Zingaretti, un attimo dopo

Di Emanuele Boffi
05 Febbraio 2021
Sempre puntuale al momento sbagliato, il segretario del Pd è ora un bersaglio della sinistra dei salotti. Essere Nicola Zingaretti deve essere una faticaccia orrenda

Essere Nicola Zingaretti deve essere una faticaccia orrenda. Non solo l’uomo sbagliato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Peggio: l’uomo giusto al posto giusto, ma un secondo dopo. E, si sa, in politica, la puntualità è tutto. Per esempio: «Draghi può portare l’Italia fuori dall’incertezza provocata dalla crisi di governo. Mi sembra che Draghi non sia solo una grande risorsa, ma una personalità che ha iniziato a interloquire con il Paese in maniera corretta». È questa la sua ultima dichiarazione, ma fino a un momento fa – cioè quando c’era un gran casino, quando le cose erano meno chiare, quando, cioè, a un politico si chiede di avere “fiuto” e capire le cose “prima” – lui diceva: «Avanti con Conte». Quando si dice il tempismo. Ecco, appunto, ci arriva un secondo dopo, quando tutti gli altri si sono già spostati, riposizionati e ri-collocati, con le loro belle facce di bronzo, sul carro del nuovo vincitore. Non che lui poi non ci salga, è che lo fa sempre dopo, un secondo dopo, quell’attimo dopo che risulta fatale.

«Mai con il Movimento 5 stelle», «Sempre con il Movimento 5 stelle». «Mai più con Renzi», «Nessun veto su Renzi». «O si rifà lo stesso governo o si vota», «Come dice Sergio Mattarella, votare non ha senso». Fino alla gag delle ultime 24 ore: «O Conte o le elezioni», «Pronti a sostenere Draghi».
(Giorgio Gandola sulla Verità riporta le ultime dichiarazioni di Zingaretti)

La frittata giallorossa

Accadde anche con il Conte II che, si ricorderà, Zingaretti non voleva (gli spifferi di palazzo dicono che avesse un accordo con Salvini, ma chissà). Sta di fatto che allora, con la caduta del governo gialloverde, lui se ne uscì, improvvido, con una dichiarazione a favore del voto. La fece un attimo dopo che tutto era già stato deciso, con Renzi – uno che capisce le cose un attimo prima – che aveva già girato la frittata da gialloverde a giallorossa. E così Zingaretti, che col voto voleva liberarsi della pattuglia dei renziani nel Pd, si rimise in carreggiata ricominciando a tessere la tela per tenere unito il partito, la “ditta” per dirla alla Bersani (uno Zingaretti ante litteram). Illuso. Mentre da anti-contiano diventava il più contiano nel Pd, Renzi faceva la scissione, si portava via le sue truppe e preparava la crisi di questi giorni. Ma Zingaretti questo l’ha capito solo un attimo dopo, cioè “adesso”, che in politica è sinonimo di “troppo tardi”, game over.

Il fratello di Luca

Zingaretti dà sempre l’impressione di essere uno che non cade perché non sa da che parte cadere. Sta fermo dietro la sua bella linea gialla, come il Prodi imitato da Guzzanti, cui la sinistra ne combinava di tutti i colori, ma lui «fermo, non mi muovo, i piccioni mi cagano in testa, ma io fermo, non mi muovo, non faccio polemiche». Non è un virtuoso della cattiveria né della battuta salace, non fa a pugni, non tratta male i giornalisti come D’Alema. Ma non è nemmeno un illusionista parolaio, uno che come Veltroni ha la collezione di fumetti e di film trash anni Ottanta. Ma ce l’avrà almeno un aspetto affascinante, no? Certo, suo fratello Luca è il commissario Montalbano.

Anche quando si fa i selfie per accogliere Greta Thunberg o scrive le lettere alle Sardine, dà sempre l’impressione di posticcio, di costruito, di essere seduto su un cuscino di spilli. Che poi, non è mica tutta colpa sua. Mettere il faccione del ragazzotto comunista cresciuto in sezione accanto a quelli degli svampiti dei flash mob gggiovani è un po’ come fare la sagra della porchetta in moschea: non esattamente un’idea geniale.

Nico’, devi andare

Essere Nicola Zingaretti deve essere una faticaccia orrenda soprattutto di questi tempi in cui anche la sinistra dei salotti, quella alla Concita De Gregorio, ha iniziato a sparargli addosso come fosse un Salvini qualunque.

È gentilissimo, va detto. Leale, tanto una brava persona. E però ogni volta che inciampa esita traccheggia, tira fuori dalla tasca un foglietto da leggere, non trova l’uscita e qualcuno deve prenderlo per il gomito – per di qui, segretario – Nicola Zingaretti lascia dietro di sé l’eco malinconica di un vuoto. Come un ologramma, sorride e svanisce.

Povero Zingaretti, verrebbe quasi da difenderlo, ora che gli danno tutti addosso con la stessa animosità con cui, ieri, gli lustravano le scarpe. Ricordate, no?, come lo incensavano ai tempi delle primarie, quando la sua aura di normalità («sto in mezzo alla gente, prendo l’autobus») era la risposta all’elettrica incostanza di Renzi, una garanzia di serietà, compostezza, affidabilità. Era il 3 marzo 2019, un bel giorno, quello, per essere Nicola Zingaretti: «Intanto, Giachetti e Martina ammettono la sconfitta. Che è netta. Pesante. Quando l’ha intuita, Nicola Zingaretti – a casa – s’è messo a friggere le polpette. Poi la moglie Cristina è entrata in cucina: “Nico’, mi sa che devi andare”». Ecco, Nico’, le polpette, mi sa che devi andare. Ma, stavolta, ti conviene farlo un attimo prima che ti costringano a farlo gli altri un attimo dopo.

Foto Ansa

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