«Smettete di chiedermi perché. Siamo in Cina: non c’è un perché»

Di Leone Grotti
10 Maggio 2022
La sfuriata di un poliziotto a una famiglia che non capisce perché deve andare in quarantena anche se negativa al Covid è l'emblema del disumano e insensato lockdown di Shanghai. E della crudeltà di un regime che rovina la vita degli abitanti senza ragione
Una donna protesta contro il lockdown a Shanghai, in Cina

Una donna protesta contro il lockdown a Shanghai, in Cina

Persone murate vive in casa, interi quartieri sigillati, residenti che piangono disperati per la mancanza di cibo o cure sanitarie, altri che tentano il suicidio perché psicologicamente spezzati da oltre un mese di lockdown feroce a Shanghai. È impossibile fare una rassegna esaustiva dei tanti filmati, uno più impressionante dell’altro, diffusi nelle ultime settimane sulle surreali condizioni di vita alle quali oltre 28 milioni di cinesi devono sottostare per soddisfare il sogno antiscientifico del regime comunista di «sconfiggere il Covid».

La verità sul lockdown di Shanghai

Ce n’è uno però, condiviso milioni di volte sui social cinesi, che è più rappresentativo degli altri per spiegare lo stato d’animo dei cinesi, intrappolati in una giungla di misure oppressive delle quali è impossibile comprendere l’utilità o la reale efficacia. Nel video si vedono un gruppo di poliziotti fare irruzione in una casa per prelevare una famiglia e portarla in un centro per la quarantena.

Sono tutte persone risultate negative all’ennesimo tampone e che da oltre un mese non possono uscire di casa. Ma devono lo stesso lasciare indietro tutto ciò che hanno per andare a vivere per almeno due settimane in un centro fatiscente, dove il cibo è scarso e le condizioni igienico-sanitarie pessime, solo perché uno dei vicini dello stesso palazzo è risultato positivo al Covid.

«Siamo in Cina. Non c’è un perché»

Davanti alle loro insistenti proteste e richieste di chiarimenti, un poliziotto a un certo punto taglia corto con tono perentorio:

«Voi non potete fare ciò che volete. Qui non siamo in America, siamo in Cina. Smettete di chiedermi perché. Non c’è alcun perché. Dobbiamo obbedire ai regolamenti nazionali e alle politiche di controllo dell’epidemia».

L’ignoto poliziotto di Shanghai non avrebbe potuto spiegare con parole migliori che cos’è la strategia “zero Covid” attuata dal governo di Xi Jinping: un insieme di regole tanto estreme da rasentare la follia, che non derivano da alcuna evidenza scientifica e delle quali non è possibile chiedere ragione.

Il patto tra regime e popolo cinese s’incrina

Per quanto i cinesi siano abituati ad avere a che fare con un regime oppressivo al quale bisogna obbedire senza chiedere spiegazioni, il lockdown di Shanghai in particolare, e gli ultimi due anni di gestione della pandemia in generale, stanno incrinando il patto non scritto tra il Partito comunista e la popolazione. Un patto che grosso modo si potrebbe riassumere così: voi non intromettetevi in tutto ciò che riguarda il governo o la politica del paese e noi vi garantiamo cibo, salute, prosperità e un rinnovato senso di orgoglio nazionale.

Il durissimo lockdown imposto a Shanghai, non una città qualunque, ma il centro finanziario della Cina, ha lasciato interdetta anche una generazione di giovani e meno giovani che davano questo patto per assodato. La capacità del regime di fare la sua parte, garantendo i diritti sociali promessi in cambio della rinuncia alle libertà politiche, è ormai messa in discussione ogni giorno online. Ogni video che riprende uomini in lacrime alla disperata ricerca di cibo o di un dottore in una delle città più ricche del paese «fa risuonare un campanello d’allarme: il partito-stato non è in grado di assolvere alla sua parte di doveri stabiliti dal contratto sociale», nota sul Financial Times Diana Fu, esperta di politica cinese presso il Brooking Institution.

Anche Xi Jinping è nei guai

E poiché la stabilità sociale è il primo obiettivo che il Partito comunista persegue con ogni sua politica, Xi Jinping sa di dover fare attenzione e di doversi guardare dai nemici interni. Mancano pochi mesi al Congresso di novembre, il più importante dai tempi di quello seguito alla morte di Mao Zedong, quello che dovrebbe incoronare Xi nuovo imperatore cinese e farne un leader eterno anche più potente del Grande timoniere.

Per essere rieletto a capo del Partito e quindi della Cina per la terza volta consecutiva, Xi ha bisogno di presentarsi come il vincitore del Covid. Ma le politiche draconiane imposte dal Signore dei lockdown si stanno rivelando un buco nell’acqua. E questo costituisce un enorme problema politico, prima che sanitario, per il regime.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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