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I botti di fine anno della persecuzione religiosa in Cina

Negli ultimi giorni del 2019, il Partito comunista ha fatto condannare il pastore Wang Yi e introdotto nuovi regolamenti che strangoleranno tutte le religioni

Leone Grotti
03/01/2020 - 1:00
Esteri
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wang yi

Peggio non si poteva concludere il 2019 per le religioni in Cina. La sentenza di condanna a nove anni di carcere per il pastore protestante Wang Yi, emessa il 30 dicembre, e le nuove «misure amministrative per i gruppi religiosi», annunciate il 31 dicembre, fanno temere che il 2020 sarà ancora peggiore dell’anno appena concluso dal punto di vista della persecuzione religiosa in Cina.

WANG YI CONDANNATO

Wang, attivista democratico ai tempi di Piazza Tienanmen, dopo essersi convertito al cristianesimo è diventato il leader della Chiesa della prima pioggia. Arrestato nel dicembre 2018 insieme a un centinaio di membri della sua comunità a Chengdu, è stato condannato per «incitamento alla sovversione contro il potere statale» e «commercio illegale».

Il pastore, come riportato da AsiaNews, aveva criticato pubblicamente i nuovi regolamenti sulle attività religiose entrati in vigore nel 2018, definendoli uno strumento per soffocare la libertà religiosa. Aveva anche denunciato il tentativo del regime comunista di sostituire sugli altari delle chiese le immagini religiose con il ritratto del presidente cinese Xi Jinping. Per quanto riguarda l’accusa di «commercio illegale», non gli è stata perdonata la stampa e diffusione di Bibbie e altri libri religiosi.

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«DEVO DENUNCIARE IL REGIME»

Nel 2018 tempi.it aveva tradotto il testamento spirituale di Wang, che lui stesso aveva chiesto di diffondere in caso di arresto, nel quale scriveva:

«Sulla base degli insegnamenti della Bibbia e della missione del Vangelo, io rispetto le autorità che Dio ha stabilito in Cina. Sono però pieno di rabbia e disgusto nel vedere la persecuzione della chiesa per mano del regime comunista e nel vedere la malvagità con cui deprivano le persone della libertà religiosa e di coscienza. Come pastore di una chiesa cristiana, io devo denunciare apertamente e duramente questa malvagità. La chiamata che ho ricevuto mi richiede di usare dei metodi non violenti per disobbedire a queste leggi umane che disobbediscono alla Bibbia e a Dio. Cristo, il mio Salvatore, mi richiede anche di sopportare con gioia il prezzo della disobbedienza. A prescindere dal reato di cui mi accuseranno, se è collegato alla mia fede, ai miei scritti, ai miei commenti, ai miei insegnanti, sarà solo una bugia. Nego categoricamente tutto. Le autorità possono separarmi da mia moglie e i miei figli, distruggere la mia vita, la mia famiglia e rovinare la mia reputazione. Ma non possono obbligarmi a ripudiare la mia fede».

LA CHIESA DEVE «ADERIRE AL PARTITO»

Il giorno successivo alla condanna di Wang, il Partito comunista ha aggiunto un altro importante tassello normativo alla sua strategia di persecuzione religiosa che prende le mosse dal discorso sulla sinicizzazione del 2015 di Xi Jinping. L’1 febbraio, infatti, entreranno in vigore nuovi regolamenti a cui tutti i gruppi religiosi in Cina dovranno rifarsi. Come riporta AsiaNews, «ogni aspetto della vita delle comunità religiose – dagli insegnamenti, ai raduni, ai progetti annuali e quotidiani – è sottomesso ad approvazione dal dipartimento per gli affari religiosi del governo. Oltre al controllo capillare di ogni mossa delle comunità, le nuove misure esigono che il personale religioso sostenga, promuova e attui fra tutti i membri delle loro comunità una sottomissione totale al Partito comunista cinese».

L’articolo 5 delle «misure amministrative» ribadisce in particolare che «le organizzazioni religiose devono aderire alla leadership del Partito comunista cinese, osservare la costituzione, le leggi, i regolamenti, gli ordinamenti e le politiche, aderire al principio di indipendenza e di auto-governo», che nel caso della Chiesa cattolica significa nel concreto obbedire a Pechino e non al Papa, «aderire alle direttive sulle religioni in Cina, attuare i valori del socialismo».

MEGAFONI DELLA DOTTRINA COMUNISTA

L’articolo 17 impone anche alle religioni di «diffondere i principi e le politiche del Partito comunista cinese» ed «educare il personale religioso e i cittadini religiosi a sostenere la leadership del Partito». Le nuove misure tolgono ogni parvenza di libertà, inoltre, alle comunità locali, come spiegato da Massimo Introvigne su Bitter Winter:

«Nella pratica, qualsiasi mossa di una qualche rilevanza da parte della comunità religiosa deve essere sottoposta in via preliminare ai burocrati del Partito e messa in pratica solo se approvata. La legge stabilisce che “senza l’approvazione del Dipartimento per gli affari religiosi del governo del popolo, o senza la registrazione presso il Dipartimento per gli affari civili del governo del popolo, i gruppi religiosi non possono condurre alcuna attività”».

LA «NUOVA CINA» È GIÀ VECCHIA

Se è questa la «nuova Cina» che il presidente Xi ha esaltato nel suo lungo discorso alla nazione di fine 2019, titillando i sentimenti patriottici della popolazione, essa assomiglia molto a quella vecchia della Rivoluzione culturale, quando la fede fu messa al bando. C’è però una differenza: Mao Zedong ha cercato di cancellare la religione con la violenza, ma ha fallito nel suo intento se è vero che dopo 70 anni di predicazione esplicita dell’ateismo, oggi circa 400 milioni di cinesi, un terzo della popolazione, aderiscono a una religione. Pur mantenendo lo stesso obiettivo, Xi ha cambiato strategia, cercando di eliminare le religioni svuotandole e trasformandole in tanti megafoni della dottrina del Partito comunista. Wang è stato condannato perché si è opposto a questa nuova strategia, convinto che «c’è un’autorità più grande [di quella del Partito] e una libertà che non possono costringere».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: Cinapartito comunistawang yi
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