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«Oltre 200 mila nei gulag: la Corea del Nord è come l’Urss di Stalin»

Intervista di Tempi.it allo storico russo, esperto di Asia, Andrei Lankov, che negli anni '80 ha studiato all'università di Pyongyang: «In percentuale al totale della popolazione, gli internati nei gulag nordcoreani sono come quelli nell'Urss di Stalin. Kim Jong Un continuerà la repressione del padre ma i vertici politici del paese sono misteriosi tanto quanto il Cremlino»

Leone Grotti
12/12/2011 - 14:43
Esteri
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«Se il popolo nordcoreano sapesse davvero che la Corea del Sud, descritta dal regime comunista come una terra dove regnano povertà e terrore, ha un reddito pro capite 40 volte superiore, il regime avrebbe i giorni contati. Dubito che con Kim Jong un la situazione della gente cambierà, seguirà la strada del padre: nessuna riforma, tolleranza zero con i dissidenti politici, nessuna denuclearizzazione».

«Se il popolo nordcoreano sapesse davvero che la Corea del Sud, descritta dal regime comunista come una terra dove regnano povertà e terrore, ha un reddito pro capite 40 volte superiore, il regime avrebbe i giorni contati. Dubito che con Kim Jong un la situazione della gente cambierà, seguirà la strada del padre: nessuna riforma, tolleranza zero con i dissidenti politici, nessuna denuclearizzazione». Spiega così a Tempi.it la situazione della Corea del Nord, una delle ultime dittature comuniste e uno dei paesi più sconosciuti e misteriosi del mondo, Andrei Lankov, storico dell’Asia russo, docente all’università sudcoreana di Kookmin, laureato alla Leningrad State University dopo aver studiato un anno alla Pyongyang’s Kim Il-sung University. «Avrei preferito studiare in Corea del Sud ma sono stato fortunato a frequentare il dipartimento di studi coreani in Russia quando gli scambi tra l’Unione Sovietica e la Corea del Nord erano ancora intensi».

Il World Food Program (Wfp) ha pubblicato di recente un reportage sulla carestia in Corea del Nord. La crisi economica che sta mettendo in ginocchio molti paesi europei, ha colpito anche lo Stato asiatico?
La situazione economica nel paese non è peggiorata, negli ultimi anni direi anzi che è migliorata. Ogni anno escono rapporti sulle carestie che devono arrivare a colpire la Corea del Nord, come negli anni ’90 quando morirono tra 200 mila e i 3 milioni di persone, ma è come aspettare Godot. Il governo nordcoreano è interessato ad alimentare le voci di carestie per spremere ancora di più il mondo esterno e strappare più aiuti. In passato, i politici nordcoreani erano soliti mentire sulla loro condizione economica ma negli ultimi anni non hanno problemi a dipingere la situazione peggio che possono. Ora non ci sono però segnali di carestie imminenti. Al mercato nero i prezzi del cibo sono stabili e anche i viaggiatori indipendenti che hanno visitato le parti più remote del paese confermano che le persone stanno meglio del solito. Ovviamente, la maggioranza del popolo resta malnutrita, come da decine e decine di anni a questa parte. Soffrono la fame, ma non al punto da morire per questo.

Nei giorni scorsi il premier Choe Yong-rim è stato in Cina, l’ennesima visita dopo quelle del “caro leader” Kim Jong Il. Come stanno evolvendo le relazioni tra Cina e Corea del Nord e qual è il principale scopo di queste viaggi diplomatici?
Non è semplice dirlo. Secondo il Wfp, tra il 1995 e il 2009, quando la crisi alimentare era allo stato più acuto, la Corea del Nord riceveva un totale di 12,3 milioni di tonnellate di aiuti. Il 26 per cento del totale, 3,2 milioni, dalla Corea del Sud, tre milioni dalla Cina (24%), 2,4 milioni dagli Stati Uniti (19%) e 1,3 milioni di tonnellate dal Giappone (10,6%). Quando nel 2002 gli Usa hanno sospeso gli aiuti, seguiti dalla Corea del Sud nel 2008, quando un’amministrazione di destra è salita al potere a Seul, la Cina è rimasto l’unico sostenitore di Pyongyang. Con sommo dispiacere della Corea del Nord, i cui leader preferivano averne tanti per sfruttare a proprio vantaggio le rivalità che sorgevano tra di loro. Ora sono obbligati ad andare sempre più spesso in Cina e uno scopo è sicuramente elemosinare aiuti.

