi di Rumbek (Sud Sudan)
Padre Christian Carlassare, vescovo della diocesi di Rumbek (Sud Sudan)

Duecentomila cristiani, pari ad un sesto della popolazione nella diocesi grande come l’intero Nord Est italiano, con 16 parrocchie, 9 sacerdoti diocesani e 3 diaconi, di cui 6, la metà, ordinati il 20 novembre scorso, che almeno una volta all’anno riescono a raggiungere anche i fedeli più lontani. È la diocesi di Rumbek, nell’area centrale del Sud Sudan, che dal 25 marzo scorso, dopo 11 anni dalla morte dell’ultimo vescovo, l’indimenticato don Cesare Mazzolari, è guidata dal vescovo Christian Carlassare, sacerdote comboniano nato a Schio in provincia di Vicenza l’1 ottobre 1977.

Alla vigilia del Natale e in vista del pellegrinaggio ecumenico di pace che papa Francesco avrà dal 3 al 5 febbraio 2023 a Giuba, nella capitale sud sudanese, che lo vedrà ancora insieme all’arcivescovo di Canterbury e al Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, abbiamo sentito monsignor Carlassare per conoscere l’evolversi del suo servizio in quella terra martoriata dalla guerra.

Una situazione difficile, di cui il vescovo ha fatto esperienza in prima persona. Nell’aprile 2021 subì un attentato: due uomini armati penetrarono nella sua abitazione e gli spararono

Eminenza, come ha vissuto il rientro in Sud Sudan a marzo 2022, a seguito della convalescenza in Italia?

Un ritorno a casa, laddove il Signore mi ha chiamato ad essere, in solidarietà con il popolo sud sudanese in cammino verso la riconciliazione e la pace.

È il suo primo Natale a Rumbek.

Sì, e in questi nove mesi abbiamo vissuto esperienze molto belle. Ringrazio il Signore per il dono della vita, della nuova nascita fra la gente di Rumbek, con una nuova famiglia che sono i sacerdoti, i missionari, le missionarie e tanti laici impegnati in diocesi. Senza dimenticare i tanti amici, associazioni e gruppi che pregano e ci sostengono in molti modi, anche dall’Italia. Il miracolo della vita, proprio del Natale, si ripete ogni giorno dove c’è un cuore che impara ad amare. La nascita di Gesù ci insegni a riconoscere la dignità e il valore di ogni vita umana.

Di cosa vive la gente del Sud Sudan?

Dopo 17 anni non trovo ancora risposta a questa domanda. La situazione economica è tanto difficile da rendere inspiegabile la vita in una realtà così povera. Ovviamente, il Sud Sudan è ricco di risorse, ma il conflitto ne rende impossibile l’uso per promuovere il benessere della popolazione. La vera povertà non è di risorse, ma di mezzi per sfruttarle, dell’indice di analfabetismo tra i più alti nel mondo. Le popolazioni vivono di pastorizia o di agricoltura, a seconda dell’etnia a cui appartengono, ma diversi esercitano il commercio: viste le difficoltà nei trasporti, diventa redditizio vendere la merce nel territorio. Il lavoro stipendiato non offre buon reddito, soprattutto alle dipendenze dello stato. Molti preferiscono il lavoro privato, dove ci son pochi controlli governativi. Il grande sogno di tanti, soprattutto giovani istruiti, è di lavorare per le ong e agenzie umanitarie, perché pagati di più e in dollari.

Padre Christian Carlassare, ferito da due uomini armati, 26 aprile 2021
Padre Christian Carlassare, ferito da due uomini armati, 26 aprile 2021

È stato ordinato vescovo lo scorso 25 marzo, nel ricordo dell’annunciazione a Maria.

Sono stato colpito dalla grande partecipazione di gente che mi ha accolto come loro pastore. Un pastore ferito quanto ogni sud sudanese è ferito da anni di conflitto e povertà. Un pastore che si è rialzato insieme alla sua gente. E l’unità fa la forza, supera ogni ostacolo e paura. Credo che il coraggio mi sia dato dall’esempio di tanti uomini e donne del Sud Sudan che continuano a sperare e lottare per una vita migliore.

Com’è la vita da vescovo in Sud Sudan?

È molto semplice: non mi appartengo più. Sono come pane spezzato che viene mangiato dalla gente, che ha sempre accesso al proprio pastore. Perciò, le mie giornate passano veloci, alternando alla pastorale, agli incontri con le comunità e le persone, l’attività amministrativa di coordinamento, con i dipartimenti della diocesi e i contatti con chi ci sostiene.

Cosa caratterizza questo periodo nella sua diocesi?

Ci prepariamo a vivere il sinodo diocesano in febbraio, dopo la visita del Papa. Perciò, stiamo avendo molti incontri nelle parrocchie e nei dipartimenti, per ascoltarsi, discernere insieme e definire le priorità future e il modello di chiesa che vogliamo essere.

Come si sta preparando la Chiesa sud sudanese ad accogliere il papa?

Come Francesco, anche la chiesa sud sudanese è pellegrina di pace. E siamo veri testimoni del Vangelo, strumenti di pace, quando portiamo comunione e camminiamo insieme alle altre denominazioni cristiane, come anche agli altri credi religiosi. La ricerca di Dio unisce, non divide e così scopriamo un po’ di più chi siamo e la dignità di ciascuno. È proprio ciò che ci attendiamo dalla visita del Papa: un rinnovato impegno per la riconciliazione e la pace, non solo a livello dei leader, ma anche tra il popolo.

Di cosa ha bisogno il Sud Sudan?

Oltre all’impegno del governo per promuovere la pace sociale attraverso la ripresa economica, abbiam bisogno di una buona legislazione, di un sistema giudiziario che ristabilisca la giustizia. Però, è necessario che tutta la popolazione opti per la non-violenza e il dialogo, decida di mettere al bando tutte le armi, che rappresentano una maledizione, mettendo a ferro e fuoco il Paese. È necessario che la popolazione superi l’ostacolo delle diversità etniche viste come minaccia, perché diventino ricchezza nella nuova identità e storia del popolo sud sudanese.

Com’è strutturata la sua diocesi?

Le 16 parrocchie hanno un’organizzazione missionaria, al centro c’è l’evangelizzazione. Ogni parrocchia copre un territorio vasto e conta dalle 10 alle 50 cappelle, tutte seguite da agenti pastorali laici, cioè catechisti, che non sono solo maestri della fede, ma vere e proprie guide delle comunità cristiane: conducono la preghiera domenicale, radunano i fedeli, coordinano i vari gruppi della comunità cristiana, preparano ai sacramenti che saranno celebrati quando arriva il sacerdote. In alcune cappelle il sacerdote riesce ad arrivare solo una volta all’anno. Pur avendo fedeli appartenenti alle più diverse etnie, nella chiesa tutti possono sentirsi a casa. I cattolici son tutti molto giovani di età, mentre la maggioranza degli adulti appartiene alla chiesa episcopale e gli anziani praticano la religiosità tradizionale africana.

Quali sono i punti di forza della vostra Chiesa?

L’evangelizzazione nella diocesi è nata intorno alle scuole, per le quali la chiesa cattolica è molto conosciuta. La diocesi gestisce 10 scuole materne, 21 scuole primarie, 13 centri di apprendimento accelerato per adulti, 7 scuole superiori, 3 scuole professionali, un centro di formazione per maestri di scuola primaria e un’università cattolica, che offre un diploma di economia e commercio e un diploma di educazione.

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