Il caso Toti e la politica finita nella “trappola perfetta”
A proposito dell’arresto del presidente della Regione Liguria, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha scritto che «con la logica usata per Toti (a cui non viene contestato alcun vantaggio personale e privato) possono arrestare la quasi totalità dei sindaci, dei presidenti di Regione, dei dirigenti pubblici. Suppongo potrebbero anche arrestare la maggior parte dei magistrati». E Fabrizio Cicchitto, una vita trascorsa nelle nostre istituzioni e a criticare l’uso politico della giustizia, non può che essere d’accordo.
Ieri, proprio a commento della vicenda, ha scritto una lettera al Foglio e con Tempi riprende il filo del ragionamento per svilupparlo. «Tutto», ci dice, «nasce col pasticcio del governo Letta che nel 2014 abolisce totalmente il finanziamento pubblico ai partiti. Come ho scritto al Foglio, così la politica si è costruita la “trappola perfetta” da cui non riesce più ad uscire».
Un problema democratico
Il problema è che la politica costa, ha bisogno di risorse e, se queste non vengono garantite pubblicamente, lo devono essere privatamente. La questione è che – come sembra suggerire il “caso Toti”, stando a quanto finora è stato reso pubblico – se persino un finanziamento trasparente, fatto con bonifici bancari, è considerato reato di corruzione, allora va a finire che, come dice Crosetto, e come ribadisce Cicchitto «chiunque può essere accusato perché è a discrezione del giudice decidere se un finanziamento, anche se registrato, è lecito oppure no».
Come abbiamo già ricordato, lo ha spiegato con eccellente sintesi il deputato Giuseppe Bicchielli al Corriere della Sera: «Se l’accettare finanziamenti leciti e dichiarati può comportare il rischio di finire in un’inchiesta giudiziaria nessuno sarà più disponibile ad aiutare i partiti. È un problema democratico».
Poi, certo, si può discutere come risolvere il problema. Cicchitto, ad esempio, sarebbe favorevole al ripristino del finanziamento pubblico, «con, però, delle restrizioni su quello privato, seguendo il modello inglese che non permette a chi finanzia un partito poi di poterne trarre un vantaggio».
Toti deve dimettersi?
Ma, al di là della discussione accademica, ha scritto Cicchitto sul Foglio, qui il tema è che in questa situazione confusa, «la magistratura è entrata in campagna elettorale per buttare per aria il progetto di riforma della giustizia che più infastidisce l’establishment della magistratura italiana, vale a dire la separazione delle carriere». È questa la “madre di tutte le riforme” che darebbe finalmente uno scossone all’attuale gestione del Csm, «totalmente in mano alle correnti. Correnti che, faccio notare, sono tutte dominate dai pm». Quindi, ragiona Cicchitto, poiché il Csm gestisce le carriere dei magistrati giudicanti e il Csm è in mano ai pm, per proprietà transitiva significa che «i pm decidono della carriere dei magistrati giudicanti». Insomma, il fatto che lo scandalo Toti scoppi proprio ora che si è a un mese dal voto delle Europee e mentre si cerca di mandare in porto la riforma, forse non è proprio un caso.
Chiediamo a Cicchitto un’ultima battuta sulle dimissioni di Toti. Cosa dovrebbe fare il governatore? Lasciare come chiede la sinistra oppure rimanere al suo posto? «Difficile fare una valutazione», risponde. «Nessuna norma glielo impone e, se volesse resistere, non dovrebbe abbandonare la poltrona di governatore. Però, provi a immedesimarsi nella sua condizione. Sono venuti ad arrestarla alle tre di notte a casa sua, le hanno dato gli arresti domiciliari (una cosa da matti!), lei ora deve difendersi leggendo le migliaia di pagine prodotte dall’inchiesta della Procura e deve preparare una difesa puntuale per rispondere a ogni addebito. Non è facile, è una situazione complicata».
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