Germania, una Chiesa così perfetta che Cristo è un optional

Di Giuseppe Reguzzoni
10 Febbraio 2020
La gerarchia tedesca chiede a gran voce di aggiornare la morale cattolica per conformarsi al mondo e non perdere fedeli. Non capendo, come diceva Benedetto XVI, che è proprio la “mondanizzazione” l’origine dei suoi problemi
Il cardinale Reinhard Marx

Articolo tratto dal numero di febbraio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Pochi giorni dopo la conclusione del sinodo sull’Amazzonia (ottobre 2019), i vicari generali di dieci diocesi tedesche hanno sottoscritto un documento in cui si afferma la necessità di una «riforma essenziale», che modifichi «in modo significativo la pratica pastorale attuale».

Nel frattempo è stato avviato il percorso verso il sinodo della Chiesa tedesca, nella cui organizzazione una parte importante è stata riservata al Zentralkomitee der deutschen Katholiken (Zdk), il Comitato centrale dei cattolici tedeschi, di orientamento ultraprogressista e sostenuto da gran parte dell’episcopato tedesco. Il Zdk è apertamente schierato per una revisione dell’etica sessuale familiare cattolica, oltre che per la fine del celibato ecclesiastico e per l’ordinazione delle donne, anche in risposta alla spaventosa crisi di vocazioni di cui soffre la Chiesa tedesca.

Sempre a ridosso del sinodo sull’Amazzonia, Klauss Pfeffer, vicario generale della diocesi di Essen, ha dichiarato: «Roma ovviamente non ha ancora capito in che enorme crisi la Chiesa cattolica si trovi, e non solo in Germania ma nel mondo intero».

Carl Schmitt scrisse una volta che i tedeschi, per il loro naturale spirito di ubbidienza, hanno bisogno di istituzionalizzare persino la disobbedienza. Non è una spiegazione, ma è un buon inizio per cercare di capire perché proprio la Germania sia nuovamente divenuta il fulcro della crisi.

Sarebbe un errore pensare che si tratti principalmente di un movimento dal basso, nonostante la presenza, da anni, di realtà laicali come Wir sind die Kirche, “Siamo noi la Chiesa”, che spingono per una democratizzazione della Chiesa cattolica, da loro intesa come un’estensione al laicato, maschile e femminile, di quelle che considerano le prerogative della gerarchia cattolica; con ciò è evidente che in realtà si tratta di “clericalizzazione” del laicato, cosa che sta avvenendo da tempo nelle parrocchie tedesche con la presenza dei cosiddetti «referenti pastorali», donne e uomini laici (ovviamente retribuiti), che gestiscono, di fatto, la pastorale parrocchiale, ben al di là di quanto consentito dal diritto canonico. Si dice «maggiore partecipazione dei laici», ma significa laici che fanno quello che dovrebbero fare i preti.

A monte, però, c’è proprio una parte della gerarchia, da decenni in una sleale rotta di collisione con Roma. Poche Chiese locali sono tanto istituzionalizzate come quella tedesca, vale a dire completamente centrate sulle strutture di governo ecclesiastico locale. È lì che nascono le “fughe in avanti”, presentate, poi, come proposte di riforma. Da molti anni quasi tutto quello che il “sinodo tedesco” vorrebbe ottenere da Roma è già realtà di fatto, ampiamente tollerata, se non voluta, da molti vescovi.

Un’amica bavarese, profondamente credente, mi diceva, addolorata, a proposito della sua «pastoralreferentin», che, dopo aver tenuto un’omelia sull’accoglienza, era rimasta sull’altare mentre veniva pronunciato il Canone e ne aveva persino letto qualche parte: «In fondo basterebbe che le togliessero la sua cospicua indennità mensile e si cercherebbe qualcos’altro da fare».

È triste dirlo, ma una buona parte della crisi che investe la Chiesa tedesca è questione di soldi e istituzioni, e questo è il primo elemento tipicamente tedesco. L’altro è la crisi di fede, e questo non è certamente solo tedesco, ma in Germania, come spesso è capitato negli ultimi secoli, assume una sua specifica coerenza intellettuale. Del resto, forse nulla è più emblematico di questo aspetto della crisi quanto l’immagine del suo primate, il cardinale Reinhard Marx, che nasconde la croce a Gerusalemme… Proprio lui che nel 2015 gridò al mondo che «non siamo una filiale di Roma e non sarà un Sinodo a dirci cosa fare in Germania».

