Cina. Ora il regime comunista installa telecamere dentro le case
Attraverso le app di Tencent e Alibaba, create per combattere l’epidemia di coronavirus, il governo cinese è già in grado di esercitare un controllo senza precedenti sugli spostamenti di quasi tutti i suoi abitanti. Ma evidentemente non basta. E così in molte province i funzionari locali del Partito comunista hanno installato telecamere di sorveglianza davanti e addirittura dentro le case di coloro che sono stati posti per sicurezza in quarantena.
Lo racconta un documentato articolo della Cnn, secondo cui alla fine dell’anno prossimo la Cina avrà installato un totale di 567 milioni di telecamere in giro per il paese (contro i 349 milioni del 2018). Per fare un paragone, nello stesso anno gli Stati Uniti ne avranno 85 milioni. È da anni che il regime si vanta della sua “Rete del cielo“, grazie alla quale ad esempio ogni singolo angolo di Pechino è sorvegliato 24 ore su 24. Con la scusa della prevenzione di nuovi contagi, però, il governo di Xi Jinping è riuscito a portare la sorveglianza a un livello mai raggiunto prima. Dopo essere entrato nelle tasche dei cinesi attraverso le app, ora piomba loro in casa con le telecamere.
Già a febbraio un ufficio governativo di Nanjing, nella provincia orientale del Jiangsu, ha scritto su Weibo che le persone in quarantena vengono sorvegliate h24 grazie a telecamere installate all’esterno davanti alla porta di casa. In questo modo «risparmiamo sul personale e aumenta l’efficienza» del controllo. La stessa cosa avviene nella città di Qianan (Hebei) e ad Hangzhou, dove sono state installate 238 telecamere, secondo quanto affermato rispettivamente dal governo locale e dal colosso statale China Unicom. Lo stesso trattamento hanno subito residenti di Pechino, Shenzhen, Nanjing e Changzhou.
Per quanto si tratti di un’invasione non indifferente della privacy dei sui cittadini, il governo cinese è andato oltre. William Zhou (pseudonimo), funzionario della città di Changzhou (Jiangsu), ha confermato alla Cnn che le autorità lo hanno obbligato a installare una telecamera sulla parete di un armadio all’ingresso con l’obiettivo rivolto verso la porta di ingresso all’appartamento. Gli è stato garantito che la telecamera avrebbe collezionato soltanto delle foto della porta di ingresso, per controllare la sua permanenza costante in casa durante la quarantena. Zhou ha chiesto perché non potevano installarla fuori dalla porta e la polizia gli ha risposto che non volevano correre il rischio che la telecamera venisse vandalizzata.
Dopo un’ulteriore protesta di Zhou, gli è anche stato garantito che la telecamera non avrebbe registrato né ripreso le sue conversazioni. «La telecamera ha avuto un enorme impatto psicologico su di me», spiega Zhou. «Ho smesso di fare telefonate, temendo di essere registrato. E non potevo fare a meno di preoccuparmi anche quando andavo a dormire, dopo aver chiuso la porta della camera da letto. È un’invasione troppo grande della mia privacy». Altre due persone in quarantena nella stessa unità abitativa di Zhou hanno ricevuto lo stesso trattamento.
Le immagini raccolte dalle telecamera, sia all’interno che al di fuori delle case delle persone monitorate, vengono inviate sia alla polizia che ai funzionari incaricati di controllare ogni singolo quartiere e le unità abitative assegnate. La tecnologia per la sorveglianza digitale utilizzata dagli Stati per combattere la pandemia, scrivevano a inizio mese su Human Rights Watch 100 organizzazioni a difesa dei diritti e della privacy dei cittadini, «non deve minacciare la libertà di espressione e di associazione». Un appello inascoltato in Cina.
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