
La perfetta sinergia tra il regime comunista cinese e Facebook

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Il signor Gao era al settimo cielo e in aeroporto già pregustava il contratto da tre milioni di yuan (mezzo milione di euro circa) che avrebbe firmato di lì a poco. Arrivato in biglietteria, però, i sogni di ricchezza dell’imprenditore cinese si sono infranti. Non sapeva infatti di essere finito nella blacklist delle persone considerate “inaffidabili” dal governo e che di conseguenza non poteva più acquistare biglietti aerei. Il giornale della Corte suprema del popolo cinese non rivela molti dettagli della vicenda di Gao, se non che aveva pagato con qualche giorno di ritardo un vecchio debito di 200 mila yuan, ma racconta com’è finita la storia: il partner finanziario dell’imprenditore, che lo ha atteso invano all’appuntamento, ha scoperto che Gao era nella blacklist e ha cancellato il contratto.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]La Corte ha rivelato a febbraio di aver impedito a 7 milioni di cinesi di acquistare biglietti aerei o ferroviari negli ultimi quattro anni. L’iniziativa fa parte del più colossale tentativo mai messo in atto da un governo per controllare, valutare e sanzionare di conseguenza il comportamento di un intero popolo. Il partito comunista l’ha chiamato “sistema di informazione sulla reputazione personale” e dovrebbe entrare in vigore nel 2020. Per ora sono in atto sperimentazioni in circa 40 città (c’è anche Shanghai) e otto aziende.
L’obiettivo è catalogare e valutare ogni singolo comportamento di 1,4 miliardi di cinesi: dal rispetto del codice della strada all’onestà accademica, dalla regolarità con cui si salda la rata del mutuo al pagamento dei debiti, dal rispetto della pianificazione familiare (non si fanno più di due figli e solo quando si ottiene il permesso) alla devozione filiale verso i genitori, dal pagamento del biglietto dell’autobus alla fedina penale, dalle abitudini nello shopping alle opinioni espresse online e offline. Ad ogni azione corrisponde un punteggio che, sommato ed elaborato da un algoritmo in un cervellone elettronico, può elevare una persona a “modello patriottico” oppure rovinarla. Significa che se passi con il rosso, viaggi in metro senza biglietto, non vai a trovare regolarmente i tuoi genitori, compri troppi videogiochi su internet, navighi fino a notte fonda e non segui pedissequamente la linea del partito in ogni ambito della tua vita sei nei guai. E in guai grossi perché, tra le conseguenze ipotizzate per ora, chi ha un punteggio basso non può più ottenere visti per viaggiare all’estero, comprare biglietti di treno e aereo, pernottare in hotel di alto livello, ottenere prestiti o mutui dalle banche, iscrivere i propri figli in scuole prestigiose, accedere alle cariche pubbliche o lavorare come insegnante, avvocato e giornalista. L’obiettivo del progetto, in un paese dove gli «standard morali» della popolazione «sono in crisi», viene riassunto così nei documenti governativi: «Permettere alle persone affidabili di viaggiare dovunque sotto il cielo e rendere impossibile a quelle inaffidabili muovere un solo passo».
Gli articoli “giusti”
L’ossessione per la sicurezza del partito comunista non è una novità. Già ai tempi di Mao Zedong la vita personale di ogni individuo era minuziosamente sorvegliata attraverso comitati e unità di lavoro. Ma poiché l’apertura dell’economia e l’avvento della tecnologia hanno indebolito classici strumenti di controllo come l’hukou e il dangan, l’attuale segretario Xi Jinping ha pensato di aggiornare il sistema.
Non è un caso che l’anno scorso l’Ufficio della pubblica sicurezza di Pechino abbia annunciato: «Ora nella capitale ci sono telecamere a ogni angolo di strada». Il Quotidiano del Popolo ha ribattuto così la notizia: «Per la prima volta il 100 per cento di Pechino è osservato 24 ore su 24». Se la “Rete del cielo” è l’hardware del nuovo Panopticon cinese, il “sistema di informazione sulla reputazione personale” sarà il software. E per funzionare ha bisogno di internet, dei social network e dei grandi siti di acquisti online.
Jack Ma, l’uomo più ricco della Cina, ha già offerto il suo aiuto: «Speriamo che il governo usi internet per identificare i criminali». Alibaba, sito di e-commerce di sua proprietà, sta già applicando in via sperimentale un sistema di rating: in base alla tipologia di acquisti e al circolo di amici online di un utente viene assegnato un punteggio da 350 a 950. Chi raggiunge una soglia di almeno 666 punti ha diritto a vantaggi immediati, chi supera i 750 può accedere a corsie preferenziali per ottenere i visti dal governo. Per ottenere un buon punteggio non basta però comprare solo articoli “giusti” (macchine fotografiche e videogame non rientrano tra questi) e pagare in tempo, bisogna anche evitare amici che fanno acquisti ed esprimono opinioni “sbagliate”: «Presumiamo che le persone buone e credibili abbiano come amici solo altre persone buone e credibili», spiega al Financial Times un membro di un importante gigante del web cinese.
In un unico database creato a livello centrale sono già state immagazzinate 640 milioni di informazioni su singoli cittadini, inviate da 37 governi locali e dipartimenti governativi. Il sistema è ancora in fase di sperimentazione e per diventare perfetto, oltre ad accorgimenti tecnici, avrebbe bisogno anche di un importante partner: Facebook. Non è un segreto che Mark Zuckerberg voglia accedere al mercato più grande del mondo (700 milioni di persone utilizzano il web in Cina): il re del social network ha imparato il cinese, si è recato più volte in Cina per spiegare in mandarino i vantaggi di Facebook e non perde occasione per parlarne di persona a Xi Jinping. Per blandirlo, durante una cena alla Casa Bianca nel 2015, ha addirittura chiesto al segretario del partito comunista di dare il nome a sua figlia, che stava per nascere. Xi ha declinato l’offerta («è una responsabilità troppo grossa» avrebbe risposto) ma Zuckerberg non si è perso d’animo. Se Pechino vede in Facebook la possibilità di accedere a miliardi di dati e opinioni personali, vuole assicurarsi di avere il controllo del social network prima di aprirgli le porte. E alla Silicon Valley, scrive il New York Times, stanno cercando un compromesso. Se permettere alla Cina di cancellare direttamente i post scomodi sarebbe troppo, gli ingegneri informatici stanno ideando uno strumento per impedire che determinati messaggi pubblicati dagli utenti siano leggibili dagli altri. I contenuti ritenuti inadeguati verrebbero dunque oscurati e resi invisibili. Interrogato dai dipendenti sullo strumento di censura, Zuckerberg avrebbe risposto così: «Per Facebook è bene contribuire a rendere la conversazione possibile, anche se all’inizio non sarà la conversazione integrale».
Un mondo aperto
Molti giornali inorridiscono all’idea che un’azienda che si è scelta come mission la «creazione di un mondo più aperto e connesso» possa contribuire a rendere più efficiente il Grande fratello cinese. Altri invece hanno sottolineato la consonanza di ideali tra il Dragone e Facebook. È il caso di Rogier Creemers, che insegna politica cinese alla Oxford University: «Il “sistema di informazione sulla reputazione personale” unisce le utopie di Pechino e della Silicon Valley», ha dichiarato al Financial Times. «Entrambi sembrano condividere l’impegno per un miglioramento paternalistico della condizione umana. Sia Facebook che il partito comunista ritengono che la tecnologia possa essere usata per spingere le persone a comportarsi meglio. E non siamo forse “noi” a decidere che cosa significa “meglio”?».
Foto Ansa
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