Tra Zenit, Rubin e Anzhi l’Europa League parla russo
Che le geografie calcistiche stiano cambiando lo ripetiamo da tempo: i venti economici girano, i capitali cambiano terre dove germogliare e così anche i fuoriclasse scelgono nuove città dove cercar fortuna. Ma i sedicesimi di finale di Europa League di quest’anno premiano più delle scorse stagioni gli investimenti che nell’ex-Unione Sovietica si impegnano nel mondo del pallone.
CRESCONO I CLUB AI SEDICESIMI. 7 sono infatti le squadre approdate ai sedicesimi e che, 25 anni fa, sarebbero state parte dell’URSS: 3 dalla Russia (Zenit, Anzhi, Rubin Kazan), 3 le ucraine (Dinamo Kyev, Metalist, Dnipro) e una, il BATE, dalla Bielorussia. Un numero raggiunto solo due stagioni fa: per il resto non sono mai stati più di 5 i club ex-sovietici ammessi alla fase finale di Europa League. Ma ciò che fa ancor più specie oggi, a poche ore dalle gare di ritorno per guadagnarsi gli ottavi di finale, è che tanti di questi club hanno ottime chance di passare il turno e, soprattutto, che alcuni di questi sono tra le squadre che hanno ottenuto i risultati più sorprendenti nelle gare d’andata.
CAMPIONATI ANCORA FERMI, MA L’ANZHI FA IL BOTTO. Tre club in particolare. Tutti e tre russi, campionato ancora a riposo (la Prem’er Liga riparte a inizio marzo) eppure in grado di fornire squadre pronte e ruspanti per impressionare il resto del Continente. Così succede che l’Anzhi, espressione sportiva delle provincie del Daghestan e all’esordio effettivo in Europa League, ospiti a Mosca l’Hannover 96, non si lasci impressionare dalla rete in apertura dell’ungherese Huszti ma cerchi di imporre il suo gioco, arrivando a ribaltare lo 0-1 iniziale e vincendo a fine partita 3-1. Hiddink ringrazia Eto’o, autore di un gol e di un assist (ma anche di un errore dal dischetto), e si prepara per una gara dove gli sarà sufficiente controllare gli avversari e non concedere al mediocre club tedesco (ottavo in Bundesliga) troppa possibilità di gioco.
ZENIT, CHE GOL DI HULK. Situazione simile a quella in cui si trova Luciano Spalletti e il suo Zenit, sputato fuori dalla Champions in malo modo e approdato nelle mani della sorella minore, vinta nel 2008. Sulla carta aveva una delle avversarie più complicate, il Liverpool, certo in crisi di risultati in questa stagione ma pur sempre guidato da gente come Suarez, Gerrard, Agger… Eppure i russi hanno fatto la gara, offrendo un gioco pimpante nel primo tempo concretizzato nella ripresa, con due reti nel giro di quattro minuti. La prima è una delizia firmata Hulk, per una volta all’altezza dei 55 milioni sborsati per il suo cartellino dalla dirigenza dello Zenit; la seconda un tocco morbido di rapina di Semak, centrocampista bravo a tornare utile quando serve nonostante i suoi 38 anni.
IMPRESA RUBIN. Ma il colpo più scoppiettante è rituonato a Madrid, stadio Vicente Calderon. I padroni di casa dell’Atletico, campioni in carica in Europa League e secondi nella Liga, hanno perso l’imbattibilità interna che perdurava da dicembre 2010 in campo europeo. Il 2-0 finale premia un sorprendente Rubin Kazan, club sempre più avvezzo alle imprese contro le spagnole (nel 2009 sconfisse al Camp Nou il Barcellona). Non è pesata l’espulsione di capitan Sharonov sulla squadra russa, rimasta in 10 a fine primo tempo sul risultato di 1-0: alle corde gli uomini di Simeone, incapaci di perforare la spugna difensiva intelaiata davanti alla porta di Ryzhikov e sfortunati nel prendere il 2-0 nel recupero, quando il portiere Asenjo si fiondava in attacco su corner per cercare il pareggio (ma perché?), e veniva fulminato dal contropiede di Eremenko-Orbaiz. Stasera nel freddo di Kazan all’Atletico servirà un’impresa, altrimenti ci toccherà assistere all’eliminazione molto precoce della detentrice della Coppa. L’ennesimo segno che le geografie del calcio si spostano verso est.
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