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Abbiamo letto le motivazioni della condanna di Del Turco. Ecco tutto quello che non torna

Sono state depositate ieri le motivazioni della condanna dell'ex governatore dell'Abruzzo. Molti passaggi delle conclusioni dei giudici di Pescara rimangono poco chiari (eufemismo)

Chiara Rizzo
24/10/2013 - 14:46
Interni
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Ieri, 23 ottobre, sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui l’ex governatore dell’Abruzzo, Ottaviano Del Turco, è stato condannato in primo grado a 9 anni e sei mesi di carcere. Insieme a Del Turco sono state condannate altre 9 persone, ma il punto centrale della sentenza è certamente la condanna (per corruzione) non solo degli imputati, ma anche dell’accusatore Vincenzo Angelini. Per il tribunale presieduto da Carmelo De Santis, Sanitopoli è la storia non della concussione, subìta dall’imprenditore della sanità privata Angelini a causa della giunta Del Turco (come sosteneva l’accusa), ma tutt’al più quella di un imprenditore che avrebbe spinto con del denaro dei politici a commettere reati. La lettura delle motivazioni aprono numerosi interrogativi che, al momento, restano senza risposta.

L’ATTENDIBILITA’ DI ANGELINI. Il primo è perché il principale teste d’accusa, Angelini, sia credibile per i giudici. Nelle motivazioni si legge una descrizione inquietante dell’accusatore-imputato: per i giudici «Angelini maturava la propria determinazione a collaborare con le indagini preliminari già in corso (nei confronti dello stesso imprenditore oltre che di Del Turco, della sua giunta, e degli altri imputati, ndr) anche dopo aver pensato di non denunciare i fatti ma di adoperare la documentazione fotografica e le registrazioni che si era procurato come arma di pressione nei confronti degli altri imputati».
Inoltre, l’imprenditore «ha riferito la precisa descrizione delle modalità con cui costantemente distraeva denaro dalle disponibilità aziendali della Novafin e di Villa Pini, e la ingente evasione fiscale» e «le modalità di ricovero non corrette o con fraudolenta moltiplicazione dei ricoveri».
Per di più, per i giudici «la descrizione delle modalità con cui costantemente svuotava le casse aziendali ha inoltre agevolato la dichiarazione di fallimento delle case di cura del gruppo Villa Pini ed ha costituito una sorta di confessione di una continuità attività distrattiva» (Angelini, in effetti, è imputato per bancarotta fraudolenta a Chieti, ndr). Dunque Angelini, anziché denunciare le presunte tangenti, si è macchiato di una sfilza di reati, dalla tentata estorsione all’evasione fiscale, bancarotta fraudolenta e frode del sistema sanitario regionale. Come è possibile allora che ai giudici il racconto di Angelini sia «apparso del tutto spontaneo, preciso, logico e coerente»? E perché, quando i giudici pure ammettono che in aula Angelini ha cambiato più volte versione soprattutto quando veniva contraddetto da precise perizie tecniche, poi concludono con clemenza: «Si tratta, con ogni evidenza, di un cattivo ricordo iniziale, poi condotto a verità?».

STRANE TEMPISTICHE. Le prime “prove” contro Del Turco, Angelini ha riferito di averle raccolte solo il 2 novembre 2007. Però con i pm ha parlato solo dopo che la stessa procura di Pescara, allora guidata da Nicola Trifuoggi, lo ha convocato cinque mesi dopo, nell’aprile 2008. Piccola curiosa: è stato l’allora procuratore capo di Pescara Nicola Trifuoggi (lo stesso che in conferenza stampa dopo l’arresto di Del Turco ha parlato di «montagna di prove schiaccianti»), per la prima volta, a far apparire nei verbali degli interrogatori il tema della “concussione”, chiedendo all’imprenditore il 12 aprile 2008: «A volte per ottenere il riconoscimento dei propri diritti quando ci si trova di fronte a certi personaggi ci sono tante situazioni che non si sbloccano, dal rilascio della concessione edilizia sino a cose ben più grosse. Lei esclude di aver mai anche solo – non sto parlando di sue corruzioni, non sto tendendo farle confessare chi sa che cosa – ma anche per ottenere quello che le era dovuto, anche per sveltire i tempi, per accorciare i tempi, per ottenere una firma sotto a una delibera…». Angelini seccamente negava: «No signor Giudice». Trifuoggi insisteva: «Lei non ha mai dato niente a nessuno?». Angelini ribadiva: «No, no, no».
Solo un mese dopo questo interrogatorio, a maggio 2008, Angelini ha parlato di tangenti e concussione. Perché allora i giudici del processo, nel motivare l’attendibilità di Angelini, non si soffermano mai, neppure per cenni, ad analizzare anche questi passaggi?

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RISCONTRI ESTERNI. I giudici scrivono che «le dichiarazioni di Angelini, anche qualora lo si ritenga di scarsa credibilità soggettiva, risultano suffragate da numerosi riscontri, certi e concernenti aspetti non marginali della narrazione». I giudici si riferiscono tra l’altro «alla prova dei prelevamenti di denaro contante, dai tabulati telepass e dagli statini degli autisti della Regione Abruzzo».
Per i giudici la comparazione dei dati Telepass delle auto di Angelini con quelle delle auto di servizio usate dall’allora governatore Del Turco, «mostrano perfetta compatibilità, tranne che in rarissimi casi, delle visite di Angelini a Del Turco a Collelongo». Il fatto che proprio da questo raffronto, in una perizia tecnica, emerga che su 63 possibili visite effettuate da Angelini, in ben 60 casi sarebbe stato impossibile per un comune mortale realizzare la consegna di tangenti (Angelini e Del Turco si trovavano nella medesima zona solo per un periodo variabile tra 1 minuto e 7 minuti) per i giudici non conterebbe.
Nelle motivazioni, infatti, la Corte conclude semplicemente che «il Del Turco era effettivamente in zona», e anzi «ciò costituisce rilevantissimo elemento di attendibilità alle dichiarazioni di Angelini», mentre «quanto sostenuto da Del Turco, che ha incontrato Angelini solo tre volte, non appare attendibile».
I giudici non si soffermano a spiegare il motivo per cui i dati telepass di Angelini provano frequenti viaggi nella zona anche nel marzo-aprile 2005 (e persino nel 2004), anche se Del Turco diventò governatore solo il 1 maggio 2005: perché quei viaggi? Non è che Angelini, quando era in quella zona, non andava a trovare effettivamente Del Turco ma, più semplicemente, una delle cliniche del suo gruppo, che si trovava nelle vicinanze? Di questo, sebbene se ne sia discusso in aula, i giudici non parlano.

I “FAVORITISMI”. Per i giudici una delle prove dell’avvenuta corruzione di Angelini a Del Turco è una delle leggi, per altro ancora in vigore, varata dalla Regione in materia di sanità. È la legge 6 del 2007, sulla “revisione della rete ospedaliera” che fissava i posti letto pubblici e privati necessari per svolgere l’attività. Una legge cioè che ha comportato una riduzione dei posti letto anche delle cliniche private: però per i giudici «l’effetto concreto appare di estremo favore nei confronti delle case di cura del gruppo di Villa Pini».
Se così è, come mai allora la corte di Pescara non spiega i motivi che spinsero proprio Angelini ad essere il primo promotore (seguito poi da altri operatori della sanità privata abruzzese) di un ricorso nientemeno che alla Corte costituzionale e proprio contro la legge 6? La Corte costituzionale ha giudicato la legittimità di tale legge nel 2010, che per questo è ancora valida.

Tags: Nicola TrifuoggiOttaviano Del TurcopescaraVincenzo Angelini
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