![C’è una “maggioranza venezuelana” positiva per l’Europa](https://www.tempi.it/wp-content/uploads/2025/01/Morawiecki-ansa-345x194.jpg)
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Al centro del Giardino della Memoria, appena inaugurato presso il Museo della Storia del GULag a Mosca, spicca un’autentica torretta di guardia trasportata fin qui dall’ex lager “Dneprovskij”, dalla regione di Magadan, nell’Estremo Oriente russo, un sottocampo attivo dal 1941 al ’55 per l’estrazione dello stagno. Alla torretta è appeso un frammento di binario, a ricordo delle «campane» dei lager che scandivano l’inizio e la fine della giornata. «Milioni di nostri concittadini rinchiusi nei campi – ha spiegato il direttore del museo, Roman Romanov, – hanno sentito questi rintocchi per molti, molti anni».
I lavori di sistemazione del Giardino sono iniziati nel 2016 e oggi, ultimato e ad ingresso gratuito, è composto da ambienti che ricordano le regioni dell’Urss più significative per la storia delle repressioni, quelle con la maggior concentrazione di campi di lavoro: le isole Solovki, il Caucaso, il Kazachstan, gli Urali, la Kolyma e l’Estremo Oriente.
Il percorso è costeggiato da alberi, pietre e arbusti, molti dei quali portati da quei luoghi di dolore, oppure piantati dai parenti delle vittime in memoria dei loro cari.
La betulla che arriva dalle Solovki, ad esempio, è «discendente» di quelle che furono piantate dai detenuti nel giardino botanico dell’arcipelago quand’era sede concentrazionaria.
«Abbiamo portato i larici dalla Kolyma – prosegue Romanov, – e uno di essi è dedicato a Sergej Korolev», il principale artefice del programma spaziale sovietico, finito in disgrazia nel 1938. A noi viene più naturale associare i larici alla figura di Varlam Šalamov, come ce li descrive nei Racconti della Kolyma: «Il larice è l’albero della Kolyma, l’albero dei campi di concentramento».
La tatara Guzel Ibrahimova è riuscita a far germogliare un paio di piantine di cedro da alcune pigne che s’era fatta portare dalla taiga vicino a Krasnojarsk, località dove suo padre, lo scrittore Gumer Galeev, morì lavorando nel lager locale. Saputo del Giardino della Memoria, ha voluto donare un piccolo cedro in ricordo del padre.
Particolare è anche l’area dedicata al Caucaso, dove si ricordano le deportazioni dei popoli: sull’erba bassa sono state posate lapidi dаi cimiteri ingusci, il popolo caucasico accusato ingiustamente da Stalin di aver collaborato con i nazisti e per questo deportato in Siberia. Dopo la deportazione, i cimiteri furono distrutti e le lapidi furono spezzate e utilizzate per lastricare le strade o per le fondamenta degli edifici (proprio come facevano i nazisti con i cimiteri ebraici).
«Le pietre collocate qui fungono da testimoni diretti – ha osservato Ermolaj Solženicyn, figlio del famoso scrittore: – hanno visto il sangue, il dolore, l’ingiustizia. Gli alberelli invece non hanno visto nulla, è come se fossero la nuova generazione. E c’è bisogno di entrambi. Bisogna ricordare con precisione ciò che è accaduto allora, documentare – come fa il Museo, – fissare nella memoria quel passato così duro, difficile, freddo. (…) L’albero è un meraviglioso simbolo di rinnovamento, perché ogni anno si addormenta e poi si ridesta», come nel racconto di Šalamov sulla Resurrezione del larice.
C’è anche un padiglione per ospitare delle mostre, costruito sul prototipo dell’hangar per gli idrovolanti delle isole Solovki. Attualmente sono esposti oggetti rinvenuti durante le spedizioni nei campi di Čukotka e Kolyma.
«Si tratta di arnesi di grandi dimensioni – precisa Romanov, – presentati qui per la prima volta perché gli oggetti che normalmente sono esposti nelle vetrine del museo sono di dimensioni più piccole. Questi sono oggetti di uso quotidiano e strumenti di lavoro, esposti qui per la prima volta».
Va riconosciuta a Romanov la capacità di saper trovare un difficile equilibrio tra il recupero della memoria dello scomodo passato sovietico, e la politica culturale ufficiale che di quel passato preferisce sottolinearne la «grandezza» e le «conquiste», o la «missione umanitaria dell’Urss per la liberazione dei paesi europei» – come recita la legge approvata l’estate scorsa che punisce chi mette in discussione il ruolo sovietico nella Seconda guerra mondiale.
«È consolante che siano presenti tanti giovani – conclude Ermolaj Solženicyn. – Sono sicuro che dopo aver visitato il museo imboccheranno anche la strada per il Giardino: bisogna ricordare, certo, ma anche andare avanti, bisogna vivere».
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