«Se stiamo pensando a un nuovo Family Day? Siamo possibilisti. Ma rispetto ad allora c’è un grosso lavoro da fare, sia per capire quello che davvero sta succedendo a livello di legge sia per sensibilizzare e cercare una condivisione tra le diverse associazioni che possono essere interessate». Nel 2007 Jacopo Coghe aveva 23 anni e faceva il servizio d’ordine alla manifestazione che riempì piazza San Giovanni mentre il governo Prodi lavorava ai Dico, una proposta di regolazione dei diritti dei conviventi poi naufragata. Oggi come presidente della Manif Pour Tous Italia guarda con preoccupazione a quello che si legge sui giornali circa la regolazione dei diritti delle coppie omosessuali e di quelle conviventi eterosessuali cui sta lavorando il Parlamento. «La cosa più preoccupante – dice a Tempi – è la sequenza: le legge sull’omofobia, poi le unioni civili. Prima mettono dei paletti rispetto a quello che si può dire o non dire e poi si passa al matrimonio. L’altro capitolo di grande preoccupazione è quello delle adozioni: ci sono di mezzo i diritti dei bambini».
Ma il governo sta davvero progettando di introdurre in Italia il matrimonio omosessuale? Calma. Quello di cui si discute è una proposta di legge, firmata dalle senatrice democratica Monica Cirinnà, che prevede l’introduzione di un registro delle unioni civili per le coppie omosessuali con molti diritti analoghi a quelli del matrimonio, compresa la possibilità di adottare il figlio del partner (la cosiddetta stepchild adoption) e poi l’istituzione dei patti di convivenza, riservati alle coppie etero che non vogliano sposarsi. Le parole del premier Renzi, che alla direzione del Pd ha affermato di voler mettere mano al tema dei diritti delle coppie non sposate, anche omosessuali, hanno acceso i riflettori su una proposta di legge su cui, promette la senatrice Cirinnà, potrebbe configurarsi in Parlamento anche una maggioranza alternativa, pescando tra Sel e il Movimento Cinque Stelle.
«La senatrice le cerca sempre le maggioranze alternative», attacca Maurizio Sacconi, capogruppo Ncd al Senato e primo firmatario di una proposta di legge sul tema decisamente lontana da quella di cui si discute in questi giorni e che è sul tavolo della commissione Giustizia del Senato al pari di quella della senatrice Cirinnà. «Io credo – prosegue Sacconi – che chiunque cercasse la divisione della maggioranza su temi come questi che sono più che politici si assumerebbe una grave responsabilità. Dobbiamo lavorare sulla base del reciproco ascolto alla soluzione dei problemi concreti che possono vivere due persone dello stesso sesso o di sesso diverso che convivono».
Ncd si fa dunque portavoce delle esigenze di chi, cattolici e non solo, crede che una tutela delle persone conviventi, indipendente dal loro orientamento sessuale, sia attuabile senza bisogno di “scomodare” il matrimonio (o un simil matrimonio) e dunque senza mettere in discussione l’idea di famiglia. È sostanzialmente la posizione del Forum delle associazioni familiari, che del già citato Family Day del 2007 fu uno dei protagonisti. «Noi riteniamo – interviene il presidente Francesco Belletti – che la regolazione delle unioni civili non debba essere qualificata per orientamento sessuale, ma che si debbano regolare i diritti individuali soprattutto per tutelare la parte debole della relazione. Non bisogna inseguire un ipotetico diritto alla famiglia, ma regolare una forma di convivenza che ha anche aspetti patrimoniali, avendo ben presente che la famiglia è tutta un’altra cosa, fondata sulla differenza sessuale, come hanno ribadito anche le ultime sentenze della Corte Costituzionale».
E ai conti chi ci pensa?
La chiave, per chi non vuole sentir parlare di matrimonio omosessuale, è limitarsi a una regolazione dei diritti e doveri di relazione, puntando anche sul fatto che qualcosa di diverso sarebbe assolutamente insostenibile per le casse dello Stato. Lo sa bene Maurizio Sacconi che da ex ministro del Welfare ha fatto i conti: «La Costituzione – spiega – riconosce il matrimonio solo alla coppia naturale in relazione alla sua propensione a procreare e a quell’istituto fa seguire tutta un serie di provvidenze, la cui più emblematica è la pensione di reversibilità per la quale noi spendiamo (sono dati del 2010) 41 miliardi all’anno pari al 2,6 per cento del Pil che è la percentuale più alta in Europa. Un istituto di questo genere è già costoso ed estenderlo significherebbe metterlo in discussione».
