La preghiera del mattino
L’“incidente” alla Camera sul Def è grave. Le possibili letture (anche spiacevoli)
Su Affaritaliani si scrive: «Lo scostamento di bilancio collegato al Def non è stato approvato per soli 6 voti. Sono stati 25 i deputati di maggioranza che non hanno partecipato alla votazione. Il gruppo con più assenti è stato quello della Lega (11), seguito da Forza Italia (9) e cinque di Fdi. Per l’approvazione è richiesta la maggioranza assoluta, pari a 201 voti. I voti favorevoli, invece, sono stati 195, con 105 astenuti (tra cui i deputati del Pd e del M5s) e 19 i contrari».
A quanto pare soprattutto un bel gruppetto di leghisti sembra essere più impegnato per il ponte tra il 25 aprile e il Primo maggio, che per il ponte sullo Stretto di Messina. Ci si scherza su. Ma il fatto è grave. In un momento in cui il governo Meloni è impegnato su molteplici fronti, questo incidente è particolarmente spiacevole. Detto questo, ci si deve chiedere se c’è anche un segnale politico in quel che è avvenuto. È evidente come la partita che sta giocando l’Italia si scontri sia con configgenti disegni politici di altre forze e Stati europei, sia con il desiderio di tanti soggetti economici internazionali di avere mano libera in una realtà così ricca come la nostra per il suo risparmio privato e per la sua imprenditoria diffusa (mentre la grande industria è ormai essenzialmente pubblica).
Naturalmente – lo spieghiamo anticipatamente a qualche spacciatore di banalità che ci segue con affezione – gli attacchi a Giorgia Meloni non nascono dal fatto che “conta zero”, bensì perché sta diventando scomoda per il suo ruolo internazionale. E il suo ruolo internazionale non è considerato pericoloso perché è troppo di destra, bensì perché costruendo un movimento conservatore europeo liberaldemocratico ma radicale che cerca un accordo con il conservatorismo moderato prevalente tra i popolari, sconvolge quel mediocre consociativismo buro-tecnocratico oggi centrale nell’Unione Europea.
In ogni caso, anche se “l’incidente” non ha dietro basi politiche significative, va comunque analizzato per capirne le radici. Potrebbe in parte aver pesato la riduzione del numero dei parlamentari, per cui certe misure di precauzione dei capigruppo che funzionavano per oltre seicento deputati non valgono se i parlamentari alla Camera sono poco più di trecento. Più in generale, va considerato come in questo ultimo decennio il ruolo del Parlamento sia stato ampiamente svilito, e come la mancanza di autorevolezza delle nostre assemblee elettive, dunque, faccia sì che molti politici ritengano più importanti Twitter, talk show, magari Vogue del Parlamento. In questo senso va osservato come il centrodestra abbia ridato in diverse occasioni un qualche maggiore spazio alla discussione parlamentare, in parte rimediando al degrado accumulato tra il 1992 e il 2011. Però c’è ancora molto lavoro da fare per ridare centralità all’istituzione fondamentale di una vera democrazia.
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Su Startmag Francesco Damato scrive: «Il quotidiano di Marco Travaglio, dicevo, ha sentito e sente puzza di fascismo a Palazzo Chigi per “la reticenza” della premier».
Ci sono alcune caratteristiche del fascismo storico, lo spirito di prepotenza, il compiacimento nel “manganellare” e “olioricinare gli avversari”, il preferire il cacciare in galera l’oppositore allo scontro politico democratico, l’intolleranza verso le idee non condivise, l’insofferenza verso i “ludi cartacei” e la greppia dell’aula sordida e grigia, che mi fanno chiedere: ma perché mai Travaglio si considera antifascista?
