
Nel 2023 si può ancora finire in carcere per due fiori e una candela? Sì! È successo qualche giorno fa a Hong Kong nel giorno del trentaquattresimo anniversario dei fatti di Piazza Tienanmen, alla leader dei socialdemocratici Chan Po-ying. Un video, dove le autorità cinesi l’hanno caricata su un furgone della polizia, ha fatto il giro del mondo. L’arresto è risultato dell’imposizione da parte di Pechino sull’ex colonia britannica di una legge sulla sicurezza nazionale a giugno del 2020 per reprimere il dissenso, in risposta alle manifestazioni di massa pro-democrazia del 2019.
Quella scena mi ha molto colpito, perché nell’immaginario collettivo Hong Kong per molti decenni è stato l’unico luogo dove nella grande Cina sembrava regnare una parvenza di libertà a valle degli accordi che disciplinavano l’ex protettorato britannico. Seppure nel 1997 a Hong Kong sono scadute le “convenzioni”, il colosso asiatico si era impegnato a mantenere invariato per 50 anni il sistema economico e sociale. Infatti, le sue fortune economiche sono ancor oggi strettamente connesse con le funzioni finanziarie e commerciali già esercitate nella colonia britannica.
Ebbene, le immagini che abbiamo visto mi hanno colpito e in qualche modo scioccato, perché Taiwan potrebbe seguire il medesimo destino. In questi giorni il ministro della Difesa cinese Li Shangfu ha messo in guardia che Pechino «non promette di rinunciare all’uso della forza» quando si tratta di Taipei, considerata parte “inalienabile” del suo territorio. La Cina, ha osservato Li nel suo discorso allo Shangri-La Dialogue in corso a Singapore, «non esiterà» a prendere le relative contromisure «se verrà perseguita l’indipendenza di Taiwan e salvaguarderà la sua sovranità ad ogni costo», assicurando che la «riunificazione ci sarà».
Ciò che però mi ha suggerito un ulteriore riflessione è il fatto che noi europei diamo ormai per scontato di vivere in Stati che ci garantiscono libertà e democrazia. Ogni volta che si perde il senso profondo di queste conquiste inconsciamente si toglie valore alla loro essenza inalienabile, si deteriora la consapevolezza di questo bene assoluto.
Da noi sarebbe inconcepibile venire arrestati per due fiori e una candela, anzi talvolta ci pare addirittura eccessiva l’impunità per qualunque forma di protesta, anche le più incomprensibili come imbrattare i monumenti o le opere d’arte.
Dobbiamo ricordarci, ogni giorno, fare memoria a noi stessi, che sono molti i luoghi del mondo che non godono delle nostre libertà.
Ogni anno l’autorevole settimanale The Economist pubblica tra gennaio e febbraio il “Democracy Index” ossia l’Indice/l’Indicatore di Democrazia/Democraticità del Mondo, di 165 Stati ed è un parametro pressoché scientifico cui affidarsi per acquisire elementi di consapevolezza su come sta la democrazia oggi. Ebbene, su 165 Paesi presi in considerazione sono “democrazie piene” 24 e 48 “democrazie imperfette”, i “regimi ibridi” sono 36, ma ben 59 i “regimi autoritari”.
Nei prossimi decenni ci ritroveremo a confrontarci con scontri che non avranno più nulla a che vedere con quelli del XX secolo, dove la dialettica era tra un modello marxista-comunista e uno liberal democratico. Abbattuta la cortina di ferro, il conflitto si è spostato tra un mondo governato con un assetto democratico basato sullo stato di diritto e autocrazie come la Cina e la Russia, dove la democrazia è spesso solo un simulacro che fa da paravento a regimi autoritari. Regimi che mostrano, il più delle volte, efficienza e capacità decisionali, incomparabili con quelle delle democrazie. E qui sta il punto di svolta. È spesso facile cadere nell’errore di confondere le prassi del dialogo democratico, con le sue assisi e i suoi riti, come una perdita di tempo, essi invece rappresentato l’essenza della pluralità, della capacità di tenere assieme pensieri, talvolta dottrine differenti, sotto il medesimo ombrello costituzionale. Le democrazie non sono modelli perfetti e infallibili, ma esse ci consentono di essere uomini liberi, di professare il nostro credo religioso, di esprimere anche il nostro dissenso e le nostre più profonde convinzioni.
Due fiori e una candela rappresentano il gesto dell’umanità che si fa prossima all’Altro, testimoniano il simbolo che offriamo ai nostri morti, la capacità di guardare al passato e al futuro con speranza e fiducia nell’umanità.