Ora l’ex Ilva rischia davvero di chiudere e i giudici hanno le loro colpe
L’ex Ilva potrebbe anche chiudere i battenti per sempre. Un epilogo che si rivelerebbe disastroso tanto per i suoi 10.700 operai diretti, quanto per l’indotto e tutto il paese. Dopo la mostruosa e scellerata sentenza di ieri, che ha disposto la confisca degli impianti e oltre 20 anni di carcere per i Riva, il percorso giudiziario dell’ex polo siderurgico più importante d’Europa non è ancora finito.
Il Consiglio di Stato fa saltare tutto?
Come racconta Repubblica, infatti, «nel giro di qualche giorno il Consiglio di Stato deciderà se confermare o meno l’istanza del sindaco di Taranto che ha chiesto (e ottenuto) dal Tar lo spegnimento degli altiforni delle Acciaierie d’Italia», come si chiama oggi l’ex Ilva dopo l’ingresso dello Stato al fianco di ArcelorMittal.
Il progetto del governo non è cambiato: nel 2022 Invitalia diventerà socio di maggioranza in Acciaierie d’Italia con l’obiettivo di produrre 8 milioni di tonnellate annue di acciaio nel 2025 (oggi sono 3) e assorbire tutta la forza lavoro dell’ex Ilva. Lo farà accelerando sulla transizione ecologica, prima con il mix altiforni-forni elettrici e poi con l’idrogeno.
«Se bisogna chiudere, si chiude»
Ma in attesa della sentenza del Consiglio di Stato, e dopo quella di ieri della Corte d’Assise di Taranto, il progetto potrebbe non vedere mai la luce, come ha dichiarato ieri al Fatto Quotidiano il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani: «Il processo di transizione, anche a farlo in fretta, un po’ di anni richiede. Io ora non so se valga la pena di fare la transizione. Uno deve anche capire quale sia il rapporto tra il tempo da aspettare per fare la transizione e la salvaguardia della salute». La transizione si può ancora fare ma
«solo se governo e opinione pubblica sono d’accordo a proseguire nella direzione di salvaguardare dei posti di lavoro. Se però ci fosse per esempio il ministero della Salute che bussa e mi dice “guarda che lì la situazione è insostenibile”, allora io ho finito il mio lavoro. Se bisogna chiudere, si chiude. Io non lo so se la situazione non è riparabile. Faccio quello che posso con le informazioni che ho al momento. Certo questa è una sentenza che fa riflettere molto, ha delle proporzioni colossali.».
L’inquinamento pubblico è buono?
Se l’Ilva chiudesse, i giudici sarebbero riusciti nell’incredibile impresa, iniziata nel 2012, di distruggere l’1% del Pil italiano e oltre diecimila posti di lavoro. Non è chiaro però perché a pagare per disastro ambientale dovrebbero essere soltanto i Riva, dal momento che dal 1960 al 1994 l’allora Italsider è stata proprietà dello Stato. Lo sottolinea oggi Paolo Bricco sul Sole24Ore:
«Perché nessuno ricorda mai le responsabilità di chi ha scelto di raddoppiare il siderurgico negli anni Settanta, di chi negli anni Ottanta ha fatto crescere a dismisura il quartiere di Tamburi a ridosso dell’acciaieria, di chi negli anni Novanta ha tollerato nella fabbrica la presenza di aziende di clan mafiosi, di chi non si è mai interessato al potere inquinante della allora Italsider? L’inquinamento pubblico era buono? La linea è stata tirata. Ma tante cose rimangono al di fuori».
La Fiom-Cgil non vuole neanche pensare alla possibile chiusura dell’ex Ilva: «Sarebbe una beffa insopportabile». Ma come nota ancora Repubblica, anche se la confisca degli impianti richiesta dalla Corte di Taranto si verificherà soltanto se la sentenza sarà confermata in terzo grado, «non si può fare finta di niente: nulla sarà più come prima».
Il nodo Recovery Fund
Di mezzo c’è anche il problema del Recovery Fund. Come spiega ancora il ministro Cingolani:
«Attenzione, io ho un mandato specifico dalla Commissione Europea su settori come quello dell’Ilva. Io poi devo rendicontare alla Commissione europea se ho speso un miliardo su un forno di un’azienda su cui peseranno sentenze o altre decisioni. La sentenza mi spinge ad andare a chiedere: scusate ora che succede?».
A che titolo i giudici «trattano»?
Anche i giudici e la Procura di Taranto, insomma, dovranno prendersi le loro responsabilità. Scrive ancora Bricco sul Sole:
«Comprare una acciaieria confiscata è un controsenso logico. A meno che l’acquirente non negozi da subito con la magistratura di Taranto un nuovo mix produttivo che essa – non si capisce bene con quali competenze – giudichi idoneo a non inquinare come ha fatto finora il ciclo integrale».
Foto Ansa
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