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Su Formiche Gabriele Carrer scrive: «A questi pilastri, se ne aggiunge un quinto: l’immigrazione, tema caldo nell’agenda del bilaterale a Downing Street assieme ad altri come la presidenza italiana del G7 nel 2024, la guerra in Ucraina, l’Africa e l’Indo-Pacifico e la cooperazione in difesa alla luce del Global Combat Air Programme per realizzare, assieme al Giappone, un jet di sesta generazione. Su questo punto tra i due governi c’è forte sintonia politica. Il Regno Unito, pur attento alla special relationship con gli Stati Uniti e con un occhio (e qualche nave) nell’Indo-Pacifico, considera il Mediterraneo anche un po’ il suo mare nostrum. Le sfide sono le stesse, visto che l’Italia per prima considera la questione immigrazione europea prima che nazionale e che il primo ministro Sunak ha recentemente dichiarato al quotidiano La Repubblica che “l’immigrazione non è un problema solo britannico, ma europeo”, manifestando orgoglio per la sua linea dura (che ha incassato il plauso di diversi esponenti del governo italiano). C’è interesse a Londra, oltre che per i conti italiani che saranno al centro di un incontro venerdì tra Meloni e la comunità finanziaria locale, verso il Piano Mattei che il governo dovrebbe presentare a ottobre in occasione del summit intergovernativo Italia-Africa. Nel suo discorso d’insediamento alla Camera dei deputati, Meloni aveva parlato del Piano Mattei per l’Africa e il Mediterraneo come “un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area subsahariana. Ci piacerebbe così recuperare, dopo anni in cui si è preferito indietreggiare, il nostro ruolo strategico nel Mediterraneo”. Si tratta di una proposta di approccio upstream, cioè “a monte”, per affrontare le cause delle migrazioni che sembra aver suscitato l’interesse britannico, viste le ricadute dell’immigrazione verso l’Italia, paese di transito verso il resto d’Europa».
Ma che cosa ti combina la Perfida Albione? Accoglie un rottame del fascismo e gli offre uno o più dei 5 o 6 pasti che Benito Mussolini indicava come esempio evidente della decadenza inglese? Immagino lo sconforto degli spacciatori di banalità così affezionati alle mie “preghiere del mattino”.
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Su Huffington Post Italia Stefano Fassina scrive: «Come se non fosse sufficiente quanto ricordato sopra, ai fattori di aggravamento del rischio di ristrutturazione del debito pubblico, quindi fattori di austerità e freno all’economia reale, si potrebbero aggiungere le incognite sull’Unione bancaria. Si compirà? Quale trattamento contabile verrà riservato ai titoli di Stato in pancia alle banche? La Germania e altri Stati “rigoristi” intendono ancora attribuire un coefficiente di rischio a ciascun titolo sovrano, ora pari a zero per tutti? Dato che tale linea attiverebbe, per noi, una spirale esiziale tra banche e finanza pubblica, non sarebbe opportuno avere rassicurazioni prima di ratificare il Mes? I caratteri dei provvedimenti in discussione diventano ancora più pericolosi alla luce di due decisioni già assunte a Francoforte e Bruxelles. Prima e di gran lunga più grave decisione, la svolta della Bce nonostante l’economia di guerra e l’inflazione importata. Seconda decisione: la deroga alla disciplina degli aiuti di Stato per rispondere alla curvatura protettiva delle politiche industriali della Casa Bianca. In sintesi, restrizione del credito e via nazionale al sostegno delle attività produttive implicano che la competizione, nell’idealizzato mercato unico, diventa ancora di più tra Stati, non tra imprese. Le nostre, a parità di capacità manageriale ed innovativa, saranno le più penalizzate, date l’assenza di risorse di finanza pubblica. Perché dovremmo rassegnarci a un ulteriore impoverimento del tessuto manifatturiero senza provare a difenderci anche attraverso l’accordo sul Mes?».
Una sinistra consapevole che una politica di austerità dell’Unione Europea colpirebbe innanzi tutto i lavoratori, avrebbe un atteggiamento su partite come quella del “Mes” simile a quello di Fassina, molto meno indifferente di quello esibito da un Pd soddisfatto essenzialmente perché il tema mette in difficoltà il governo Meloni. Tra i problemi che l’Italia ha per ricostruire un sistema politico razionale che consenta a Roma di gareggiare alla pari con gli altri grandi Stati dell’Europa, c’è anche questo: una sinistra che non facendo il proprio mestiere rende la discussione pubblica e la costruzione delle decisioni, con anche – quando è necessario – convergenze bipartisan, assai difficile.
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