A poche ore dall’incontro, in Prefettura a Torino, tra il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Maurizio Lupi e gli imprenditori valsusini che lavorano nel cantiere Tav di Chiomonte, si deve registrare un altro incendio doloso ai danni di una delle ditte impegnate nei lavori. Nella notte, infatti, sono state incendiate tre betoniere della Imprebeton. I mezzi si trovavano vicini a un deposito di gasolio, per la pericolosità della situazione si è deciso di chiudere l’autostrada A32 Torino-Bardonecchia in direzione Torino. Appresa la notizia, il vicepresidente della Commissione Trasporti al Senato, Stefano Esposito, ha parlato di «un avvertimento di stampo mafioso». Secondo l’esponente democratico, «è la mafia che usa questi sistemi di intimidazione. E contro questi sistemi non si può che reagire con la massima durezza. Quanti, come Erri De Luca, hanno parlato di legittimi sabotaggi, dovrebbero riflettere sui nefasti aspetti delle loro prese di posizione».
VIOLENZA O NO? Nel frattempo, però, il nodo della violenza, soprattutto lo scontro frontale con le forze dell’ordine, sembra iniziare a incrinare l’unità del movimento No Tav, da cui cominciano a levarsi alcune voci critiche rispetto all’ala anarchica e dell’autonomia, che invece tendono alla “connivenza” con i violenti. Voci che significativamente giungono mentre a Susa i trenocrociati si mobilitano per far sottoscrivere un documento contro la “militarizzazione della Valle”, che è una chiara risposta alla lettera di “beneventuto alle forze dell’ordine” sottoscritta da oltre 500 segusini e apprezzata anche in altre parti di una Valle sempre più segnata dalla contrapposizione frontale.
IL CONTROAPPELLO. «Come cittadini di Susa e della Valle – si legge nel contro-appello – riteniamo del tutto sbagliato e pericoloso rispondere al dissenso contro i Tav facendo intervenire la forza pubblica». Una tesi che, non senza qualche stridore con logica e realtà, punta a indicare nelle forze dell’ordine i responsabili del clima di tensione, volutamente evitando di ricordare che se la protesta si fosse limitata a forme legali, probabilmente non sarebbero stati impiegati simili contingenti di polizia, carabinieri e militari. Secondo i promotori di questo secondo documento, «la militarizzazione del territorio, umiliante e vergognosa per tutti i cittadini, trasforma la Val Susa in un deserto, allontanando ogni possibile forma di riscatto economico e culturale».
IL VOLTO STORICO SI DISSOCIA. Proprio mentre, con questo documento, si vorrebbe dimostrare una compattezza anche nella contestazione alla polizia, dal suo profilo di Facebook, Giorgio Pent, uno dei volti storici e più “mediatizzati” della lotta al supertreno (anche se non uno dei leader della contestazione), dice un no rotondo alle violenze. «Il signor movimento NoTav manda ufficialmente a vaffa tutti coloro che, per giocare alla guerra – autoproclamandosi eroi – si permettono di usare, strumentalizzare, rubare, espropriare la nostra lotta, al fine di sfogare frustrazioni, traumi infanti o demenze senili! E li inviata ad andare a giocare in un altro cortile». Ci si sarebbe, forse, aspettati un po’ più di autocritica (il movimento autoctono non è privo di responsabilità, a partire dalle parole d’ordine). Secondo Pent, «la violenza cambia l’obiettivo della lotta. Diventa un problema di sicurezza, quando invece siamo di fronte a una presa in giro della popolazione. Stiamo vincendo e così rischiamo di perderlo di vista». Si può essere d’accordo o meno sulle conclusioni, ma va ammesso che è una delle prime volte che si tenta una dissociazione dalle violenze.