Abbiamo insegnato ai giovani a protestare “contro”, ma chi ha il coraggio di chiedere loro sacrifici “per”?
In questo tempo di grave crisi politica ed economica, la politica non sa più offrire grandi e nobili ideali, capaci di appassionare specialmente i giovani. C’è una generale mancanza di senso che obbliga tutti a vivere giorno per giorno. I mass media centrano l’attenzione dell’opinione pubblica sui temi ripetitivi che l’immediata attualità ci offre, le lotte interne dei vari partiti, gli alti e bassi quotidiani del governo, cosa dice questo o quell’eletto dal popolo, temi che quasi non interessano più. Parlo con l’amico ingegnare Italo Girardi, che con l’aiuto della moglie Augusta e dei figli anch’essi laureati in architettura e ingegneria riesce ad avere del lavoro per tutti i componenti della sua ditta. Mi dice: «Mi sono proposto di non interessarmi della politica italiana. Se ci fossero elezioni, allora mi informerò per sapere a chi dare il mio voto, adesso non ne vale la pena».
La disaffezione degli italiani dalla politica viene anche da questa mancanza di visioni, di prospettive. Di qui la generale decadenza della politica, la disintegrazione della società. Una politica animata da grandi ideali potrebbe ridare all’Europa, e in particolare all’Italia, la speranza, l’ottimismo, il coraggio e la forza di impegnarsi per mete che chiedono il sacrificio di tutti. La Costituzione europea più volte votata e poi bocciata e rimandata, tratta solo di temi politici, giuridici, economici, militari, commerciali… Ma i popoli europei, soprattutto i giovani, mancano di ideali per i quali valga la pena di spendere la vita.
Sessant’anni fa, nell’immediato Dopoguerra, noi giovani cattolici ci sentivamo protagonisti nella ricostruzione dell’Italia dopo le distruzioni della guerra, per fondare una repubblica democratica, superare le barriere di odio e di violenza che dividevano gli italiani e scongiurare il pericolo, allora molto concreto, di scivolare dietro la “cortina di ferro”. La vigorosa ed entusiasta Azione cattolica di quel tempo ci animava per questi ideali, insistendo sui forti sacrifici che il Dopoguerra richiedeva a noi giovani. Eravamo pieni di fede e con una grande carica di donazione della nostra stessa vita per costruire un’Italia nuova. Oggi, al contrario, noi soffochiamo nel superfluo, nello spreco, nell’indifferenza, nell’aridità dei sentimenti. I giovani sono le prime vittime di questo spirito di declino, che porta alla morte.
Il grande ideale che il mondo globalizzato oggi ci impone è la solidarietà e l’integrazione con i “popoli altri” che premono alle nostre frontiere e chiedono di avere il necessario alla vita. Questa la massima sfida del nostro tempo. Ma all’orizzonte non si vedono soggetti educativi che prendano sul serio questo orientamento: governi, partiti, sindacati, scuole, mass media, associazioni, famiglie, sembrano orientati all’inseguimento del produrre di più, avere di più, consumare di più, come se questo potesse risolvere la nostra crisi esistenziale. Manchiamo di visioni messianiche, non siamo capaci di “guardare lontano”. Noi insegniamo ai giovani a protestare “contro” (l’Italia è intasata di scioperi e di manifestazioni contro le molte cose che non funzionano), ma siamo incapaci di chiedere sacrifici “per”. Chi guida l’opinione pubblica deve fare una proposta forte ai giovani per impegnarli, con gravi sacrifici personali, a costruire un “mondo nuovo”.
Nel 1982 il Comitato ecclesiale contro la fame nel mondo della Cei lanciò lo slogan: «Contro la fame cambia la vita» (citato dalla Redemptoris Missio n. 59); nel proclama iniziale si legge: «Le proteste hanno senso se accompagnate da una conversione del nostro modello di sviluppo all’austerità di vita. Altrimenti sono un alibi ipocrita: le multinazionali che sfruttano i poveri siamo noi, col nostro vivere nello spreco, nel superfluo, nel voler avere sempre di più. Per essere fratelli dei poveri occorre andare contro-corrente, sostituire il divertimento con il sacrificio. Ad esempio, perché voi giovani non vi impegnate a rifiutare e protestare contro lo sballo disumano delle discoteche? Non si può essere solidali con i poveri e sprecare le notti in quei divertimenti che sono il simbolo della nostra società nichilista e allo sbando. Perché non vi impegnate negli istituti, gruppi e Ong missionari per dare una mano o tutta la vostra vita alla missione universale della Chiesa?».
Papa Francesco vorrebbe «una Chiesa povera per i poveri» e richiama spesso la parola di Gesù: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Mt 19, 19) e testi simili. Come tradurre queste indicazioni della fede in progetti operativi concreti in campo politico, culturale, educativo ed economico? Questo il tema che dovrebbe essere al centro dell’attenzione dei mass media, della politica, della scuola, della stessa Chiesa e formazione cristiana. Ecco la proposta da fare, in positivo.
Tratto dal blog di padre Piero Gheddo
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