La nuova emergenza è l’accanimento giudiziario sui medici “eroi”
Articolo tratto dal numero di novembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Gli sciacalli delle corsie d’ospedale non hanno rispetto nemmeno per i morti del coronavirus. Mentre la stampa nazionale ancora non aveva terminato di incensare gli “eroi del Covid”, medici e infermieri che il più delle volte non hanno fatto altro che svolgere il proprio mestiere – con dedizione encomiabile –, cominciavano a spuntare come bubboni dalla narrazione mainstream notizie del tipo: “Coronavirus, a Milano in arrivo centinaia di cause contro i medici”. Trecento e forse più, stando alle prime ricostruzioni. Emblematica la vicenda del medico di famiglia accusato di non aver riconosciuto un caso di Covid da un mal di gola. Oppure quella del primario di Aosta, in quarantena, accusato per aver operato e salvato la vita a una paziente violando l’isolamento domiciliare, pur essendo l’unico a poter intervenire in tempi utili a scongiurare il peggio.
«Sciacalli, indegnamente appartenenti all’avvocatura», ha scritto il penalista Mauro Ronco sulla rivista L-Jus del Centro studi Livatino di cui è presidente, e che «cercano di approfittare della situazione, ricercando clienti sui social dietro promessa di perseguire casi di presunta malasanità che potrebbero essere avvenuti in questa fase convulsa di contenimento della malattia e di cure prestate in condizioni di emergenza, in molti casi privi di mezzi e dispositivi di protezione necessari per salvaguardare la propria salute».
«Servirà ancora tempo prima di poter valutare l’entità reale del fenomeno, la quantità di cause avviate dagli avvocati», precisa Ronco a Tempi, «ma che ci sia questa situazione particolarmente critica è certo». L’accanimento sugli operatori sanitari, secondo il professore emerito di Diritto penale all’Università di Padova, ha un’origine precisa: «La società, nella sua quasi interezza, ha perso la vera nozione della professione del medico», della «sacralità del giuramento ippocratico», così «si è ecceduto nell’idea che la medicina possa tutto», mentre invece essa deve sempre «fare i conti con la finitezza della creatura umana». Come ha dimostrato impietosamente proprio la difficoltà ad affrontare la pandemia.
Evitare stigma e lunghi processi
Ronco ha anche un’ipotesi di soluzione alla deriva giustizialista: una «riforma drastica», ammette limpidamente. In pratica si tratta di «riservare l’accertamento della colpa medica al piano del diritto civile». Per una serie di ragioni.Innanzitutto perché «l’accertamento in questione è di carattere documentale, peritale, anche le confutazioni si fanno per iscritto, che è una tipica situazione del diritto civile, non di quello penale», spiega il presidente del Centro studi Livatino. E poi perché «il diritto penale crea immediatamente un’aura di colpevolezza intorno alla persona accusata», uno stigma «che si protrae nel tempo. Il giudizio penale, infatti, è lungo, con il risultato che il medico si sente colpevole per anni, anche qualora alla fine fosse dichiarato innocente. In spregio alla presunzione d’innocenza». Senza dimenticare, inoltre, che «la gran parte delle denunce contro i medici è fatta per ragioni di carattere economico, patrimoniali, per ottenere un risarcimento, non una pena», precisa Ronco. La pena, semmai, «è essere sottoposti a processo penale».
Foto Ansa
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