
Ci sono voluti ben 14 anni, ma alla fine il regime comunista ha deciso di dare sepoltura ai resti di Zhao Ziyang, il segretario generale del Partito comunista che cercò di evitare il massacro di Piazza Tienanmen e per questo venne epurato. La sepoltura è avvenuta il giorno seguente il centenario della sua nascita, il 18 otttobre. Zhao, al contrario di tutti gli altri leader del Partito comunista, non è stato seppellito nel cimitero rivoluzionario di Babaoshan, ma in un altro a 60 chilometri dal centro di Pechino. L’epigrafe sulla tomba non dice nulla del suo passato nel Partito e l’iscrizione non è stata fatta, come di consueto, in ideogrammi di colore rosso e oro (che significano nella cultura cinese ricchezza e potere) ma nero, che ha anche molto significati negativi.
«MIO PADRE CERCÒ DI EVITARE LA STRAGE»
«Solo di una cosa mio padre non si è mai pentito», ricordava nel 2014 in un’intervista al South China Morning Post il figlio Zhao Wujun: «Insistere perché non venissero uccisi quegli studenti». Era il 1989 e Zhao Ziyang, ex premier, ricopriva l’importante incarico di segretario generale del Partito comunista. In tutti i modi Zhao cercò di impedire che il 20 maggio di 30 anni fa venisse dichiarata la legge marziale, preludio alla strage del 4 giugno. Il 19 maggio, il premier fece visita al leader de facto Deng Xiaoping per convincerlo a risparmiare gli studenti, inutilmente.
L’ultima apparizione pubblica di Zhao è passata alla storia: a notte fonda si recò in Piazza Tienanmen, tra gli studenti, e li pregò di abbandonare la piazza pronunciando anche queste famose parole: «Siamo arrivati troppo tardi». Allora i giovani non capirono le sue parole, ma Zhao voleva avvisarli di quello che sarebbe successo e del pericolo che correvano, denunciando allo stesso tempo il fallimento e la brutalità del regime.
EPURATO E MORTO AGLI ARRESTI
Dopo quel giorno, Zhao fu estromesso dal Partito e dalle sue cariche. Fino alla sua morte, sopraggiunta nel 2005, visse in casa agli arresti domiciliari. Il regime gli rifiutò funerali pubblici e anche la cerimonia di sepoltura di venerdì si è svolta in forma privata, senza che i media ne abbiano dato conto.
Zhao è stato tra i promotori dell’apertura al mondo della Cina, studiando le riforme che hanno costituito il miracolo economico del Dragone. Ma la sua opposizione alla strage ne ha fatto un reietto: il suo nome è ancora tabù in Cina e ogni anno, intorno al 4 giugno, la polizia blocca chiunque cerchi di recarsi a casa sua in pellegrinaggio alla memoria di un uomo che ha difeso il suo popolo e i diritti umani. «Che venga riabilitato conta poco per la nostra famiglia, ma è importantissimo per il paese», ha dichiarato il figlio Wujun nel 2014. «Ci sono stati molti casi di ingiustizie nella storia cinese e un giorno bisognerà fare chiarezza, altrimenti le prossime generazioni chiederanno perché e come siamo arrivati a questo punto. E se non ne parli, ricopri di vergogna il nostro paese e il Partito comunista».
GRANDE INCONTRO ORGANIZZATO DA TEMPI
Quest’anno ricorre il 30esimo anniversario della strage di Piazza Tienanmen. Ed è per ricordare grandi uomini come Zhao che a Milano il 29 novembre, presso il Pime alle 21, Tempi ha organizzato un grande incontro dal titolo: “La libertà è la mia patria. Da Piazza Tienanmen a Hong Kong“. Interverranno Gianni Criveller, missionario a Hong Kong dal 1991, e Albert Ho Chun-yan, avvocato e politico, direttore del “Museo 4 Giugno” a Hong Kong (l’unico luogo in tutta la Cina dove si può parlare liberamente dei fatti di Tienanmen) e promotore dell’annuale veglia al Victoria Park, quella che quest’anno ha portato in piazza un milione di persone. Un’occasione unica per ricordare una delle più grandi manifestazioni pacifiche della storia e capire che cosa sta succedendo in questi mesi a Hong Kong.
Foto Ansa