Da Zaki a Saviano, professione “precario Messia di sinistra”

Di Caterina Giojelli
16 Ottobre 2023
Da «coscienza democratica» a «è solo un ragazzo egiziano» è un attimo: il giovane studente corteggiato da Pd e Repubblica delle Idee imbarazza più di sardine e migranti con gli stivali. Come le lagne del signor Gomorra
Patrick Zaki
Patrick Zaki (foto Ansa)

Maledette «destre giornalistiche» che «da giorni sparano titoli come proiettili» e che trattano Patrick Zaki «non come un giovane studente egiziano, ma come fosse il leader dei progressisti italiani». Tanto per arieggiare il cervello andrebbe ricordato a Massimo Giannini su Repubblica che a fare del giovane studente, graziato dopo una lunga detenzione nelle carceri egiziane, un Martin Luther King non sono state le “destre giornalistiche”.

A meno di ritenere tali la segretaria del Pd, l’ala radicale di Fratoianni e Bonelli, o il presidente della Cgil Maurizio Landini che dal suo rilascio – e rifiuto di usare i voli di Stato – se ne sarebbero litigati la candidatura alle Europee. O Rifondazione comunista, socialisti e Verdi, la Feltrinelli Comics che ha fatto della sua “storia egiziana” un fumetto, Propaganda Live che ha infilato una sua sagoma cartonata nel pubblico o chi gli ha conferito il premio per la Pace di Brescia, la cittadinanza onoraria di Roma e Bologna, il premio Maria Grazia Cutuli.

Zaki e il suo Magic Moment Sardina con Schlein in prima fila

Il ritorno in Italia di Patrick Zaki è stato un evento live, il suo mito nato tra bolla ztl e campagne arcobaleno (secondo gli Lgbt era “uno di noi”, messo ai ceppi perché gay e iscritto alla facoltà di gender qualcosa, e invece ad andare di traverso ai pm egiziani – ma forse pure ai gay quando poi si sposò con una donna e in chiesa – fu un suo articolo in difesa dei cristiani copti) è stato alimentato tra festival culturali, a partire da quello di Repubblica, e Schlein adoranti a pié di palco, giorno dopo giorno. Perché all’oracolo Zaki si poteva chiedere tutto: che ne pensasse di diritti umani, frontiere, condizione delle donne, comunità Lgbtq, salario minimo, clima, purché dicesse male del governo, incarnasse la versione più polposa e con l’occhialetto alla Gramsci dell’intrepida capitana umanitaria candidata in Europa dalla Linke, e tacesse di tabù come la Juventus che ruba.

Sfortunata la sinistra che ha bisogno di eroi come Carola Rackete, scrivemmo allora. E come Zaki, aggiungiamo oggi che il destino del Mandela del Meridione, del Magic Moment Sardina, o del Migrante con gli Stivali si è abbattuto sull’eroe più imbarazzante della combo Lucano, Santori, Soumahoro. Eroi della Repubblica delle Idee demansionati a reietti di quella delle banane. Oggi Zaki non lo vuole più il Sermig all’Arsenale della Pace, né il festival della Pace di Brescia e neppure Fazio a “Che tempo che fa”. Non ora, non a cadaveri del Festival Supernova ancora caldi.

Da “coscienza democratica” a “è solo un ragazzo”

Certo, sia mai che Fazio prenda le distanze da quella frase che è costata all’attivista la presentazione del suo libro Sogni e illusioni di libertà, edito dalla Nave di Teseo, all’Arsenale (il Salone del libro ha dovuto dirottare la sua strombazzatissima anteprima a base di Zaki verso una location dal nome altrettanto suggestivo stante la congiuntura temporale, Hiroshima Mon Amour). La ragione la conoscete per colpa delle «destre giornalistiche»: Hamas faceva di centinaia di giovani israeliani carne da macello e Zaki definiva il primo ministro israeliano un «serial killer». Abbastanza per mandare in sbattimento Fazio che si è affrettato a “rinviare”(«lo aspettiamo sin dalla seconda puntata», nella prima ci sarà la Segre), ma non per finire silenziato dalla pur «addolorata» direttrice del Salone Annalena Benini o in una lista di proscrizione di Christain Raimo (ricordate? Edizione 2019, dimessosi dal comitato editoriale in polemica con la presenza di Altaforte, Raimo lasciava il Salone pubblicando su Facebook un’improbabile black list contro i «neofascisti che si stanno riorganizzando», tra i «razzisti» Pietrangelo Buttafuoco, Alessandro Giuli, Francesco Borgonovo, Adriano Scianca e Francesco Giubilei.

