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Napolitano-Renzi, dalla diffidenza alla speranza. «Se il premier avvia bene le riforme, il presidente potrebbe dimettersi in primavera»

Il quirinalista del Corriere della Sera, Marzio Breda, spiega a tempi.it perché il capo dello Stato ha deciso di appoggiare il governo su Jobs Act e articolo 18

Francesco Amicone
24/09/2014 - 17:37
Politica
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«L’Italia non può restare prigioniera di corporativismi e conservatorismi». Con queste parole, l’altro ieri, è arrivato il sostegno di Giorgio Napolitano al Jobs Act di Matteo Renzi. Non è una strategia per mettere a tacere l’opposizione dei sindacati e delle ali più estreme del Pd. Per il quirinalista del Corriere della Sera, Marzio Breda, «il capo dello Stato ha sì dato una mano a Renzi, nel momento in cui parte della sinistra si è sollevata contro le ipotesi di riforma, ma lo ha fatto sulla base delle informazioni dell’andamento dell’economia italiana e sulla credibilità dell’Italia all’estero».

Per Napolitano la riforma del lavoro voluta da Renzi riuscirà a spingere l’Italia fuori dalla crisi?
Da un lato c’è una forte pressione dell’Europa e della Bce. Solo l’altro ieri Mario Draghi ha richiamato di nuovo l’Italia sulle riforme strutturali. Dall’altro, Napolitano è in continuo contatto non solo con Draghi e con il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, per valutare l’evoluzione della performance italiana, ma anche con le cancellerie europee, che chiedono di dare un segnale, dopo mesi dominati quasi esclusivamente da annunci. In questo senso la riforma del lavoro è una delle più attese per valutare questo cambiamento, e Napolitano lo sa.

Sui contenuti del Jobs Act, Napolitano si schiera dalla parte del premier?
Credo che Napolitano sia intimamente a favore della riforma. Anche per la sua storia personale. Ha sempre fatto parte della minoranza riformista nel Pd. Anche da capo dello Stato ha fatto qualche intervento sulle ipotesi di revisione dello Statuto dei Lavoratori, soprattutto alla luce dell’economia globalizzata. Di fronte alla realtà odierna è impensabile proibire di toccare monumenti come l’articolo 18. Inoltre l’Italia deve dimostrare ai vertici europei la volontà di cambiamento.

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Come è evoluto il rapporto fra premier e capo dello Stato? Durante il governo Letta, Napolitano non sembrava vederlo di buon occhio.
A parte il sostegno a Renzi, rispetto all’immediata sollevazione della sinistra, nel momento in cui si è parlato di articolo 18, i due hanno avuto molti mesi per conoscersi. Hanno imparato a farlo. Renzi, prima di salire a Palazzo Chigi, non era stato generoso verso Napolitano. Vero è che anche il capo dello Stato guardava con circospezione a questo giovane premier che scalpita, azzarda e spesso agisce come se fosse in una campagna elettorale permanente. Napolitano apprezza la carica e l’energia di Renzi. Gli ha solo chiesto di moderare i toni, di non usare la parola d’ordine “rottamazione”, un vocabolo che contiene qualcosa di violento e di volgare insieme. Renzi, dall’altra parte, ha imparato a capire il valore di Napolitano. Un valore politicamente concreto. Il presidente gli serve come sponda in Europa. Certo, lui stesso ha ottenuto una benigna curiosità nelle cancellerie straniere, soprattutto dopo risultato elettorale di maggio, ma questa apertura di credito viene accordata solo fino a un certo punto. Poi giunge il momento in cui è messa sotto esame.

Napolitano sta aiutando Renzi nelle relazioni con l’estero?
Avere dalla propria parte Napolitano, che ha un autorevolezza riconosciuta (basta pensare al suo rapporto con Barack Obama), all’ “homo novus” Renzi giova molto. Napolitano dall’altra parte ha visto i risultati concreti, se pur pochi, che ha ottenuto Renzi, e riconosce la sua capacità di attrarre consensi. La sua speranza è che Renzi sblocchi finalmente il paese, dopo i tentativi non riusciti del governo Monti e del governo Letta.

Il capo dello Stato non teme le elezioni anticipate?
Napolitano non contempla minimamente le ipotesi di elezioni anticipate. La continua rincorsa del premier ad alzare toni e a farsi un nemico al giorno, creando uno stato di fibrillazione permanente, non è certo positiva. Da parte sua, Napolitano, come ha detto lo scorso capodanno, non intende restare per l’intera durata del mandato. Sicuramente resta fino alla fine del semestre. Se l’Italia imbocca la via delle riforme, e il quadro politico-istituzionale sarà in ordine, da gennaio ogni momento per lui sarà buono per dimettersi. Altrimenti sarà difficile.

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Quali riforme sta aspettando Napolitano?
Senz’altro aspetta che la riforma costituzionale, che richiede doppi passaggi e tempi piuttosto lunghi, sia ben avviata. Le altre riforme che si aspetta da questo governo sono sicuramente quella sul mercato del lavoro e sulla giustizia. Se queste due riforme si concretizzassero in tempi ragionevoli, Napolitano potrebbe lasciare a questo Parlamento il compito di decidere il suo successore.

Tags: articolo 18Corriere della SeracostituzioneGiorgio NapolitanoJobs actLavoromarzio bredaMatteo RenziPdpresidenterepubblicariforma costituzionaleriforma della giustiziariforma senatoriformestatostatuto dei lavoratori
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