Tentar (un giudizio) non nuoce
Caso Englaro-Lucchina. Per una concezione personale ed etica del diritto alla salute
Lo confesso, sono rimasto sorpreso, amareggiato e stranito dalla sentenza in Appello, con cui l’ex direttore generale della Sanità Lombarda, Carlo Lucchina, che conosco e stimo da tempo, è stato condannato a pagare circa 175.000 euro all’erario. Questa cifra ristorerebbe il costo che Regione Lombardia ha sostenuto per risarcire Beppino Englaro, padre di Eluana, che a sua volta avrebbe pagato quella cifra per ottenere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione della figlia e condurla alla morte per fame e sete in una struttura in Friuli, poiché la Regione Lombardia si era rifiutata di consentirlo in un ospedale pubblico lombardo.
La questione ha innanzitutto un aspetto squisitamente tecnico-giuridico, legato al fatto che 15 anni fa, quando avvennero questi eventi, la normativa era molto differente da oggi e molto più indeterminata. Sono personalmente convinto che Lucchina non si sia mosso, come contenuto nelle motivazioni della sentenza, in base alle sue convinzioni etiche e personali, ma abbia agito in base ad un parere, a suo tempo fornito dall’Avvocatura regionale, che era basato su solide valutazioni di natura esclusivamente giuridica. Non si può certo giudicare in base alle leggi di oggi un fatto del 2009!
Obiezione di coscienza
Però la questione richiede di andare più a fondo perché, come ha fatto notare qualcuno, questa condanna sembra più un avvertimento rivolto a chi decide sulla sanità, che non un esito giudiziario. Una condanna peraltro avvenuta in Appello, dopo un’assoluzione in primo grado per la medesima fattispecie, dunque ancor più difficile da riformare perché rimane solo il ricorso al giudizio di legittimità ma non di merito della Cassazione. Ma da questo punto di vista, la riflessione non può che farsi etica e politica al tempo stesso.
Innanzitutto, per una ragione che non posso tacere: su questioni di questa delicatezza, l’obiezione di coscienza è un’opzione ancora consentita nel nostro Paese oppure surrettiziamente abbiamo deciso che non esiste più? Non possiamo negare che in una scelta di questo genere, prima ancora di ogni considerazione di natura giuridica o di opportunità economica, in gioco c’è una formidabile implicazione etica. Nel 2009, ero componente della Giunta Regionale che assunse le decisioni a riguardo e ricordo come la discussione fosse, prima di tutto, orientata verso considerazioni di natura etica e politica. Cioè, per dirla in modo semplice e diretto, la questione centrale fra noi era se il compito e la natura, l’ontologia stessa del sistema sanitario regionale fosse quello di assicurare la cura e di fare di tutto per preservare la salute e la vita delle persone ad esso affidate, o se invece nei compiti del servizio sanitario regionale potesse essere incluso quello di accompagnare alla morte le persone, quasi fosse esclusivamente una questione burocratica e amministrativa.
Di fronte a questo tema deve sussistere lo spazio dell’obiezione di coscienza, come avviene per l’aborto. L’obiezione di coscienza tende a sopravanzare il dettato della legge, perché deve poter esistere lo spazio di un supremo tribunale che si radica nelle più profonde convinzioni etiche, morali, religiose della persona umana. Per questo mi sembra davvero aberrante la motivazione della sentenza, perché sono personalmente convinto che Lucchina, come i dirigenti regionali a suo tempo coinvolti nella vicenda, abbiano offerto solide argomentazioni giuridiche a sostegno della tesi di non consentire la sospensione di idratazione ed alimentazione di Eluana. Ma anche se ci fossero state nelle loro valutazioni motivazioni di natura etica e di profondo convincimento personale mi domando se sia lecito ritenere che la legge debba ignorarle e farne carta straccia. In fondo sarebbe come dire che, se nel nostro Paese fosse consentita la pena di morte, un funzionario pubblico non potrebbe avere il diritto di rifiutarsi di fare il boia! Il che stride fortemente con la coscienza di chiunque abbia mantenuto un briciolo d’umanità.
Un freno alla magistratura
C’è un ulteriore elemento da sottolineare, più politico. Non si può non cogliere come dietro questa sentenza ci sia la volontà di dare piena legittimazione ad un presunto diritto al suicidio assistito e al fine vita, come lo stesso Beppino Englaro ha dichiarato. Ricordo che Eluana Englaro non era attaccata ad alcuna macchina per rimanere in vita: non ci furono respiratori o ventilazioni da staccare. Il tema del fine vita in Lombardia ritorna oggi di attualità poiché il Coniglio Regionale lombardo dovrà affrontare a breve la proposta di legge di iniziativa popolare voluta da Cappato.
Ora, premesso che il primo che rispetta la possibilità di suicidarsi è Dio stesso, che ci ha resi così liberi da poter scegliere in ogni momento tra la vita e la morte e che quindi non può essere messa in discussione questa libertà originaria, la questione rimane anche di natura politica-legislativa. Può una norma dello Stato stabilire un percorso che interpreta, o dà a qualcuno la facoltà di interpretare, la volontà di una persona sino al punto da imporre ad una struttura pubblica di erogare, anziché una cura, l’esecuzione del fine vita? Questo impianto non stride con il fondamento della civiltà europea, cioè il valore sacro e inviolabile della vita così come il rispetto della dignità della persona umana?
Io personalmente sento fortemente questo dubbio e mi domando se un Paese che scelga di usare la forza della Legge, attraverso una decisione politica, non stia, di fatto, deviando agli scopi e alla genesi stessa per cui sono nate le strutture sanitarie.
Le leggi quando ci sono, vanno applicate, e questo non si discute, ma non è vero il contrario. Non è consentito alla magistratura di interpretare le leggi in una modalità che è funzionale ad una certa lettura politica delle stesse. E francamente in questo caso mi pare che sia lecito domandarsi se non sia accaduto esattamente questo. Contro il politicamente corretto, io voglio esprimere la volontà di rivendicare “una concezione personale ed etica del diritto alla salute”, nel dibattito politico e perlomeno, sul piano individuale, con il diritto all’obiezione di coscienza.
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