La Chiesa cattolica in Germania ha una struttura così pesante che in essa c’è davvero poco spazio per lo Spirito. È un rilievo di papa Benedetto XVI, che, in visita a Friburgo nel 2011, aveva invocato per la Chiesa tedesca una «entweltlichung», una demondanizzazione, concetto già espresso nella sua intervista a Peter Seewald del 1997, Il sale della terra, quando aveva parlato, proprio per la Germania, di strutture e istituzioni magari efficienti sul piano mondano, ma vuote di spirito e, dunque, inutili, se non nocive.

Chi non paga non riceve i sacramenti

Al lettore italiano può sfuggire, forse, che cosa si intenda qui per «strutture istituzionali» e, allora, è il caso di dare almeno qualche riferimento più preciso, dato che non si tratta solo di un complesso e teutonico sistema burocratico, ma di una realtà in cui potere finanziario e innovazioni dottrinali vengono a congiungersi strettamente.

Le origini del potere economico della Chiesa tedesca sono remote e richiederebbero una complessa disamina storica, ma, allo stato attuale derivano sostanzialmente da quattro elementi: 1) il patrimonio materiale; 2) i risarcimenti e gli indennizzi ancora in essere delle secolarizzazioni del 1803 e di quelle successive, ereditati dall’Impero seguito all’unificazione tedesca, e arrivati sino alla Repubblica federale, che continua a farsene carico; 3) i finanziamenti statali diretti agli enti e istituzioni ecclesiali (scuole, ospedali, enti universitari, consultori); 4) La Kirchensteuer o «tassa ecclesiastica».

Quest’ultima è certamente l’elemento più problematico, oltre che il più redditizio. In Germania non esiste l’equivalente dell’8×1000, ma lo Stato, sulla base di una tradizione che risale ai concordati ottocenteschi e a quello con il Terzo Reich, funge da agenzia di riscossione per le Chiese. Si tratta di una tassa alquanto salata, se si pensa che, a fronte di circa venticinque milioni di cattolici (meno della metà dei cattolici italiani), la Kirchensteuer nel 2018 ha fruttato alla Chiesa tedesca 5,6 miliardi di euro (cinque volte le entrate dell’8×1000). Quindi, l’unico modo per evitare di pagare questa tassa è dichiarare la propria «uscita dalla Chiesa» (Kirchenaustritt), con una procedura complessa.

Ogni cittadino tedesco o contribuente ivi residente è tenuto a esplicitare la propria confessione religiosa o la propria opzione agnostica, al fine di versare questa tassa. La gerarchia cattolica tedesca è arrivata a negare sacramenti e funerali a coloro che hanno dichiarato la propria «uscita» per evitare di pagare le tasse, con una rigidità ben poco misericordiosa. Ciò nonostante, le richieste di uscita stanno aumentando di anno in anno, da una media annuale tra lo 0,3 per cento e lo 0,5 per cento del numero complessivo di fedeli contribuenti tra il 1990 e il 2017 a picchi intorno all’1 per cento nel 2018 e nel 2019.

Non sono poche le figure autorevoli del mondo cattolico tedesco a ritenere che per frenare questo fenomeno occorrerebbe “aggiornare” la Chiesa, rendendola più attraente per il mondo. Peccato che l’emorragia di fedeli dalle tasse ecclesiastiche colpisca in misura uguale, se non maggiore, anche la Chiesa evangelica tedesca, che pure ha già da anni, se non da secoli, posto in essere quanto il cattolicesimo progressista oggi pretende.

Nella terra di Lutero e del Sola Scriptura pare ci si sia dimenticati del detto salmico: «L’uomo nella prosperità non comprende». E, infatti, non si comprende il nodo decisivo. A parte l’ovvio interesse personale a pagare meno tasse, da cui non sono esenti neppure i cittadini germanici, è come se la «entweltlichung», la demondanizzazione della Chiesa di cui parlava Benedetto XVI, fosse imposta dal mondo stesso, stanco e demotivato rispetto a un eccesso di strutture senza anima.

