Come lottano con Hamas i giovani rampolli d’Occidente
Come lottano con Hamas i giovani virgulti d’Occidente. Cresciuti ad “trigger warning”, marce per i diritti e safe space che non turbassero il loro sonno intellettuale, eccoli in piazza. Non più per le donne, i neri, gli Lgbtq, i bagni gender neutral, ma per Hamas; senza tacchi rossi, pugni chiusi e drappi arcobaleno, ma indossando la kefiah e urlando slogan che delegano ai sanguinari terroristi – dalla non esattamente leggendaria sensibilità verso il prossimo -, la causa palestinese.
Quando The Free Press ha chiesto perché esultassero ai ragazzi scesi in piazza a Times Square il giorno seguente al peggior massacro di ebrei dai tempi dell’Olocausto, gli studenti di New York, di origine mediorientale o meno, hanno assicurato «stiamo celebrando il fatto che abbiamo riavuto indietro la nostra terra», «la decolonizzazione», «la violenza è il grido degli oppressi». Allo stesso modo uno studente dei collettivi italiani che hanno sfilato alla Sapienza di Roma con gli striscioni “Nessuna condanna assolve Israele, Sapienza stands with Gaza”, spiegava alle telecamere che era lì per impedire al rettorato di firmare una mozione pro Israele: «Non è possibile che la Sapienza si sporchi le mani del sangue del popolo palestinese», «Roma è antifascista, e antisionista». Seguito da un giovane militante di Potere al Popolo che dopo aver pontificato sui 75 anni di repressione dei palestinesi ha accusato la polizia di avere impedito agli “student” di irrompere al Senato accademico: «Siamo stati brutalmente repressi!».
Alla #Sapienza un presidio di student picchiati dalla polizia. Stavano esprimendo solidarietà alla Palestina
contro la mozione del rettore e del senato accademico a favore di Israele.#FreePalastine #StopBombing #Gaza pic.twitter.com/0Vf6qjJazH— Potere al Popolo (@potere_alpopolo) October 10, 2023
Milano, dalle marce con la Segre alle marce per Hamas
Grande è anche la confusione sotto al cielo di Torino, ma soprattutto di Milano, dove gli studenti hanno sfilato al grido «intifada fino alla vittoria», «Nethanyau assassino», «se l’Ucraina ha il diritto di difendersi anche la Palestina ha il diritto di difendersi», «non cadiamo nel gioco dell’Occidente che ci accusa di terrorismo, ma questo non è terrorismo, è una lotta di liberazione nazionale», «Israele si conferma ancora oggi uno stato terrorista che sta massacrando i palestinesi», «così come i partigiani hanno liberato l’Italia dal fascismo, noi libereremo la Palestina dal sionismo». “Siete per la pace, due popoli due stati?”, chiedono i giornalisti, “certamente”, rispondono alcuni ragazzi, forse ignorando che per Hamas non ci deve essere alcuno stato di Israele perché l’entità sionista ha da essere annientata. Ovviamente ben diversa la risposta di una ragazza dei Giovani palestinesi in Italia (gli stessi della storia su Instagram condivisa dai collettivi dei licei milanesi subito dopo il massacro di sabato: “La Palestina vive! La resistenza vive!”) : «Non vogliamo pace, vogliamo giustizia (…) Non ci sarà pace finché Israele e Occidente non combatteranno i loro mali a partire dall’islamofobia».
Ma come, «l’odio verso Liliana Segre» non era «responsabilità di Matteo Salvini e Giorgia Meloni», «che avvelenano l’Italia con le loro parole di intolleranza e di odio»? Citiamo Saviano per non citare la piramide dell’odio di Laura Boldrini, il fascistometro di Michela Murgia, l’osservatorio sui nuovi fascismi di Enrico Rossi, le liste di proscrizione dei «neofascisti che si stanno riorganizzando» di Christian Raimo, la mappa dell’hate speech di Vox, gli articoli di Colaprico e altri illustri analisti che negli ultimi anni hanno marciato sempre con Segre «per bloccare il virus dell’odio e il contagio della violenza» e opporsi a «razzismo e antisemitismo» presentati come «restaurate idee fondative di un’Europa sovranista». Ricordate la marcia dei 600 sindaci a Milano, «nel cuore simbolo della Resistenza», dove oggi il sindaco Beppe Sala opta per il compromesso (sì alla bandiera di Israele su Palazzo Marino ma con quella della pace)? E tutti quei bei corsi dell’Anpi nelle scuole, le ronde degli acchiappafascisti fuori e dentro le scuole, i “siamo tutti Anna Frank” negli stadi? Valevano solo per gli ebrei forgiati dall’Olocausto?
