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Spazzacorrotti può essere retroattiva? Così la si intende a Milano e così a Como

Per un gip di Como non può essere retroattiva; e, per questo, scarcera un colletto bianco. I giudici di Milano, invece, hanno mandato in carcere Formigoni

Redazione
11/03/2019 - 10:22
Interni
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«La “legge Spazzacorrotti” del ministro della Giustizia Bonafede si spazza da sola a causa dell’abborracciata tecnica legislativa, che (…) non ha previsto una disposizione transitoria per la nuova muscolare norma». Ha scritto così due giorni fa sul Corriere della Sera Luigi Ferrarella, raccontando un caso avvenuto a Como dove la gip Luisa Lo Gatto «ha ritenuto questa norma non applicabile retroattivamente ai colletti bianchi che inizino ora a scontare la pena per reati commessi però prima dell’entrata in vigore della legge peggiorativa (…). In sede di incidente di esecuzione la gip, accogliendo la lettura del professor Vittorio Manes e dell’avvocato Paolo Camporini, ha quindi sospeso l’ordine di esecuzione e ordinato al pm Daniela Moroni di scarcerare Alberto Pascali, un legale condannato a 4 anni in via definitiva per peculato il 13 febbraio 2019, entrato giovedì in carcere a Bollate, e che ora avrà 30 giorni per provare (da libero) a chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali».

Principio di imparzialità

Se a Como si pensa quindi che la spazzacorrotti non si possa applicare retroattivamente, come la si intende a Milano, ad esempio per il caso recente di Roberto Formigoni che in carcere c’è invece finito? Come nota su Libero Maurizio Zottarelli, questa diversa interpretazione «descrive in maniera plastica i problemi di un sistema giudiziario in cui spesso le leggi sono scritte in modo tanto abborracciato da permettere diverse interpretazioni. Cosa che di per sé mina alla base ogni principio di imparzialità».

Inedita equiparazione

Qui di seguito pubblichiamo un articolo tratto da Panorama a firma di Maurizio Tortorella – Dallo scorso 22 febbraio l’ingresso di Roberto Formigoni nel carcere milanese di Opera, a causa della sua condanna definitiva per corruzione, ha giustamente riacceso il dibattito sugli eccessi e sulle forzature introdotte nel nostro ordinamento dalla legge che i grillini hanno ribattezzato “Spazza-corrotti“. 

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Com’è noto, pur avendo 72 anni, l’ex presidente della Regione Lombardia non ha potuto andare agli arresti domiciliari (come avrebbe potuto sino a poche settimane fa) proprio perché la legge, stabilendo un’inedita equiparazione tra i delitti contro la Pubblica amministrazione e i reati di criminalità organizzata, ha precluso ai condannati per corruzione l’accesso ai benefici penitenziari.

In molti, ancor prima che la norma si applicasse al caso di Formigoni, ne avevano criticato la logica. Perché la Spazza-corrotti (entrata in vigore il 9 gennaio 2019, e intitolata “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”) è in realtà una norma-bandiera voluta dal Movimento 5 stelle e dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. E in nome del più brutale “populismo giudiziario” ha escluso per i reati contro la Pubblica amministrazione sia l’affidamento in prova ai servizi sociali, sia la possibilità di scontare la pena agli arresti domiciliari: per ogni reato di peculato e corruzione, insomma, oggi c’è soltanto il carcere, con l’ingresso immediato del condannato in una struttura detentiva. 

Ma è sempre più evidente che la Spazza-corrotti presenta profili gravemente anticostituzionali. La legge, infatti, non prevede norme transitorie, quindi è stata già applicata retroattivamente in svariati casi. E anche in quello di Formigoni, che il 21 febbraio è stato condannato a 5 anni e mezzo di reclusione dalla Cassazione per reati che avrebbe commesso al più tardi entro il 2011. 

Ma ora anche l’ex presidente della Regione Lombardia può forse cominciare a sperare. Perché ieri un giudice di Como, per la prima volta, ha escluso l’applicazione retroattiva della legge e ha sospeso un ordine di carcerazione: ha ordinato così al pubblico ministero di mettere ai domiciliari un avvocato che era stato condannato a 4 anni di reclusione per peculato. 

E non sembra lontano il momento in cui un giudice finalmente chiederà alla Corte costituzionale si pronunciarsi sulla “Spazza-corrotti”. Non soltanto sull’aspetto, gravissimo in sé, della sua retroattività. Ma anche su quello del suo equilibrio giuridico. Perché la norma ha illogicamente posto un peculato anche del valore di poche migliaia di euro, o una corruzione per una modestissima utilità, sullo stesso identico piano della “presunzione di pericolosità” che in passato era prevista esclusivamente per i condannati per i ben più gravi reati di mafia e di criminalità organizzata, ma anche di terrorismo e strage. 

Ma questa decisione del legislatore, ed è questo il cuore del problema, sembra contrastare con i principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza, e soprattutto con l’articolo 27 della Costituzione in base al quale ogni pena dovrebbe “tendere alla rieducazione del condannato”. Al contrario, stabilendo un’ingiustificata preclusione all’accesso alle misure non detentive, cioè quelle più tese a favorire la finalità rieducativa della pena, ed equiparando in modo illogico la pericolosità dei condannati per corruzione ai condannati per reati di mafia, la Spazza-corrotti sembra violare in più parti il dettato costituzionale.

Del resto, nel 2010 è stata la stessa la Consulta a ricordare (con la sentenza numero 265) che “le presunzioni legali, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza se sono arbitrarie o irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati”.

Foto Ansa

Tags: alfonso bonafedespazzacorrotti
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