Tentar (un giudizio) non nuoce
Per il sostegno e la valorizzazione dei lombardi nel mondo
In questi giorni sono in missione negli Stati Uniti con una delegazione lombarda. Ve ne parlerò diffusamente nel prossimo articolo, raccontando le sensazioni che ho raccolto e il giudizio che mi sono fatto su come va questo grande Paese. C’è un aspetto però che voglio subito sottolineare, ossia la significativa presenza, in questa immensa terra, di una comunità italiana e lombarda. Abbiamo potuto incontrare in ambasciata a Washington sia i rappresentanti degli studenti e degli “alumni” delle nostre università che operano in quest’area, sia i medici e i ricercatori in campo sanitario. L’ascolto dei loro racconti mi ha confermato della bontà di un provvedimento che ho fortemente voluto e che è stato recentemente approvato dal Consiglio Regionale. Una proposta di legge, a cui ho lavorato personalmente, per il sostegno e la valorizzazione dei lombardi nel mondo e della relativa mobilità internazionale.
Quello della presenza di nostri concittadini all’estero è un tema cui si pensa sempre poco e spesso lo si fa con le categorie del passato. L’idea che abbiamo dei nostri migranti è quella di coloro che partivano per gli Stati Uniti o per il Sud America con la valigia di cartone per cercare fortuna. Questo è stato vero per molti decenni, ma non è quello che descrive la mobilità internazionale di oggi. La legge che è stata proposta dalla Giunta al Consiglio regionale, e che dopo un lungo e positivo confronto, è stata approvata quasi all’unanimità, parte invece dalla constatazione che se, da un lato, la presenza dei lombardi nel mondo rimane un valore che la nostra Regione sostiene e valorizza, come dice lo statuto Lombardo, al tempo stesso questo fenomeno ha subito mutamenti notevoli, sia nei numeri sia nella tipologia dei migranti. Le esperienze che abbiamo ascoltato lo hanno chiaramente confermato.
Cosa è cambiato
Oggi le emigrazioni riguardano prevalentemente progetti che potremmo definire fluidi e circolari, ossia di persone che vanno all’estero per un periodo, ma che non hanno intenzione, perlomeno all’inizio, di starci per la vita o che spesso tornerebbero volentieri se ci fossero le condizioni che lo rendono possibile. Riguarda segmenti della popolazione molto differenti di quelli del passato e sorprendentemente in crescita.
Qualche numero può spiegare meglio di molte parole: negli ultimi 15 anni la mobilità italiana è cresciuta di quasi il 90 per cento e oggi gli italiani all’estero sono passati da poco più di tre milioni a quasi il doppio (5,8 milioni). Questo è il numero fornito dal Rapporto Migrantes sui dati dell’Aire, ossia del registro ufficiale degli italiani all’estero. Registro che iscrivendosi presuppone la permanenza all’estero per più della metà dell’anno ed implica la perdita di alcuni diritti come quello della sanità gratuità in Italia, motivazioni per le quali non tutti si iscrivono. È impressionante per la Lombardia, una regione di 10 milioni di abitanti, ricca e prospera come nessun’altra in Italia, che i lombardi iscritti all’Aire sono circa 600 mila.
Sono cambiate anche le tipologie. Oggi i migranti sono prevalentemente giovani. Un quarto ha tra i 18 e i 34 anni. Sono prevalentemente molto scolarizzati. Uno su quattro è laureato e sono alla ricerca di esperienze di studio o professionali, particolarmente qualificanti, anche in considerazione del fatto che la retribuzione di partenza di un laureato all’estero è 40 per cento superiore a quella italiana.
Ci sono ovviamente anche fenomeni strutturali che incidono su questa mobilità. Sono cambiate anche le destinazioni. Dagli Stati Uniti e dai Paesi dell’America Latina, oltre tre quarti di questa nuova mobilità internazionale si è spostata verso il continente europeo. I Paesi più gettonati sono la Svizzera e Regno Unito.
Gli obiettivi
È evidente che gli strumenti per affrontare questa mobilità non possono più essere quelli del dopoguerra. Un tempo occorreva prevalentemente fornire e mantenere legami con la comunità di origine, trasmettere le notizie del Paese di provenienza, tutto questo oggi è reperibile in tempo reale, con i nuovi sistemi informatici.
Se il problema un tempo poteva riguardare il rimpatrio della salma del migrante indigente, oggi casomai il tema è quello del rimpatrio dei cervelli in fuga. Il nostro territorio ha bisogno di questi giovani che si sono ulteriormente qualificati e che possono offrire nuove esperienze e saperi, arricchendo il bagaglio di competenze della nostra Regione. Oggi, tra l’altro, chi parte anela ad individuare opportunità competitive per poter ritornare, o perlomeno progetti che consentano una permanenza per un periodo anche da noi.
Gli obbiettivi della nostra proposta vanno proprio in questo senso, attraverso l’introduzione di appositi strumenti che sarà compito della Giunta delineare, attraverso appositi bandi, in attuazione di questa legge. Qualche critico potrebbe obiettare sulla scelta della Regione di investire energie e risorse in questo ambito, ma la nuova legge varata ha una sua visione strategica a lungo tempo. Le nostre comunità all’estero sono un formidabile strumento di soft-power per l’Italia e per tutta la Lombardia. L’operosità, la qualità, la cultura che i migranti lombardi portano con sé, sono la prima testimonianza della nostra concezione di vita, lavoro e bellezza, doti che in tanti nel mondo ci invidiano. È bene sottolineare che per amare la Lombardia non serve essere lombardi da sette generazione, ma talvolta basta semplicemente aver vissuto e studiato in una delle nostre prestigiose università. Dunque, costoro sono i primi promotori delle nostre qualità all’estero. Non rendersi conto dello strumento formidabile che queste comunità portano in dote vuole dire precludersi uno degli strumenti più efficaci che abbiamo sullo scenario globale. Questi primi incontri negli Stati Uniti hanno confermato pienamente questo potenziale.
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