Questa spiaggia sempre uguale. E mio figlio che ora ha vent’anni
Vada, Livorno. Su questa stessa spiaggia, vent’anni fa, uno dei figli a un anno e mezzo, in una mattina di inizio d’estate, per la prima volta vide il mare. E mi ricordo come fosse ieri che restò per qualche istante muto, sbalordito; poi si voltò e ridendo, sui suoi passi incerti, corse verso di me e mi abbracciò, quasi grato di un immenso regalo. E io, meravigliata, che gli dissi: «Guarda che non l’ho fatto io, il mare…». E lui fra le mie braccia pazzo di gioia: semplicemente perché esisteva il mare.
Su questa stessa spiaggia poi i nostri figli negli anni han costruito innumerevoli castelli di sabbia, e torri merlate, e scavato fossati; e tutti sono stati dalle onde e dai passi cancellati. Ma sempre nuovi bambini scavano e riempiono i secchielli; poi a sera i bagnini e il mare annientano ogni cosa, così come si cancella una lavagna.
E tutto è uguale, il profumo delle piadine e la sabbia fine che ti si incolla addosso, e i coccodrilli di gomma; ma il figlio che quel giorno scoprì il mare ora ha vent’ anni, e una barba chiara da garibaldino.
«Vedi, gli alberi sono, le case restano: soltanto noi passiamo», dice un verso di Rilke che mi è caro. Da giovane non lo sai; solo verso i cinquanta incominci a capire. È il mistero del tempo: di questa spiaggia sempre uguale con gli ombrelloni blu, e i suoi bambini, e i suoi infiniti effimeri castelli.
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