Quattro deadline, sei bozze, tante parole a vanvera e nessun accordo. Libia, un anno di colloqui di pace
Sei bozze di accordo stralciate, quattro “deadline” mancate, parole come «finale» e «ultimo» maltrattate e pronunciate a vanvera. Il governo di unità nazionale, che l’inviato dell’Onu Bernardino Léon (foto in alto) ha il compito di far formare alle diverse fazioni in Libia attraverso il dialogo, è diventato un miraggio. L’odissea dei colloqui di pace, a 12 mesi dal loro inizio, è ormai diventata una barzelletta. Che però non fa ridere.
UN ANNO DOPO. Un anno fa, il 29 settembre 2014, cominciava il complesso lavoro di Léon, ricorda il Libya Herald. Ma l’intesa da trovare, su cui l’Unione Europea ha sempre puntato per fermare il traffico di migranti, è ancora a un punto morto e non ci sono segnali positivi all’orizzonte. Colloqui con le parti in causa, in ordine alfabetico, hanno avuto luogo in Algeria, Belgio, Egitto, Germania, Giordania, Libia, Marocco, Svizzera, Tunisia e Turchia. Ma non c’è stato niente da fare.
IL PRIMO ANNUNCIO. Il primo incontro è avvenuto il 29 settembre 2014 a Ghadames. Allora Léon disse: «Abbiamo trovato un accordo per cominciare un processo politico e affrontare tutte le questioni (…) con un richiamo molto forte a un completo cessate il fuoco nel paese».
DUE PARLAMENTI. Dopo la caduta e l’uccisione di Gheddafi, perpetrata con l’aiuto della Nato nell’ottobre del 2011, la Libia è progressivamente scivolata nel caos e nell’anarchia. Centinaia di milizie sono sorte per combattersi tra di loro e conquistare il potere, mentre i paesi alleati della Nato si disinteressavano delle sorti del paese. Attualmente, esistono due governi: quello riconosciuto dalla comunità internazionale e vincitore delle ultime elezioni svolte, la Camera dei rappresentanti (Hor), si trova a Tobruk. A Tripoli, invece, si è insediato un secondo Parlamento, Congresso nazionale generale (Gnc), rimesso in piedi dagli islamisti di Alba libica che hanno conquistato la capitale con le armi.
«L’ULTIMA OCCASIONE». In seguito alla nascita di due diversi Parlamenti, l’iniziale processo di pace di Ghadames è stato chiuso e si è aperto quello di Ginevra insieme ai rappresentanti delle due istituzioni. I primi colloqui fissati per l’8 dicembre vennero disertati dalle parti, che si riunirono poi in gennaio, quando Federica Mogherini, rappresentante per la politica estera dell’Ue, disse: «Questa è l’ultima occasione». Invece, si è dimostrata essere solo una delle tante «ultime occasioni».
LA «SVOLTA». Il 29 gennaio, Léon ammise che non c’era stato nessun «successo immediato», ma sottolineò gli «ottimi progressi fatti». Il 19 febbraio, davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu, parlò di «svolta» nelle trattative, pur senza alcun accordo. Il mese dopo, però, annunciò che i colloqui in Marocco erano entrati nella «fase decisiva». Il 24 marzo svelò per la prima volta il suo piano, che consisteva nella creazione di un governo di unità nazionale.
[pubblicita_articolo]IL PIANO LÉON. Questo doveva essere guidato da un primo ministro controllato dalla Hor e da un Consiglio di Stato formato soprattutto da membri del Gnc. Anche i 23 delegati partecipanti alle sessioni dei colloqui avrebbero avuto poteri speciali. Il 26 marzo Léon dichiarò: «Siamo arrivati ben oltre le nostre aspettative. Penso che tutti i partecipanti e tutti i libici siano ora incoraggiati, perché siamo vicinissimi a un accordo».
LA PRIMA DEADLINE. Il 19 aprile alzò i toni: «L’accordo finale è imminente, non ci sarà questa settimana ma la prossima». Dieci giorni dopo, già nessuno parlava più di intesa, mentre le bozze venivano modificate di continuo, ma il Consiglio di sicurezza dell’Onu fissò la prima “deadline” per il 17 giugno, data di inizio del Ramadan. A maggio, durante le trattative, Léon parlò più volte di una «possibilità di accordo». Alla fine di maggio, paventò, l’80 per cento del piano era stato accettato dalle parti.
LA QUARTA BOZZA. L’1 giugno, però, davanti all’apparente e improvviso fallimento del dialogo, l’inviato dell’Onu minacciò: «La Libia è sull’orlo del collasso economico e finanziario». Poi, per impedire che i rappresentanti del Gnc abbandonassero il tavolo, presentò il 9 giugno una (quarta) bozza di intesa, affermando: «Al momento posso solo dirvi che le reazioni sono positive».
