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Urne deserte in Tunisia: il paese è sull’orlo del baratro

La popolazione diserta ancora le urne e delegittima il progetto del presidente Saied. «Senza sviluppo, aumenterà ancora l'immigrazione clandestina», dichiara a Tempi l'analista Sarah Ben Hammadi

Amedeo Lascaris
05/02/2023 - 5:35
Esteri
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Proteste in Tunisia contro il governo

Il nuovo percorso istituzionale avviato dal presidente della Repubblica, Kais Saied, il 25 luglio del 2021 per strappare la Tunisia agli interessi dei partiti sorti dopo la Rivoluzione dei Gelsomini del 2011 appare giunto il capolinea. Al pari del primo turno del 17 dicembre scorso, anche il secondo turno delle elezioni legislative del 29 gennaio è stato caratterizzato da una massiccia astensione, pari all’89 per cento dell’elettorato, con il tasso di affluenza che si è fermato all’11,2 per cento.

«La gente in Tunisia non crede più nelle istituzioni»

A nulla è servita la campagna di sensibilizzazione sul voto durante le fasi intermedie, né i dibattiti televisivi tra i candidati, né gli sms di incitamento inviati ogni giorno agli elettori. «Questa forte astensione era attesa e dimostra un totale disinteresse dei cittadini per il processo avviato dal presidente», dichiara a Tempi Sarah Ben Hammadi, blogger e nota influencer tunisina, che esprime la frustrazione della popolazione per la situazione nel paese e le basse aspettative nei confronti della nuova assemblea legislativa voluta da Saied.

«È una totale perdita di fiducia nelle istituzioni, ed è un peccato. Non possiamo continuare su questa strada, né politicamente né moralmente», osserva. «Allo stesso tempo, l’uscita dalla crisi non sarà possibile con figure che hanno governato per un decennio e che hanno largamente contribuito al deterioramento economico e politico della situazione. C’è un rifiuto totale della classe politica che ha governato dopo il 2011, e tutto il sostegno al presidente, anche se si sta indebolendo nel tempo, è dovuto proprio a questo», sottolinea Sarah Ben Hammadi.

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Troppi debiti: economia al collasso

La sfiducia è frutto soprattutto di una situazione economica che 12 anni dopo il rovesciamento del regime del presidente Zine el Abidine Ben Ali, vede un’inflazione galoppante che ha raggiunto il 10 per cento (il più alto degli ultimi 30 anni), un settore industriale fermo e vittima di assurde regole burocratiche che ostacolano gli investimenti di partner stranieri come l’Italia. Secondo quanto emerso in un’analisi diffusa da Bloomberg prima del secondo turno delle elezioni, tenendo conto di una crescita stimata del 2,5 per cento nel 2022, l’economia tunisina si è ridotta ulteriormente rispetto al periodo pre-rivoluzione.

La popolazione (12,26 milioni nel 2021) è cresciuta di circa il 12 per cento nell’ultimo decennio e circa un quinto della popolazione ora vive in povertà. La crisi globale di materie prime e prodotti alimentari dovuta alla guerra in Ucraina ha portato a una carenza di beni di prima necessità tanto che all’inizio di gennaio anche la vicina Libia – di fatto un non Stato tra i più instabili dell’Africa – ha inviato grano, riso e zucchero come assistenza. La Tunisia sta ancora trattando con il Fondo monetario internazionale per un prestito di 1,9 miliardi di dollari (1,75 miliardi di euro), che dovrebbe sgravare temporaneamente le finanze dello Stato, ma che resta in sospeso proprio a causa della sfiducia che grava sulla reale possibilità del paese di ripagare i propri debiti.

«La situazione economica è preoccupante»

«La situazione economica è molto preoccupante», sottolinea la blogger tunisina. «L’agenzia Moody’s ha appena abbassato ancora una volta il rating della Tunisia, il debito sta esplodendo (94,6 per cento in rapporto al Pil) e lo Stato non ha più i mezzi per finanziare i sussidi». Sarah Ben Hammadi ricorda che «la guerra in Ucraina ha aggravato una situazione già difficile in Tunisia, che dal 2011 vive un susseguirsi di crisi e conta sull’aiuto dei suoi partner per uscirne, ma questo tarda ad arrivare». Inoltre, «nonostante un accordo di principio con il Fmi qualche mese fa, il prestito non è stato ancora sbloccato».

La situazione economica e una crisi politica ormai cronica stanno avendo un effetto devastante in un paese in cui l’età media è di 32 anni. La disoccupazione giovanile è salita al 37,8 nel terzo trimestre del 2022, rispetto al 35,4 per cento del 2019 , l’anno in cui Saied, professore di diritto, ha cavalcato un’ondata di malcontento popolare nei confronti dell’establishment politico per vincere le elezioni presidenziali. Il tasso ha raggiunto il picco del 42,5 per cento nell’ultimo trimestre del 2020, il massimo da quando i tunisini hanno estromesso Ben Ali.

Niente sviluppo uguale più immigrazione clandestina

Molti giovani tunisini continuano a scegliere la rotta verso l’Italia e l’Europa, distante solo 140 chilometri. Lo scorso anno circa 18.000 i tunisini giunti in Italia, il doppio è stato invece intercettato durante il viaggio verso l’Europa dalla Guardia costiera tunisina, mentre 580 persone sono annegate o risultano ancora disperse.

Come osserva Sarah Ben Hammadi la popolazione sta mostrando una certa resilienza, «ma c’è anche un sentimento di sconforto per le prospettive per il futuro». «Certo – prosegue – finché la crisi si aggrava, aumentano i progetti di immigrazione, e non parlo solo di immigrazione clandestina, molti giovani laureati oggi partono per lavorare all’estero, siano essi medici, ingegneri o altro. Tutti cercano un futuro migliore ed è legittimo». Infine, la blogger tunisina conclude: «Per quanto riguarda l’immigrazione clandestina, tendiamo a volerla risolvere con un metodo sicuro, ma dobbiamo essere anche consapevoli che finché non c’è un progetto di sviluppo, non si fermerà».

Foto Ansa

Tags: ElezioniKais SaiedMigrantiTunisia
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