Del resto, anche i numeri di queste strutture sono impressionanti, specie per chi dall’Italia guarda con una certa invidia scuole, ospedali e opere cattoliche ampiamente finanziati con denaro pubblico. Un altro sguardo, anche molto rapido ad altri numeri, può darci un’idea di che cosa sia questa «mancanza di spirito».

Materiale parapornografico e esoterico

Secondo i dati forniti dal sito Arbeits-abc, dedicato al mercato del lavoro in Germania, le due Chiese, cattolica ed evangelica, con un milione e trecentomila dipendenti diretti sono il più grande datore di lavoro del paese, secondo solo allo Stato e ampiamente davanti a tutti i gruppi industriali e terziari tedeschi. Quasi tutto è retribuito: preti, referenti pastorali, sacrestani, campanari, organisti (cosa di per sé non malvagia); il tutto sorretto da un’efficiente e corposa burocrazia ecclesiastica, che, di tanto in tanto, fatica a trovare delle ragioni autentiche che motivino una presenza di opere di ispirazione religiosa in una società ampiamente secolarizzata.

È il caso della questione dei consultori cattolici, che si trascina ormai dalla metà degli anni Novanta e che, all’epoca, fu motivo di attriti tra la Conferenza episcopale tedesca e Giovanni Paolo II, oggi peraltro quasi del tutto messa a tacere per non creare imbarazzi. I consultori, come quasi tutte le opere legate alle due grandi Chiese, sono ampiamente finanziati dalla Federazione, a condizioni molto precise. Infatti, in base ai meccanismi legislativi che regolano l’interruzione di gravidanza in Germania, questa è possibile solo in presenza di un attestato rilasciato da un consultorio pubblico o riconosciuto dallo Stato. È quel che accade, appunto, nei quasi quattrocento consultori cattolici che, per essere in regola con la normativa federale (e ricevere i finanziamenti), devono prevedere e applicare questa possibilità.

In termini diversi, però, è anche il caso della celeberrima catena di vendite – online e diretta – di media, libri e oggettistica di arredamento, Weltbild, il cui pacchetto azionario di maggioranza è detenuto da dodici diocesi tedesche. Nel 2008 un gruppo di iniziativa cattolica raccolse settanta pagine di documentazione che dimostrava la vendita di materiali parapornografici ed esoterici, senza che, peraltro, vi fossero particolari reazioni da parte dell’episcopato interessato, salvo ricordare che la Weltbild è sì una controllata, ma che ha un proprio management autonomo, che risponde alle leggi del mercato.

«Pecunia non olet», si diceva ai tempi dell’imperatore Vespasiano, ma le cose non sembrano molto cambiate. Sono solo esempi, ma quello della Weltbild, oggi passata nel dimenticatoio mediatico, ha un suo spessore metaforico, dato che Weltbild significa «immagine del mondo», mentre la Scrittura invita i credenti a essere la «luce del mondo».

Cristianesimo senza Assoluto

Il potere economico e la necessità di garantirlo c’entrano molto, è indubbio. Tuttavia, almeno brevemente, occorre anche chiedersi che cosa ha fatto sì che queste imponenti e, a loro modo, efficienti strutture, si svuotassero di spirito. La crisi delle istituzioni è sempre anzitutto crisi delle persone e delle idee che le sostengono. Di per sé, le opere e le istituzioni sostenute da profonde motivazioni ideali potrebbero fare cose meravigliose. Se ciò non avviene, è perché qualcosa di essenziale è venuto meno. Forse, per dirla con il cardinale Giacomo Biffi, si è scissa la necessità di essere credibili, da quella, primaria, di essere credenti.

Hans Urs von Balthasar colse perfettamente il «caso serio» in Cordula, quando mise in guardia da un cristianesimo senza Assoluto, ridotto all’umanitarismo del cristianesimo anonimo: «Chi è il cristiano? Uno che impegna la propria vita per i fratelli, perché egli stesso ne è debitore al Crocifisso. Ma che cosa può dare seriamente ai fratelli? Non soltanto cose visibili: il suo dono – ciò che è stato dato a lui stesso – affonda nelle cose invisibili di Dio».

Se scisma c’è o ci sarà, il nodo sarà proprio questo, ma, indirettamente, il fatto che non tutta la Chiesa e la gerarchia tedesca si pongono e si porranno su questa linea di rottura, testimonia che in Germania c’è anche altro.

Foto Ansa

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.