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Tutti gli osservatori politici sostengono che il terzogenito Kim Jong Un succederà al padre alla guida della Corea del Nord. Come potrebbe cambiare la politica interna ed estera del paese?
Più a lungo Kim Jong Il vive, più la transizione sarà semplice e morbida, perché il terzo Kim avrà la possibilità di costruirsi una base di potere e di imparare l’arte di governare. Francamente però è quasi impossibile rispondere alla domanda. Le mosse dei vertici politici coreani sono davvero misteriose, ancora di più del Cremlino al tempo di Stalin. La maggior parte delle affermazioni sulle fazioni e sulla lotta per il potere a Pyongyang sono ipotesi dei media, spesso male informati. Non sappiamo molto su Kim Jong Un. Ma se vuole conservare il potere, ha senso che continui la politica del padre: nessuna riforma, tolleranza zero con i dissidenti politici, nessuna denuclearizzazione. È così che sopravvivono i regimi, la strategia funziona, anche se non sono sicuro che il terzo Kim lo comprenda.

La scorsa settimana, alcuni sopravvissuti dei gulag nordcoreani, scappati dal paese, hanno raccontato quello che hanno vissuto davanti a una commissione parlamentare degli Stati Uniti. Qual è la situazione dei gulag oggi?
Non esistono dati ufficiali, le stime più recenti parlano di oltre 200 mila internati. Se li mettiamo in rapporto alla popolazione totale della Corea del Nord, viene la stessa percentuale dell’Unione Sovietica negli ultimi anni di dittatura di Stalin. La maggior parte della gente nei gulag è costituita da familiari di criminali politici. Sembra però che il regime stia diventando meno repressivo rispetto al passato. Un cittadino medio ha meno possibilità di essere arrestato oggi per reati politici rispetto a 15 o 25 anni fa.

Una delegazione di sette leader religiosi, guidati da un arcivescovo cattolico, sono entrati in Corea del Nord la scorsa settimana. Qual è la situazione della libertà religiosa nel paese?
Quella di invitare leader religiosi è un’usanza che ha preso piede in Corea del Nord negli anni Settanta. Fino a metta anni ’70, il paese si definiva orgogliosamente “libero da superstizioni”, dove superstizione sta per religione. Ma poi hanno dichiarato che c’erano delle associazioni religiose nel paese e negli anni ’80 hanno aperto poche chiese a Pyongyang per mostrarle alle delegazioni estere, giusto per provare che esiste libertà religiosa. C’è una chiesa cattolica, una protestante, una ortodossa. Non sono sicuro però che dentro quelle chiese avvengano, per quanto controllate molto rigidamente, delle funzioni religiose.

Ci sono segnali positivi sulla strada per la riconciliazione tra Corea del Nord e Corea del Sud?
Se la Corea del Sud ripristina gli aiuti a Pyongyang senza porre condizioni, relazioni più stabili sono possibili. Ma niente più di questo perché il regime nordcoreano non potrebbe sopravvivere politicamente a un aumento degli scambi tra i due paesi. Infatti, la differenza economica è troppo grande. Il regime dei Kim vive di fianco a un paese che parla la stessa lingua e la cui gente è descritta come “parte della nostra nazione” ma che ha un reddito pro capite tra le 15 e le 40 volte superiore a quello della gente nordcoreana. È la più grande differenza di reddito della storia tra popoli appartenenti a due Stati confinanti. In Germania c’era un rapporto di 1:3 e questo è bastato ai tedeschi dell’Est per rovesciare il regime. La media dei nordcoreani non sa dell’enorme differenza tra le due Coree perché la propaganda ufficiale del regime parla del Sud come una terra dove regnano povertà e terrore. Se fossero pienamente coscienti della differenza tra loro e i coreani del sud, probabilmente il regime comunista avrebbe i giorni contati. Tutto questo per far capire che la Corea del Nord non vuole assolutamente riconciliarsi con la Corea del Sud ma chiede solo aiuti per non destabilizzare il regime.

Tags: carestiaCinacorea del nordcorea del sudgulagkim jong ilkim jong unlibertà religiosapyongyangsuccessione
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