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La triste parabola della Tunisia: urne deserte e giovani in fuga

Il paese che diede il via alle Primavere arabe è sull'orlo del baratro: al voto del 17 dicembre ha partecipato solo l'11,2% degli elettori. Il progetto del presidente Saied può dirsi fallito e il Fmi blocca i prestiti

Amedeo Lascaris
21/12/2022 - 5:52
Esteri
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La gente protesta in Tunisia contro la crisi
Proteste in Tunisia contro la crisi

La Tunisia boccia la presidenza di Kais Saied e il suo tentativo di ripristinare una forma di governo dell’uomo forte, lasciando letteralmente deserti i seggi delle elezioni legislative. Lo scorso 17 dicembre ha infatti votato solamente l’11,2 per cento degli aventi diritto, appena 1.025.418 di persone su un totale di 9 milioni di tunisini iscritti nelle liste elettorali. È fallito dunque il tentativo di Saied di archiviare definitivamente la cosiddetta “Rivoluzione dei gelsomini” e portare a termine la sua tabella di marcia, delineata dopo le misure straordinarie che dal 2021 hanno portato il presidente ad assumere su di sé ogni potere, fino a riscrivere la Costituzione con il referendum del 25 luglio. Tuttavia, il fallimento di Saied rischia di essere il fallimento dell’intera Tunisia, scossa dall’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia a causa della guerra in Ucraina. I rincari stanno già spingendo migliaia di persone a cercare sempre di più “la via del mare” verso l’Europa.

La gente diserta le urne in Tunisia

Il boicottaggio elettorale è stato l’ennesimo segnale “democratico” di un paese considerato per anni il baluardo della democrazia del mondo arabo, ma abbandonato a sé stesso una volta passata di moda la stagione delle “primavere arabe” prima esaltate e oggi vituperate. Il dato sull’affluenza alle elezioni del 17 dicembre è del resto veramente impietoso, tanto che la stessa presidenza non ha rilasciato di fatto alcun commento, limitandosi ad uno stringato tweet su un incontro tra Saied e la premier Najla Bouden in merito all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri, la Finanziaria 2023 e «il primo turno delle elezioni legislative».

Il dato sull’affluenza è stato addirittura corretto al rialzo di circa 200.000 voti dall’Alta commissione elettorale indipendente (Isie), probabilmente per salvare un minimo la faccia dopo le reazioni all’8,8 per cento comunicato il 18 dicembre. Per fare un paragone, l’affluenza corretta è meno della metà della popolazione della capitale Tunisi.

Manca una proposta politica convincente

Le elezioni erano già partite con il piede sbagliato, con una campagna elettorale per i 161 seggi in parlamento praticamente inesistente considerata l’assenza dei partiti del dissolto parlamento e la presenza di singoli candidati, molti dei quali di fatto senza avversari nelle proprie circoscrizioni. Infatti, 10 dei 21 candidati che sono stati eletti al primo turno correvano da soli nel proprio seggio. Al momento di recarsi alle urne, alcuni elettori hanno confidato di non conoscere né il candidato per il quale avrebbero votato, né il vero ruolo del futuro Parlamento. Come sottolineato dall’analista Mohamed Dhia Hammami in un commento sul proprio profilo Twitter, Saied è riuscito ad allontanare la gente dai partiti mobilitandola in prima persona «senza però creare il proprio partito».

L’obiettivo del “clan” di Saied, infatti, era sostituire con nuove élite quelle corrotte esistenti e sospettate anche di rapporti con i terroristi, come il movimento islamista Ennahda, prima forza del parlamento congelato nel luglio 2021 e poi definitivamente sciolto il 30 marzo scorso. Per l’analista Hammami gli unici movimenti politici disposti a sostenere Saied e a sfruttare la sua popolarità sono stati elementi antisistema (estrema sinistra e panarabisti), abili a mobilitare le masse contro i partiti tradizionali, ma disorganizzati sul piano della proposta politica.

Il progetto di Saied è fallito

Per questo motivo la «costruzione democratica dalla base» promossa da Saied, di cui il nuovo Parlamento avrebbe dovuto essere una delle componenti, favorendo i singoli a scapito dei partiti politici, è stata brutalmente spazzata via, mettendo in discussione la sua legittimità e quella del suo progetto politico. Avvisaglie in questo senso erano già emerse al referendum del 25 luglio, organizzato esattamente a un anno dalla sospensione del parlamento, che aveva trasformato la democrazia tunisina da parlamentare a presidenziale ad ampia maggioranza con il 94,6 per cento dei sì, ma con solamente il 30,5 per cento degli aventi diritto che si era recato ai seggi.

In questa situazione i partiti che si sono opposti a Saied – da Ennahda al Partito desturiano libero, nostalgico del passato regime di Ben Ali – hanno ovviamente cavalcato l’onda, ma, come osservato in un commento a Le Monde dal socialdemocratico Afef Daoud, «questa astensione non è il successo dell’opposizione, che non è in grado oggi di presentare una seria alternativa».

La Tunisia è sull’orlo del baratro

Le conseguenze di quello che potrebbe rappresentare un vero terremoto per la Tunisia sono già in atto. Lo scorso 14 dicembre, proprio mentre Saied era a Washington per partecipare al vertice Stati Uniti-Africa, il Fondo monetario internazionale ha rinviato la riunione del consiglio su un programma di prestito per la Tunisia, prevista per il 19 dicembre, «per dare alle autorità più tempo per finalizzarlo». Il risultato è stata la mancata erogazione a breve termine del prestito di 1,9 miliardi di dollari fondamentali per dare ossigeno alle casse dello Stato, il quarto dal 2011.

Il paese sta già vivendo da mesi una situazione economica al limite. A metà novembre, la Banca centrale tunisina ha annunciato che le riserve in valuta estera erano calate a 98 giorni di importazioni attestandosi a circa 22 miliardi di dollari. Il risultato, in un paese i cui beni primari sono solitamente sussidiati, è stato non solo l’aumento dei prezzi sugli scaffali dei negozi, ma la mancanza stessa di prodotti, soprattutto medicinali, carne e uova, diventati costosissimi: 35 dinari al chilo per la carne (circa 10,45 euro) e 1,5 dinari per quattro uova (circa 50 centesimi di euro) a fronte di uno stipendio medio di 877 dinari (262 euro). Come riassumeva magistralmente in un titolo il quotidiano La Press de Tunisie: «Costo della vita: mancano i mezzi, la gioia di vivere pure!».  

È per questo che secondo i sondaggi la metà dei giovani, specie se in possesso di un titolo di studio, vuole andarsene dal paese. In cinque anni sono emigrati legalmente, soprattutto in Germania, più di 40 mila ingegneri e oltre 3.300 medici, mentre 17.600 tunisini sono arrivati ​​in Italia clandestinamente solo dall’inizio del 2022.

Foto Ansa

Tags: ElezioniKais SaiedMigrantiTunisia
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