Il Green Deal senza risorse spingerà «due o tre» paesi a uscire dall’Ue

Di Rodolfo Casadei
28 Febbraio 2020
L’ex presidente rumeno Trajan Basescu spiega perché i 1.000 miliardi promessi da Bruxelles non bastano a realizzare gli obiettivi energetici e climatici del piano
green deal ue

Nella sua forma attuale, il Green Deal approvato dalla Commissione europea provocherà nel medio termine la fuoriuscita dalla Ue di due o tre paesi dell’Europa orientale. Ad affermarlo non è un esponente del governo polacco, l’unico che non ha sottoscritto il programma europeo di emissioni zero entro il 2050, o gli ipercritici ungheresi e cechi che hanno preteso l’inclusione del nucleare nel mix energetico “verde” per approvarlo, ma un leader che ha portato il suo paese nell’Unione Europea e che ha sempre militato in partiti affiliati al Partito popolare europeo (Ppe): l’ex presidente rumeno Trajan Basescu.

1.000 MILIARDI NON BASTANO

In una lunga intervista al sito Euractiv, l’uomo che è stato presidente della Romania dal 2004 al 2014 sopravvivendo a due tentativi di impeachment dichiara senza mezzi termini che molti paesi della Ue non dispongono delle risorse finanziarie necessarie per realizzare gli obiettivi energetici e climatici del Green Deal, che a suo parere costa molto di più dei 1.000 miliardi di euro che il programma si propone di mobilitare nel corso del decennio 2020-2030 e che confliggono con gli obiettivi di sviluppo infrastrutturale e di politica sociale dei paesi meno avanzati. Si creeranno perciò le condizioni per la fuoriuscita dalla Ue di altri paesi dopo quella del Regno Unito.

«Il Green Deal è un programma politico che diventerà credibile solo quando sarà accompagnato da specifiche misure che tengano conto della diversità delle economie degli stati membri. Perché il Green Deal abbia successo, occorre un ragionevole equilibrio fra tecnologia, economia e politiche sociali, ambiti che non hanno sempre gli stessi obiettivi. La Commissione europea ha il dovere di avanzare proposte praticabili per il Green Deal. Solo quando ci sarà più chiarezza e si sarà analizzato l’impatto del Green Deal sulla nostra economia vedremo se la Ue resterà unita o se perderà due o tre membri. Ci saranno inevitabilmente tensioni, perché mi aspetto che a un certo punto la Commissione europea imporrà sanzioni a chi non si attiene agli obiettivi del Green Deal. Questo accadrà perché i costi per la trasformazione delle economie della Ue sono superiori a quanto previsto, e molti paesi non hanno le risorse per attuare il programma stabilito, specialmente in considerazione del fatto che hanno da realizzare anche le loro priorità nazionali di sviluppo».

«OBIETTIVI IRREALISTICI»

Per venire incontro alle esigenze dei paesi che storicamente ricavano la maggior parte della loro energia dal carbone, fonte di grandi emissioni di CO2, e alle preoccupazioni di «minatori, contadini delle torbiere e operatori del petrolio di scisto», secondo l’elenco fatto dal vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans al momento dell’annuncio, la Ue ha deciso di creare il Meccanismo per una transizione giusta (Mgt): un fondo di aiuti riservati ai paesi destinati a patire i costi maggiori dalla rinuncia alle fonti energetiche tradizionali. Il fondo disporrebbe di 100 miliardi di euro per dieci anni, ma in realtà i soldi “freschi” sono solo 7,5 miliardi: tutto il resto è rappresentato da prestiti bancari, auspicati investimenti privati e finanze dei fondi di coesione sotto altro nome.

Basescu è molto critico al riguardo: «Non possiamo porci obiettivi irrealistici e lanciare un Meccanismo per la giusta transizione che è facilmente accessibile solo a coloro che hanno grande esperienza nei Fondi europei, mentre rischiamo di distruggere la politica agricola comune e le politiche di coesione. Non abbiamo i mezzi per agire su tutti i fronti». Il caso della Romania per l’ex presidente è emblematico: «Considero le attuali proposte riguardanti la Romania ridicole. Con 10 miliardi di euro (questo è l’ammontare di risorse destinate a Bucarest dal Mgt, ndr) è impossibile eliminare la produzione di energia dal carbone nel nostro paese, una cosa che dovrebbe comprendere la costruzione di centrali energetiche a impatto zero, la riqualificazione di 20 mila lavoratori del settore minerario, la creazione di posti di lavoro nella regione e la sostituzione dell’attuale energia con energia “verde”. Riuscite a immaginare i costi associati a questi obiettivi ambiziosi? Sono molto più alti di quello che 10 miliardi di euro potrebbero coprire. Capisco che un paese come la Germania sia in grado di attuare un piano del genere, ma la Romania deve prima investire e consolidare la sua infrastruttura, senza dover sacrificare il suo sviluppo alla chiusura delle centrali a carbone».

«DUE O TRE PAESI LASCERANNO L’UE»

Basescu è convinto dell’incompatibilità fra gli obiettivi economici e sociali dei paesi dell’Est e gli obiettivi del Green Deal non adeguatamente sovvenzionati da denaro “fresco”, a partire dal caso della Romania: «Il 40 per cento dell’energia consumata in Romania viene dal carbone. Secondo il Green Deal l’eliminazione del carbone è una priorità assoluta, ma le nostre vere priorità in Romania sono costruire infrastrutture stradali, modernizzare la rete ferroviaria, migliorare il sistema sanitario e quello educativo. In tutti questi settori gli investimenti sono sottodimensionati. Non possiamo compromettere i nostri progetti infrastrutturali in nome del Green Deal, semplicemente perché questi progetti sono la chiave del nostro sviluppo. Questo genere di discrepanze fra le priorità della Ue e le priorità nazionali produrranno probabilmente grandi tensioni nella Ue che potrebbero spingere certi paesi a considerare la possibilità di abbandonare del tutto l’Unione».

L’ex presidente non si esime dall’accusare Bruxelles di ipocrisia su tutta la faccenda: «Corriamo il rischio reale di trasferire le manifatture ad alta intensità di emissioni in paesi esterni all’Unione Europea dove le emissioni di CO2 non sono tassate, causando un aumento di disoccupazione nella Ue. Al momento presente, la Ue già importa più CO2 di quanta ne esporta: stiamo consumando emissioni di gas a effetto serra che non abbiamo prodotto noi. (…) Al momento presente, il Green Deal è un mero esercizio politico da parte della Commissione. È responsabilità della Commissione dimostrare che può fornire un contributo reale e che può congegnare soluzioni intelligenti per tutti i suoi stati membri».

Le decisioni finali sul Green Deal verranno prese al prossimo summit del Consiglio europeo nel mese di giugno. Si deciderà allora se i progetti per la valorizzazione del gas naturale e per la costruzione di centrali nucleari possono essere considerati compatibili col Green Deal. Un “no” aprirebbe conflitti fra gli stati membri il cui esito è difficile prevedere.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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