«Ho taciuto per 30 anni. Ora devo dire cos’è successo a Piazza Tiananmen»

Di Leone Grotti
29 Maggio 2019
Jiang Lin, ex colonnello dell'Esercito popolare di liberazione, racconta il massacro del 4 giugno 1989: «La brutalità di quella notte mi ha scioccata. La visione era insopportabile: come se stessero violentando mia mamma»

Sono passati 30 anni dalla strage di Piazza Tienanmen. Sono passati 30 anni da quel 4 giugno 1989, quando il regime comunista ordinò all’esercito di massacrare gli studenti, che a centinaia di migliaia si erano assiepati sotto il grande ritratto di Mao Zedong per chiedere più libertà di stampa, democrazia e meno corruzione. L’esercito annientò la più grande manifestazione pacifica di popolo della storia nel modo più orribile: inseguendo gli studenti inermi alle spalle, quando già avevano abbandonato la piazza.

LA GRANDE CENSURA

Ancora oggi il regime nega il massacro, dove sono morti, a seconda delle stime, tra i 300 e i 10 mila cinesi. Ancora oggi il partito comunista impedisce al suo popolo di conoscere la verità, censura internet e i libri di storia, arresta gli attivisti che chiedono al governo di riconoscere le sue colpe e vieta alle famiglie di commemorare e piangere le vittime. Nonostante tutti gli sforzi, però, l’esecutivo guidato da Xi Jinping non può impedire ai protagonisti che hanno vissuto quei giorni drammatici di gridare la verità.

Jiang Lin, 66 anni, è rimasta in silenzio per 30 anni. Colonnello dell’Esercito popolare di liberazione al tempo del massacro, decise nel 1989 di non partecipare alle operazioni e di percorrere le vie attorno a Tienanmen per documentare l’offensiva dei carri armati. Jiang ha sentito sibilare le pallottole dei fucili, ha visto i cingolati falciare gli studenti e i cadaveri ammassati lungo le strade in mezzo a pozze di sangue.

«DOBBIAMO PARLARE DEL 4 GIUGNO»

Dopo 30 anni passati a tacitare la sua coscienza, Jiang ha deciso di raccontare ciò che ha visto al New York Times e di rivolgere un appello pubblico al partito comunista perché ammetta le sue terribili colpe. «Il dolore mi ha divorato per 30 anni, tutti coloro che hanno partecipato al massacro devono parlare di quello che è successo. Lo dobbiamo ai morti, ai sopravvissuti e ai figli della Cina del futuro».

Figlia di un generale, Jiang è entrata nell’esercito a 16 anni, intraprendendo la carriera di giornalista militare. Il colonnello racconta che il generale Xu Qinxian, comandante del 38esimo battaglione, si rifiutò di guidare le sue truppe nel centro di Pechino dopo l’introduzione della legge marziale. Insieme ad altri sei comandanti firmò una lettera in cui si dichiarava contrario e la inviò alla Commissione militare centrale: «L’Esercito di liberazione del popolo è l’esercito del popolo e non dovrebbe entrare in città o sparare sui civili».

MORTI A DECINE E DECINE

La lettera non sortì alcun risultato e l’esercito entrò a Pechino il 3 giugno, circondando la piazza. In quelle ore cruciali Jiang smise i panni del militare e indossò quelli civili per fare il suo lavoro di giornalista, correndo il rischio di essere uccisa insieme agli altri manifestanti. Nei pressi della piazza – in mezzo a spari, esplosioni, roghi e grida – venne aggredita da una decina di militari e picchiata.

Trasportata in ospedale su una bicicletta, vide arrivare morti e feriti a decine e decine. «La brutalità di quella notte mi ha scioccata. La visione era insopportabile: come se stessero violentando mia mamma. Una follia. Come si potevano usare carri armati e mitragliatrici contro il popolo?».

TEMPI DEDICA UNO SPECIALE A TIENANMEN

Nei mesi successivi al 4 giugno 1989, Jiang è stata interrogata più volte dalle autorità e arrestata per aver scritto un resoconto dettagliato di ciò che ha visto, pur non avendolo mai pubblicato. Per anni ha atteso una pubblica ammenda dei leader comunisti. Che non c’è mai stata. E oggi, che ha abbandonato il paese, afferma: «L’immenso potere del partito comunista è costruito sulla sabbia. Se puoi continuare a negare di aver massacrato il popolo, ogni menzogna è possibile. Più di una volta ho sognato di visitare Tienanmen vestita a lutto e di lasciare in piazza un mazzo di gigli bianchi».

Jiang sottolinea l’importanza di non dimenticare gli eventi del 4 giugno. Ed è per questo che la prossima copertina di Tempi sarà dedicata a Piazza Tienanmen. Il numero conterrà uno speciale con la preziosa testimonianza di Zhou Fengsuo, leader degli studenti, dichiarato dopo il massacro nemico pubblico numero 5 dal regime. A Tempi ha parlato anche Albert Ho Chun-yan, attivista e politico che a Hong Kong ha fondato il Museo del 4 giugno, l’unico luogo sotto il controllo della Cina dove si può conoscere la verità su Tienanmen senza essere arrestati: «Noi abbiamo il compito di cercare la verità e utilizzare quel poco di libertà che ancora ci resta per comunicarla. Dobbiamo farlo per tutti quei cinesi ridotti al silenzio dal regime e per dimostrare a Pechino, e al mondo intero, che non abbiamo dimenticato quello che è successo nel 1989. Non dimenticheremo mai Piazza Tienanmen».

@LeoneGrotti[</p>

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