Lontani i tempi in cui Amnesty International denunciava le minacce ricevute da Zaki in seguito all’arditissimo tweet al termine di Juventus-Bologna (“Due cartellini rossi, stanno ancora pagando. Forza Bologna”, «Non capisco come questa escalation sia stata così rapida e perché dopo due anni di silenzio, vengo attaccato dalle stesse persone che una volta mi sostenevano»), il grande teatro giornalistico dei diritti butta così le chiavi del camerino di Zaki (a cui non resta che fare da comparsa alla manifestazione per dire no ai Cpr) e a scanso di equivoci ribadisce che è colpa delle “destre” (premio fantasista al Fatto quotidiano secondo il quale l’attivista è la voce di «ogni coscienza democratica» ma oggetto di «gogna» perché capace di «punti di vista che non piacciono agli opinionisti mainstream»).

La lagna di Saviano che legge i suoi libri e ci vede Solzenicyn

Che poi sarebbe il postulato esistenziale dell’altro fenomeno dell’ecosistema editoriale di sinistra, Roberto Saviano. Uno che ha letto troppi libri e corsivi – i suoi, «i miei libri, i miei canali sono spazi che restano come forma di resistenza», mentre Giorgia Meloni continua a «scardinare la democrazia» – e che sta superando in comizi indifendibili lo stesso Nethanyau visto da Zaki: milioni di persone là fuori vengono minacciate sul serio, sgozzate sul serio, oppresse sul serio, e il nostro condannato a una multa da 1.000 euro per aver chiamato «bastarda» il premier Giorgia Meloni, piagnucola: «Sapevo che in questa Italia la mia assoluzione non sarebbe mia stata possibile», «il governo continuerà a intimidire per sua diretta via o per via dei suoi fiancheggiatori», «Resta la soddisfazione di aver pronunciato parole che hanno messo talmente tanta paura alla presidente del Consiglio, da chiedere a un tribunale di punirmi. Ma io rivendico quello che ho detto fino all’ultima parola», strepita.

E dalle sue parole davvero emerge tutto il narciso che si guarda in copertina sui giornali e nei commenti degli amici sulla Stampa e ci vede Solzenicyn. «Quanto più è grande la menzogna e il potere che la pronuncia, tanto più deve essere alto il grido che la contrasta. Questo ho fatto, questo faccio, questo farò». Di questo si gasa Saviano, «l’onore» di vedere riconosciuto da un giudice di avere agito «per motivi di particolare valore morale», di rappresentare la «voce libera d’Italia», «il dissenso» (“Bastardi” is the new “Discorso agli studenti” di Piero Calamandrei), dopo aver rilanciato l’intramontabile format “Lascio l’Italia – atto trecento”: «In Italia sarà sempre più complicato vivere, sotto tutti i punti di vista», «bisogna capire quanto resterò in Italia». Cose da non scrivere troppo forte, sia mai vengano usate per l’ennesima volta dallo scrittore in delirio di onnipotenza, «Sono già sulla lista nera, gli elettori di Meloni mi invitano a lasciare l’Italia». Ma questa volta le prime pagine dei giornali amici non sono per lui. Questa volta Saviano è meno di una fotonotizia, un inciso su Zaki, poco più della quota frignona a cui la sinistra sempre a caccia di eroi d’Egitto paga pegno e pensione.

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