#Milano, alcuni studenti scandiscono un coro pro intifada al presidio per la #Palestina alla Loggia dei Mercanti pic.twitter.com/8VkeY8jp93
— Local Team (@localteamit) October 10, 2023
Per gli universitari carneficina fa rima con “resistenza”
Alla fine il manifesto di Black Lives Matter Chicago e di Los Angeles sembra quasi naïf: dice “Io sto con la Palestina” in margine alla sagoma di un assalitore in parapendio. L’inconfondibile icona della carneficina di sabato scorso, quando sui ragazzi israeliani del rave Supernova sono planati i terroristi di Hamas, è stata usata anche dagli Studenti Uniti contro l’Apartheid della California State University per il volantino di invito al Giorno della resistenza – protesta per la Palestina.
Alla Columbia è stato in primis un accademico a celebrare «il colpo mortale alla fiducia che i coloni israeliani avevano nei loro militari e nella loro capacità di proteggerli», e le «incursioni» di Hamas, quale legittima «rappresaglia per i pogrom israeliani in corso in Cisgiordania». Seguito a ruota dagli studenti che hanno festeggiato «un momento storico senza precedenti per i palestinesi di Gaza, che hanno fatto a pezzi il muro che li stava soffocando». Il direttore Diversity & Inclusion della Cornell University ha chiamato subito il massacro (ma sarebbe appunto più giusto chiamarlo “pogrom”) «resistenza»; all’università californiana di Berkley si è vegliato per la Palestina a lume di candela. Del “caso Harvard” scoppiato con una lettera aperta nella quale, subito dopo i massacri, 33 gruppi di studenti (da Amnesty International at Harvard ad Harvard Divinity School Muslim Association) hanno dichiarato di considerare «il regime di Israele totalmente responsabile di tutte le violenze» causate da «vent’anni di apartheid a Gaza» abbiamo già detto qui. Ma gli esempi abbondano anche in tutta Europa.
Turbati da Shakespeare e dal clima, non da Hamas
E se in Francia è stato sospeso il prof dell’Università di Parigi-Panthéon-Assas (assurto alle cronache per aver apostrofato gli studenti con un «Se arrivate ancora in ritardo, vi riduco come al rave», «Vi servirebbero lanci di razzi o colpi di kalashnikov per farvi svegliare la mattina») e sono stati segnalati dal preside dell’Ehess i messaggi di «sostegno incrollabile in tutte le sue modalità, compresa la lotta armata, al popolo palestinese» pubblicati dagli studenti di Solidaires étudiants, alla Birkbeck di Londra sono i docenti stessi a giustificare il massacro dei ragazzi del rave invitando i loro coetanei a tifare “resistenza” e all’università di Manchester i poster affissi nei campus che invocano la «vittoria della Palestina» terrorizzano gli studenti ebrei.
Tifano Hamas studenti di atenei in cui si legge Shakespeare e Chaucer con “l’avvertenza” che le loro opere potrebbero turbare, in cui docenti colpevoli di affermare cose indecenti come “una donna è una donna” e “il sesso biologico esiste” si devono dimettere. Si tifa Hamas nelle università che hanno bisogno del linguaggio “gender-sensitive”, e il filone del “safe space” etnico-razziale e dei nomi e dei termini proibiti in quanto “unsafe” si arricchisce ogni giorno. Tifa Hamas la stessa generazione che manifesta ecoansia e problemi emotivi a causa della “inevitabilità del cambiamento climatico”, che prende d’assalto seminari per affrontare il lutto ecologico e il bournout, e abbatte simboli, statue, libri in ossequio alla cancel culture che tutto condanna e niente condona.
La “neutralità accademica” di chi tifa Blm
«Negli ultimi dieci anni mi è stato detto che le battute, le parole e i dibattiti accademici devono essere soppressi perché possono causare “danni” alle minoranze vulnerabili – ha commentato Claire Lehmann, redattrice di Quillette, su X -. Eppure, quando una minoranza globale viene massacrata, torturata e mutilata, coloro che sopprimono le parole alzano le spalle come se i crimini di guerra non fossero un grosso problema».
Qualcuno come Tom Ginsburg, direttore del Forum per la libertà d’espressione della Chicago University, dice che dopo Hamas verrà rivalutata la virtù della neutralità accademica. Una linea seguita da questa università fin dal 1967, scrive Massimo Gaggi sul Corriere raccontando il “caso Harvard” esploso con la sortita di Larry Summers, democratico, ex ministro del Tesoro ed ex presidente di Harvard, che ha giudicato inaudito l’atteggiamento dell’università. «Summers ammette che la scelta della neutralità accademica può avere una sua ragion d’essere, ma non quando “sull’università di Harvard viene issata la bandiera dell’Ucraina e ci si schiera con decisione dalla parte di Black Lives Matter dopo l’uccisione di George Floyd da parte della polizia”».
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