«Travaglio mi attacca in base ad insinuazioni. Attenzione ai polveroni del Fatto»

Di Chiara Rizzo
28 Giugno 2012
Intervista a Emanuele Macaluso, accusato di essere il ventriloquo del Quirinale in merito alla trattativa Stato-Mafia «Si pubblicano intercettazioni prive di valenza penale solo per gettare fango sul presidente»

Emanuele Macaluso, ultimo direttore del Riformista, «che si fa intervistare pure dalla rivista ciellina Tempi» ha fatto indispettire parecchio Marco Travaglio. Macaluso è stato il bersaglio di Travaglio che, in un recente editoriale (“Telepatia ventricolare”) viene attaccato perché in un’intercettazione (penalmente irrilevante) tra il generale Mario Mori e il generale Mario Redditi viene definito «il più grande amico del presidente Napolitano, quindi è un po’ il ventriloquo di altri». Si parla ancora della trattativa Stato-mafia e Travaglio, al solito, usa l’accetta ma, almeno per dovere di cronaca, avrebbe potuto citare i numerosi articoli sul tema di Macaluso, pubblicati ben prima del 2012 e delle intercettazioni al Quirinale, dove il giornalista esprimeva dubbi sul processo. Dubbi fondati, verrebbe da pensare, dal momento che i principali testi dell’accusa (da Michele Riccio a Massimo Ciancimino) negli anni sono stati pluri-smentiti in aula (e condannati o imputati per reati che vanno dal traffico di stupefacenti alla detenzione di esplosivi e calunnia aggravata).

E lei, Macaluso, come replica a Travaglio?
Replicare? Non ritengo di replicare a queste insinuazioni e a questo tipo di campagna. Cerco di capire e di far capire alle persone, attraverso le analisi, quello che è accaduto davvero.

Di quale campagna parla?
Quella del Fatto è una campagna pregiudiziale e, come ho scritto tante volte, fa da cassa di risonanza ad una parte della procura di Palermo. Si dà per scontato che ci sia stata la trattativa con lo Stato senza sapere nemmeno chi l’ha condotta. Se si vuole cercare la verità, va bene. La magistratura ha il dovere di indagare, ma nessuno ha il diritto di indicare i colpevoli, di mettere al bando le persone solo perché hanno ricevuto un’avviso di garanzia, o perché imputabili da un procuratore. È una cosa che non accetto perché è fuori dalla cultura giuridica. Vede, io sono contro la legge bavaglio: ritengo che un giornalista quando ha una notizia deve darla, e non ci deve essere un limite ad un articolo. Ma in questo caso il punto è un altro: ed è il comportamento del magistrato.

Cosa intende dire?
Se c’è un documento o un’intercettazione che non ha attinenza con il processo, il magistrato ha il dovere di distruggerla subito. Quando si legge invece l’intercettazione tra i generali Mario Mori e Mario Redditi che dicono che io sarei il ventriloquo del Presidente, mi chiedo: che attinenza ha con il processo? Nessuna, se non gettare fango sul Presidente. L’articolo di Travaglio è solo una serie di insinuazioni contro il Quirinale: mi si fanno dire cose che in realtà avevo scritto mesi fa e che nessuna attinenza hanno comunque con i fatti appena scoperti. Non c’è poi nessuna valenza penale. Perciò, e lo ripeterò sino alla noia, il magistrato titolare di un’intercettazione ha l’obbligo di custodirla, e quando la diffonde agli avvocati, rendendo pubbliche anche intercettazioni che non hanno nessuna attinenza col processo, quel magistrato ne deve rispondere, perché si tratta di un reato e va punito. Se poi i magistrati vogliono indagare lo facciano. Ma attenzione a non alzare polveroni e a non dare all’“agenzia Fatto” materiale adeguato per i polveroni.

Carlo Federico Grosso e Michele Ainis hanno messo in rilievo che esistono due decreti legislativi che prevedono l’obbligo per il procuratore generale di Cassazione di verificare il coordinamento delle indagini tra le procure e sorvegliare l’operato della procura nazionale antimafia. Nelle intercettazioni al Quirinale, di questo si parla. Ma allora la rilevanza penale dei fatti quale sarebbe secondo Travaglio?
Non l’ho capito. Io penso che questa del Fatto sia solo una campagna contro il Quirinale. Loro l’hanno sempre fatta, ma davanti a pareri come quello di un illustrissimo giurista come Grosso, i giornali ne dovrebbero tenere conto.

Perché il Fatto ce l’ha con Napolitano?
Perché è sulle posizioni di Antonio Di Pietro e individua in Napolitano colui che ha dato origine al Governo Monti. Andare contro Napolitano dà l’occasione di cavalcare una campagna demagogica contro Monti. Il problema è cercare di demolire l’assetto politico e fare prevalere delle forze che, a mio avviso, sono di destra eversiva e antisistema, basate sull’antipolitica, l’antipartitismo e l’anti-istituzioni. Forse al Fatto ritengono che così venderanno più copie. O forse sperano di diventare i portavoci di queste forze.

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