«Comune di Milano fate schifo!!!». Il secco sfogo via Twitter di Stefano Gabbana ha scatenato subito una bufera su internet. In effetti è abbastanza vigorosa la reazione che lo stilista ha scelto di comunicare ai suoi “follower” quando ha appreso che qualcuno a Palazzo Marino ha deciso di «chiudere le porte» a lui e al socio Domenico Dolce per via dei reati fiscali contestati loro dalla procura di Milano.
«NIENTE SPAZI AGLI EVASORI». Ad accendere l’ira di Gabbana è stato a quanto pare un articolo apparso oggi nella cronaca milanese del Giornale (lo stilista ha “twittato” anche la pagina del quotidiano), dove si legge che l’assessore alle Attività produttive della giunta Pisapia, Franco D’Alfonso, pur non avendo ricevuto alcuna istanza da parte di D&G, avrebbe “messo le mani” avanti dicendo che «stilisti come Dolce e Gabbana dovessero avanzare richieste per spazi comunali, il Comune dovrebbe chiudere le porte, la moda è un’eccellenza nel mondo ma non abbiamo bisogno di farci rappresentare da evasori fiscali».
GARANTISMO ADDIO. L’assessore si riferiva con ogni evidenza alla condanna recentemente subita dai due stilisti in materia fiscale. Ma lo zelo inquisitorio di D’Alfonso rischia di danneggiare parecchio non solo una città, Milano, considerata universalmente “capitale della moda”, ma anche la stessa giunta meneghina, che è guidata da un avvocato, Giuliano Pisapia, apprezzato per il solido garantismo (non era un valore di sinistra, il garantismo?). La sentenza che tanto indigna D’Alfonso, infatti, conclude solo il primo grado di giudizio. Il processo nei confronti di Dolce e Gabbana, che peraltro presenta più di un’anomalia (come è ben spiegato in questa intervista), non è affatto finito, visto che i due hanno fatto appello.
«MANCO SE PAGANO». Eppure D’Alfonso insiste ed estende la sua scomunica a tutti: «Agli evasori fiscali non bisogna dare vetrine, non è affare nostro fornire palcoscenici a chi ha evidentemente tutte le disponibilità per procurarseli, la giunta ha discrezionalità per le proprie sedi e progetti, non deve interessarci legare l’immagine e sponsorizzare questi marchi, non è il lustro che cerchiamo». Sedi «come il Castello o piazza Duomo», continua D’Alfonso secondo la sintesi del Giornale, «a stilisti come Dolce e Gabbana non dovremmo concederle neanche se pagassero fior di quattrini».