Campagna nazionale e non juventina per l’assegnazione del Pallone d’oro a Pirlo
L’occhio fisso a mezz’asta è traditore, e nasconde un’attenzione a ogni zona di gioco fuori dal comune. Andrea Pirlo è così: innervosisce quasi per quel modo che ha d’incedere a metà campo, testa alta, quasi spensierata, leggero ma mai evanescente. Ti aspetteresti che da un momento all’altro perda il pallone, arrivi qualcuno più grosso di lui e glielo soffi in un istante. Invece no, la sfera non si allontana mai dai suoi piedi, se non per inventare la miglior pubblicità che il calcio possa desiderare, illuminando compagni di squadra in qualsiasi zona del rettangolo verde, con intuizioni che traboccano in vera e propria arte poetica.
Il rigore con l’Inghilterra è stato il paradigma del calcio secondo Andrea Pirlo: la squadra sta perdendo, segnare potrebbe non bastare per vincere, sbagliare vorrebbe dire arrendersi dopo un match dominato, un crocifissione per lui e tutto il gruppo azzurro. E quel passo incurante verso il dischetto, che lascia intendere solo in parte la sua folle idea: «Ragazzi, nessuna paura. È solo un rigore» dice quel pallone che sbeffeggia Hart e tutti i trattati di psicologia calcistica sulla maledetta lotteria dagli 11 metri. Una palla leggera che cambia l’approccio di tutto il resto della squadra: basta vedere i tiri sfrontati e sereni di Nocerino e Diamanti. I due sul dischetto ci arrivano guardando in faccia il portierone inglese, senza mai abbassare lo sguardo, a differenza di Cole e Young, che invece sudano angoscia e gli occhi non li schiodano mai dalla sfera, con gli esiti che tutti abbiamo in mente.
Non ha giocato una partita straordinaria Pirlo contro l’Inghilterra, o forse non in linea con le prestazioni maiuscole cui da tempo ci ha abituato. Ma quel rigore è stata la trovata vincente, il guizzo del vero fuoriclasse che sa spostare gli equilibri di un match, più di una bella punizione, o di un lancio in profondità millimetrico. Un colpo di genio in vero stile Pirlo: avete visto come ha esultato dopo che il pallone è entrato? No, perché non ha esultato. In silenzio, occhi sempre a mezz’asta ma leggermente storti in un sorriso, è tornato verso il centrocampo.
Quel cucchiaio arriva dopo una stagione in cui Pirlo è stato il massimo protagonista dello scudetto della Juve: si dice che la vittoria della squadra di Conte sia frutto della grinta e del bel gioco di tutto l’organico, ma troppe volte ci si dimentica della marea di palloni transitati e serviti dai piedi del bresciano, autentico leader taciturno della Vecchia Signora (per la gioia di Allegri che, postilla qualunquista ma sempre attuale, non ci si crede lo abbia regalato ad una rivale, sperando di poter puntare tutto su Van Bommel).
Ha riportato la Juve tra le grandi, ora lo sta facendo con l’Italia in questo Europeo, che se anche si dovesse fermare alle semifinali avrebbe ottenuto un risultato straordinario, tutt’altro che pronosticabile qualche settimana fa. La domanda sorge quindi spontanea: sarà forse la volta buona che venga premiato il nostro calcio con un riconoscimento a noi da troppo tempo estraneo, cioè il Pallone d’Oro? Sarebbe un’onorificenza di grande prestigio, ma ben attribuita. L’ultima volta fu di Cannavaro, dopo il Mondiale del 2006. Stavolta sarebbe un furto non assegnarla a Pirlo. Chi potrebbe soffiargliela? Lo stratosferico ma (quest’anno) inconcludente Messi? Qualche catenacciaro stramilionario del Chelsea campione d’Europa? Oppure il sempre troppo rumoroso Cristiano Ronaldo, anche lui in cerca di una piena consacrazione in questi Europei? Colleghi di Football France, pensateci bene: Pirlo che alza in silenzio quel premio sarebbe una scena imperdibile. Con gli occhi a mezz’asta, ovviamente. È il suo stile.
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