La preghiera del mattino
“Sottomettere” Roma adesso è molto più complicato
Su Atlantico quotidiano Antonio Zennaro scrive: «L’Italia per la sua posizione geografica e strategica sarà il punto di riferimento per i paesi del Nord Africa, un sempre maggiore impegno in Libia aiuterebbe a ridimensionare il peso geopolitico di paesi come Russia e la stessa Turchia (che in questa fase sembra molto attenta a non scontentare nessuno). Nostri punti di forza sono le piccole e medie imprese che sono economia reale, fatte nonostante le difficoltà di uomini, donne e imprese reali e non virtuali come in altre economie, meno esposte a bolle e speculazioni della finanza. Altro punto di forza è la “special relationship” con gli Stati Uniti, che deve essere sempre più rafforzata soprattutto nel momento storico difficile, dove abbiamo un’America molto divisa politicamente al suo stesso interno. Una rafforzata cooperazione sul modello dei “five eyes”, dove l’Italia può dare un contributo fondamentale sia in termini di competenze sia di capacità tecnologiche, può essere molto importante. Come sempre nella storia, nel bene (e qualche volta nel male) l’Italia può essere laboratorio geopolitico e protagonista di un’Occidente rafforzato, forte della sua storia e della sua identità che può competere anche nel nuovo scenario multipolare. Se la Francia e la Germania invece continueranno a voler essere gli unici a dare le carte nel continente, rischieranno di rimanere isolati in un contesto dove solo chi fa squadra può dominare la competizione globale».
Dal Giappone all’India, da Israele a un’Africa particolarmente attratta dal “piano Mattei”: solo persone in malafede possono ignorare il nuovo ruolo che si è conquistata in pochi mesi l’Italia sulle scene internazionali. Un ruolo che non poggia più solo sul prestigio e sulle relazioni di una singola persona come Mario Draghi, ma che si fonda su un’iniziativa politica articolata. Da Giorgia Meloni ad Antonio Tajani, da Raffaele Fitto a Giancarlo Giorgetti, non siamo di fronte a dei supermen, però possiamo contare su alcuni politici seri che riescono a garantire l’autonomia politica di una nazione che, quando non è commissariata, può pesare sulle scene internazionali.
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Su Open Federico Fabbrini, docente di Diritto europeo alla Dublin City University e alla Princeton University, esperto del Centro studi sul Federalismo, dice: «Certo, il quadro economico è modificato, l’inflazione resta alta e la Bce fa la sua politica monetaria perseguendo il suo mandato, che è mantenerla attorno al 2 per cento. E come sappiamo non ci sta riuscendo, quindi è realistico che i tassi continueranno a salire. Ma francamente no, non vedo per niente un complotto anti-italiano. Anzi. Mi sembra che la proposta della Commissione di riforma del Patto di stabilità tenga molto presente e cerchi di venire molto incontro alla situazione particolare dell’Italia. E la Bce pochi mesi fa ha adottato un nuovo strumento, il Transmission Protection Instrument, che è essenzialmente pensato sull’Italia per consentirle di intervenire laddove ci siano delle variazioni sugli spread non giustificati dai fondamentali. Mi pare quindi che tutti i decisori, sia a Bruxelles che a Francoforte, abbiano pienamente nel loro radar le problematiche dell’Italia: d’altra parte è la terza economia dell’Eurozona e dell’Ue, quindi nessuno può facilmente dimenticarsene. Il vero problema, se mai, riguarda il Pnrr. Next Generation Eu è stata un’operazione storica: per la prima volta l’Europa ha fatto oltre 800 miliardi di debito comune, e all’Italia ne sono stati assegnati un terzo. Com’è possibile che questi soldi non vengano interamente utilizzati e che non ci sia un commitment assoluto da parte del governo a portare avanti tutto quello che è previsto dal Piano? Di fronte a un atto di solidarietà collettiva senza precedenti nei confronti dell’Italia, sarebbe veramente autolesionista non utilizzarlo appieno».
La ritrovata autonomia politica italiana crea naturalmente problemi innanzi tutto con francesi e tedeschi che sin da Nicolas Sarkozy e Angela Merkel puntavano a declassare il peso di Roma per avere più spazio in un sistema decisionale così incasinato come quello dell’Unione Europea. Certi isterismi di Emmanuel Macron e dei macroniani sono oggi largamente spiegabili in questo senso. Ma in un’Europa che ha aperto un nuovo drammatico fronte orientale con la guerra in Ucraina, uno settentrionale per il controllo dell’Artico e uno tempestoso in Africa e Medio Oriente, la “sottomissione” di Roma come nel 2011 è diventata assai complicata, e un governo Meloni che riesca a combinare senso di responsabilità e determinazione può aiutare a trovare assetti continentali non più determinati solo dall’asse franco-tedesco.
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Su Formiche Francesco De Palo scrive: «Nell’ora di faccia a faccia tra i due che, stando ai canoni giapponesi, rappresenta un elemento significativo, sono state confermate le relazioni nippo-italiane, già dense: non solo all’orizzonte Roma avrà la presidenza del G7 il prossimo anno, come osservato da Kishida, ma tra Tokyo e Roma esiste una oggettiva cooperazione sulla Difesa. Il tutto va letto tramite l’intreccio geopolitico con l’agenda del G7: ovvero mantenere coesione nei confronti di Cina, Global South, Ucraina e disarmo nucleare. Alla base del dialogo tra i due leader c’è evidentemente l’innalzamento delle relazioni al livello di “partenariato strategico” dopo che i due paesi avevano concordato di rafforzare la cooperazione, principalmente nei settori della sicurezza nazionale e dell’economia. In occasione della visita a Roma dello scorso 10 gennaio Kishida aveva caldeggiato l’aggiornamento a seguito dell’accordo raggiunto a dicembre dal Giappone per lavorare congiuntamente con Italia e Gran Bretagna allo sviluppo del nuovo caccia da combattimento di ultima generazione (“un tema”, aveva detto Meloni, “che ha un impatto importante sul settore privato e sulle aree di ricerca”). Il premier ha inoltre richiamato l’attenzione sulla transizione energetica: non dobbiamo creare nuove dipendenze strategiche».
Le relazioni che la Meloni sta stabilendo con Giappone, India e Israele sono decisive per far sì che la strategia verso la Cina che il G7 ha definito nel vertice di Hiroshima, non lasci mano libera a Pechino per colpire “commercialmente” questo o quel paese occidentale, a iniziare da una Roma che si sottragga al protocollo sciaguratamente accettato dal governo Conte I, sulla Nuova Via della seta.
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Su Huffington Post Italia Alessandro De Angelis scrive: «Un colpo da fuoriclasse: dopo giorni in cui porta tutti a fare chiacchiere sulle riforme, stile Partito del Pinzimonio, la premier compie un grande strappo su ciò che è concreto: nomina il capo della polizia e annuncia quello della Gdf. Fra i paradossali applausi dell’opposizione».
Un intelligente osservatore come De Angelis sottolinea la capacità di manovra della Meloni sulle nomine. Forse bisognerebbe spiegare però, anche, come proprio le scelte per guidare la Guardia di finanza e la Polizia, per l’evidente relazione che dimostrano con Gianni Di Gennaro (e c’è chi anche cita Luciano Violante e Giuliano Amato), rivelano un legame innanzi tutto con l’Fbi e la sua lotta al crimine organizzato. Indicando così, pure, un chiaro orientamento in politica estera, a partire innanzi tutto dall’alleanza con Washington.
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