Che cosa ha spinto l’esercito del Myanmar a massacrare il suo popolo
La giunta militare ha tagliato la connessione wireless a internet in Myanmar. È l’ultima mossa del regime per limitare le manifestazioni e frenare la diffusione all’estero di notizie sui suoi crimini efferati. La connessione via cavo è ancora attiva, anche se a velocità molto ridotta, precisa l’Associated Press. L’ultimo giornale indipendente ha dovuto chiudere a metà marzo per l’impossibilità di reperire notizie senza mettere a rischio l’incolumità dei giornalisti. La situazione nel paese del Sudest asiatico è precipitata dopo il colpo di Stato dell’1 febbraio da parte dell’esercito e peggiora ogni giorno che passa. Tatmadaw, così vengono chiamate nel paese le forze armate, sta impiegando qualunque mezzo per soffocare nel sangue le proteste popolari, inclusi i raid aerei.
Già 43 bambini uccisi in Myanmar
Secondo l’ultimo bollettino dell’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici (Aapp) il numero dei civili disarmati uccisi dai soldati è raddoppiato negli ultimi 12 giorni, salendo a 535. Migliaia sono invece i feriti e gli arrestati. Tra le vittime ci sono anche 43 bambini, riporta Sky: 15 di loro avevano meno di 16 anni, la più piccola nove. Nella città di Mandalay l’esercito ha ripetutamente sparato alla testa di un bambino di 13 anni, mentre cercava di scappare dall’arrivo dei soldati. Un altro, di 14 anni, è stato ucciso mentre giocava nel cortile di casa. Un bambino di appena un anno ha perso un occhio dopo essere stato raggiunto da un proiettile di gomma in casa. Sono numerosi, infatti, i video che mostrano i soldati girare per le vie delle città dove più numerose sono state le proteste e sparare dentro le case in modo indiscriminato per intimidire la popolazione.
Nessuno è al sicuro nel paese. Come riportato da Myanmar Now, Mercoledì una dipendente di 33 anni della banca sudcoreana Shinhan, all’uscita dal lavoro, è stata uccisa dall’esercito a Yangon, la città più grande del paese. Pare che la sua auto, su comando dei soldati, non abbia frenato abbastanza e per questo è stata crivellata di colpi. Nel distretto di South Dagon, Tatmadaw ha cominciato a sequestrare i corpi delle vittime dalle case delle famiglie. Secondo gli attivisti, lo fa per «instillare il terrore nella gente o per impedire che le tombe diventino meta di pellegrinaggio». Per questo, la popolazione ha iniziato a cremare subito i cari uccisi dai soldati.
La mattanza di Tatmadaw
Il giorno più sanguinoso della protesta è stato sabato 27 marzo, quando le forze armate hanno aggredito la folla dei manifestanti con mitragliatori e granate, uccidendo 114 persone. A Mandalay, la seconda città più importante del paese, Aye Ko, padre di quattro figli di 42 anni, è stato colpito al petto da un proiettile mentre osservava un edificio del governo che veniva dato alle fiamme. Dopo avergli sparato, come raccontano testimoni oculari a Radio Free Asia, i soldati lo hanno preso e lo hanno gettato tra le fiamme ancora vivo: «Lo hanno bruciato vivo. A causa delle raffiche di mitra nessuno ha potuto aiutarlo. Di lui sono rimaste solo le ossa. È stato un gesto disumano, crudele e selvaggio».
Le accuse a Aung San Suu Kyi
Intanto continua l’offensiva del regime anche dal punto di vista dell’uso distorto della giustizia. Dopo essere stata posta agli arresti domiciliari per accuse minori, la leader de facto del paese e premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, è stata accusata di aver violato la legge di epoca coloniale che vieta di diffondere segreti di Stato «al nemico». La dama birmana rischia ora fino a 14 anni di carcere.
L’1 febbraio, giorno in cui il capo delle forze armate, il generale Min Aug Hlaing, ha preso il potere, doveva insediarsi il nuovo Parlamento. Alle elezioni dell’8 novembre 2020, annullate da Tatmadaw per presunti brogli, la Lega nazionale per la democrazia aveva ottenuto la seconda vittoria schiacciante consecutiva, conquistando 315 seggi su 440 alla Camera e 161 su 224 al Senato. Se un quarto dei seggi non fosse per Costituzione riservato all’esercito, la vittoria sarebbe stata ancora più ampia. Resta comunque oscuro il motivo per cui l’esercito ha deciso di scatenare il caos nel paese, essendo di fatto al potere dal 1962 e potendo disporre, in base alla Costituzione redatta dagli stessi militari, dei principali ministeri: Difesa, Interni, Affari riguardanti i confini. Avendo inoltre il 25 per cento dei seggi e richiedendo ogni modifica costituzionale il 75 per cento dei voti, è chiaro che il potere di Tatmadaw non può essere messo in discussione.
La follia dell’esercito in Myanmar
Eppure, secondo Christopher Lamb, ex ambasciatore australiano in Myanmar, ci sono dei motivi se il generale Min Aung Hlaing ha sciolto parlamento e governo per dichiarare la legge marziale e nominare un Consiglio amministrativo di Stato composto da otto militari e otto civili a capo del paese e guidato dallo stesso generale.
Il Parlamento, innanzitutto, avrebbe dovuto scegliere il nuovo presidente e il nuovo comandante in capo dell’esercito. La carica era stata lasciata proprio dal generale Min Aung Hlaing a luglio per raggiunti limiti di età. Il generale voleva diventare presidente ma avendo subito una sconfitta eclatante alle elezioni, le sue speranze erano ridotte a zero. L’esercito temeva inoltre che dopo la seconda vittoria schiacciante alle elezioni, neanche Tatmadaw avrebbe potuto impedire passi avanti verso la piena democrazia in Myanmar. Un Parlamento forte e in mano ad Aung San Suu Kyi avrebbe potuto costringere l’esercito a fare concessioni e a redigere una nuova Costituzione. Nonostante questo, nessuno si aspettava un colpo di Stato, che ha fatto letteralmente infuriare la popolazione, spingendo milioni di persone in piazza da oltre due mesi.
Il regime birmano non si aspettava che la popolazione avrebbe continuato a protestare nonostante i massacri. Se l’esercito continua a resistere è perché è sostenuto politicamente a livello internazionale dalla Cina. Pechino vieta qualunque condanna sostanziale del regime da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Se infatti le stragi sono state stigmatizzate, la Cina ha finora impedito l’imposizione di sanzioni ai militari.
Foto Ansa
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