LE PROTESTE. Forse andò davvero così, ma pochi giorni dopo i membri della Hor minacciarono di andarsene, accusando Léon di aver calato le braghe davanti ai Fratelli Musulmani. «Vuole farci conformare a un gruppo ideologico in modo orribile solo per fargli piacere», sentenziò Essa Abdel-Kauoum, portavoce del gruppo negoziatore della Hor. «Si è piegato a un’estorsione».
IL TENTATIVO AMERICANO. Davanti alle rimostranze di Tobruk, gli Stati Uniti entrarono in campo per mettere pressione a tutte le parti in gioco, dichiarando di sostenere «la quarta bozza, che sarà anche l’ultima». Di conseguenza, gli «ultimi colloqui», quelli «davvero finali», furono fissati per metà giugno. Nei giorni precedenti, circolò all’Onu una bozza che prevedeva sanzioni contro i sabotatori dell’accordo. La bozza però venne bocciata da Russia e Cina e non passò. I «colloqui davvero finali» fallirono e la “deadline” del 17 giugno venne superata nel silenzio generale.
SECONDA DEADLINE E QUINTA BOZZA. Il 25 giugno, Léon tornò alla carica annunciando nuovi colloqui e una nuova deadline per la fine di agosto: «Questo è l’ultima fase di colloqui. Siamo sempre più vicini a una soluzione. Tutti i partecipanti hanno accettato la quarta bozza come base per una soluzione finale». Mentre l’entusiasmo saliva alle stelle, una quinta bozza veniva presentata: il Consiglio di Stato, l’unico in cui dovevano essere presenti membri del Gnc, diventava un mero organo consultivo. Gli islamisti di Tripoli di conseguenza si ribellarono al loro ridimensionamento nel nuovo governo e l’8 luglio abbandonarono le trattative.
IL BLUFF. L’11 luglio Léon provò a bluffare e disse che il piano sarebbe stato approvato anche senza di loro. I rappresentanti della Hor firmarono la bozza, mentre il mediatore cercava di riportare a bordo gli islamisti in segreto. Il 15 luglio si mostrò ottimista davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu: «Sono felice di annunciarvi oggi che molti leader coraggiosi hanno dato il via a un accordo politico l’11 luglio. Il Gnc, come sapete, non l’ha firmato». Quattro giorni dopo, profuse dell’altro ottimismo: «Sono fiducioso che nelle prossime settimane una decisione chiara verrà presa».
TERZA DEADLINE. L’11 agosto, a Ginevra, l’annuncio: «Molto presto sarà raggiunto un accordo». Il 25 agosto spinse per percorrere in fretta «l’ultimo miglio» primo della scadenza fissata per il 31 agosto. Ma gli islamisti non abboccarono al bluff e la deadline passò senza che alcun accordo venisse firmato: senza il Gnc, infatti, non avrebbe avuto alcun senso un governo di unità nazionale. Allora Léon fissò una nuova data “finale” per il 10 settembre e volò a Istanbul per incontrare i leader degli islamisti e ricucire i rapporti.
SESTA BOZZA. Durante la conferenza stampa di Istanbul, Léon mostrò i primi segni di cedimento: «Stiamo discutendo diversi elementi, diversi accenti, diversi commenti e anche alcune differenze, nonché la possibilità che l’Onu proponga diversi modi per affrontare queste differenze». Alla fine, accettò degli emendamenti alla quinta bozza, che si trasformò così nella sesta, spostò la data “finale” dal 10 al 20 settembre e disse: «Questa deve essere l’ultima scadenza. Abbiamo davvero la possibilità di raggiungere un accordo finale nei prossimi giorni».
«LAVORO TERMINATO». E fu giorno e fu mattina. Il 20 settembre arrivò e passò senza alcun commento dalle due fazioni. Anche Léon si prese un giorno di pausa per riposarsi e il 21 tornò alla carica: «Il nostro lavoro è terminato. Abbiamo un testo, il testo finale», disse ai giornalisti riuniti a Skhirat. Ma poi emerse che né Tripoli né Tobruk avevano accettato il piano. Léon spiegò che la bozza era in fase di traduzione ma ad oggi non è stata ancora diffusa.
SI RICOMINCIA? Intanto, però, l’inviato dell’Onu ha fissato l’ultimissima scadenza al 20 ottobre. Quel giorno, infatti, il mandato affidato dalla Hor alla sua delegazione per trattare un accordo con gli islamisti scadrà. Léon incalza: «Abbiamo concluso il nostro lavoro. Il testo c’è ed è quello finale. La nostra parte in questo processo è finita. Ora sta alle due delegazioni reagire al testo, ma possono anche rifiutarlo». Ancora non si sa quale sia questa reazione ma pochi giorni fa, Ageela Salaah Gwaider, leader del Parlamento di Tobruk ha dichiarato all’Onu: «Il dialogo potrebbe anche proseguire oltre il 20 ottobre». Si ricomincia.
Foto Ansa/Ap
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