A sinistra invece, si punta a interventi più audaci, in cui le unioni omosessuali restano solo nominalmente diverse dalle nozze. D’altronde l’Associazione delle famiglie arcobaleno accetta anche le proposte di legge più “spinte” solo in nome del compromesso, in attesa di approdare al matrimonio vero e proprio. Che è esattamente quello che le associazioni pro famiglia vogliono scongiurare. Tanto è vero che una delle preoccupazioni maggiori è quella di non lasciare spazio alla cosiddetta giurisprudenza creativa. «Ricordo – osserva Belletti – un giudice di Bologna che in una sentenza istituì l’affidamento a una coppia, che non esiste nella legge: esiste affidamento alla famiglia o al singolo. È ovvio che simili casi ci fanno preoccupare».
Riprende Sacconi: «Se pensassimo di estendere l’istituto matrimoniale o simil matrimoniale ad altre relazioni affettive noi metteremmo in crisi tutto il nostro modello sociale che è fondato sul modello antropologico naturale. Peraltro non basterebbe nemmeno una legge che riconoscesse un simil matrimonio e non gli applicasse la pensione di reversibilità perché poi questa potrebbe conseguire per via giurisprudenziale nel nome della parità di trattamento una volta che fosse riconosciuta la coppia e le fosse data evidenza pubblica con un registro». «Quella che è stata buttata in pasto alla opinione pubblica – aggiunge Belletti – è una delle proposte più estremiste, in commissione Giustizia ci sono delle proposte di legge molto più leggere. Di fatto non c’è un testo di cui Renzi si è assunto la titolarità e questo significa che c’è spazio per discutere».
Ecco, discutere. Significa portare in piazza le persone? C’è lo spazio per un nuovo Family Day? I cattolici al governo lo riterrebbero utile? «Assolutamente sì», dice Sacconi. «È fondamentale sollecitare le coscienze a ragionare sull’uomo, sollecitare qualunque persona credente o meno a ragionare sull’uomo. Perché le nostre società occidentali in crisi, economica e sociale e demografica, hanno bisogno di ripartire dall’uomo e purtroppo quando si parla di questi temi cosiddetti etici, come sempre li si affronta dal lato del desiderio della persona, dimenticando di considerarne le ricadute su altre persone, minori soprattutto, e sull’intera società».
«Non ci metteranno in un cassetto»
Il milione di persone mobilitate, un dibattito efficace (i Dico furono poi accantonati) e di fatto il riconoscimento pubblico di un popolo, non solo cattolico, che sull’onda del referendum sulla Legge sulla fecondazione assistita, si dimostrava in grado di condizionare il dibattito pubblico. Sono tempi lontani e la situazione adesso è molto diversa, nel paese e nella stessa Cei che nel Family Day del 2007 ebbe un ruolo attivo. Lo riconosce Francesco Belletti, rilanciando però sulla necessità di inventare forme nuove per far vivere un dibattito necessario al paese: «Le condizioni sono molto cambiate. Però siamo convinti che sia necessario un segnale di orientamento popolare, per far vedere come la pensano le persone. Consapevoli che questa è una battaglia non solo cattolica ma di cittadinanza italiana. Ci sono valori del nostro paese che oggi una certa deriva ideologica vuole modificare. Il Family Day lo abbiamo fatto nel 2007. Oggi ci potrà essere un’altra cosa. La vera potenza di quell’esperienza fu l’efficacia: non si poteva girare la testa dall’altra parte. L’anno dopo abbiamo raccolto un milione di firme per chiedere una modifica fiscale in favore della famiglia: sono in un armadio. Idem poco tempo fa con la campagna “Uno di noi” che chiedeva leggi a tutela dell’embrione: la Commissione europea ha cestinato quasi due milioni di firme. Non importa, troveremo altri canali. Il punto è che non vogliamo farci chiudere in un cassetto».