Perché amiamo C.S. Lewis, «il convertito più riluttante della storia»

Di Valeria De Domenico
22 Novembre 2013
A cinquant'anni dalla morte, intervista a Paolo Gulisano sulla figura del grande autore inglese. «Tolkien e Lewis ci fanno vedere la vita come un'ascesi»

Cinquant’anni fa moriva C.S. Lewis. La notizia della sua morte, oscurata all’epoca dall’assassinio di J. F. Kennedy, avvenuto quello stesso giorno, rischia oggi di passare inosservata per le stesse ragioni di allora. Ma per noi che nei confronti dell’autore delle Cronache di Narnia abbiamo un vero e proprio debito di gratitudine, è questa l’occasione per parlarne, insieme a Paolo Gulisano, uno dei massimi studiosi italiani di letteratura fantastica, autore tra l’altro di C.S. Lewis. Tra fantasy e Vangelo. Gulisano nel corso di un incontro promosso alcuni giorni fa dal Centro Culturale Benedetto XVI di Monza, ha considerato la vita dello scrittore irlandese nell’ottica di una vera testimonianza di Fede. Nato protestante, nella cattolicissima Irlanda e ribellatosi all’idea di Dio in seguito alla morte della madre, Lewis si imbatté già adulto nell’Ortodossia di Chesterton. «Questo libro lo colpì profondamente» spiegava Gulisano «perché gli fece scoprire che “il segreto del cristianesimo è la gioia”. Ma non lo convertì: infatti solo un incontro può convertire».

QUEL MITO SI E’ FATTO INCONTRABILE. E questo incontro avvenne alcuni anni dopo, con Tolkien. Dell’amico Lewis traccia un ritratto immortale nel fauno Mr Tumnus. Con lui intreccia dialoghi serrati, consumati davanti a un boccale di birra, fumando la pipa o passeggiando per le stradine di Oxford. Discussioni che nascono dalla comune passione per i miti e toccano punte di intensità altissima. «Guarda che uno di quei miti 2000 anni fa è diventato un fatto documentabile e incontrabile» ha a dire Tolkien una notte, al culmine di uno di questi interminabili confronti. Una settimana dopo Lewis si sarebbe definito «il convertito più riluttante della storia». Con Tolkien, Lewis coltivò la convinzione che la Verità sia qualcosa per cui «va suscitata nostalgia» e non da «spiattellare» e a questo scopo il Linguaggio Allegorico si impose per entrambi come il più adatto a raccontare dell’Uomo e del suo rapporto col Mistero.

NARRATIVA EPICA. Nel corso del suo intervento Gulisano cita ripetutamente Chesterton, Tolkien e Lewis, tre personalità, che nella prima metà del XX secolo, segnata da due tragedie belliche mondiali, servendosi magistralmente di strutture narrative cariche di simbolismo hanno saputo rappresentare le più profonde dinamiche umane. Il periodo di crisi che stiamo attraversando noi non sembra sia altrettanto fortunato…
«Nel nostro tempo ci sono sì scrittori capaci di toccare temi importanti, ma non c’è nessuno in grado di esprimere narrativa di tipo epico. Nella letteratura occidentale, l’epica scomparsa con il don Chisciotte di Cervantes, è riapparsa a metà dell’800 con il Moby Dick di Herman Melvilleper poi essere riscoperta nel 900 con Lewis, Tolkien e aggiungerei Michael Ende. Oggi molto spesso la fantasia sembra a servizio di una illusione morbosa. Per la moderna letteratura del fantastico i mondi immaginari sono punti di fuga da una realtà che si fa fatica a sopportare».

TEMI GRANDIOSI. Facendo riferimento all’immaginario di Lewis, potremmo pensare che una delle più subdole manovre riuscite al vecchio Berlicche sia stata l’aver svuotato il fantasy dei suoi valori simbolici. «Il romanzo fantastico – spiega Gulisinao – si limita ormai a mettere in scena sentimenti piccoli o cattivi. Ne è un esempio George Martin, al quale non si può non riconoscere una grande facilità di scrittura, ma che rappresenta solo la parte peggiore degli uomini e riduce la storia a una continua lotta per “il trono”, ovvero il potere. La sua narrativa la si potrebbe definire quasi Fantasy-realistico, nel senso che i mondi violenti e crudeli che descrive assomigliano molto alla cronaca. Grazie a Dio, però, scrittori come Lewis e Tolkien sono riusciti a vedere anche ciò che di buono c’è nel cuore dell’Uomo e a raccontarlo. Melville, del quale, tra l’altro mi sono occupato di recente (“Fino all’abisso. Il mio moderno Moby Dick”, edizioni Ancora) diceva che “per scrivere un grande libro occorre scegliere un tema grandioso”. Tra gli autori contemporanei manca la capacità di svolgere tematiche di grande respiro che sono le stesse da sempre: il conflitto tra Bene e Male, tra Potere e Autorità…».

RINUNCIARE PER UN “DI PIU”. Alcuni di questi temi sono totalmente scomparsi: la lotta di ciascun individuo contro il Peccato, ad esempio, e il bisogno ineluttabile di Perdono, centrale in Lewis… «O il tema della Rinuncia, tanto caro a Tolkien!», completa Gulisano. «Nella mentalità dominante ormai rinunciare è un di meno, ma si può rinunciare per “un di più”. Gandalf lo fa, sacrificando la propria vita per i suoi amici, nelle miniere di Moria. Oggi questa lotta viene censurata. La letteratura fantastica moderna tende a creare dei “mostri fuori da sé” e a combatterli. Ne deriva una visione manichea: i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Tirando in ballo un termine cristiano caduto ormai in disuso, possiamo, invece, dire che Tolkien e Lewis ci fanno vedere la vita come un’ascesi. Nel caso di Frodo si tratta di una scalata fisica al monte Fato, ma ognuno di noi porta un fardello, un anello di cui deve liberarsi anche a costo di perdere un dito…».

TORNA BAMBINO: CHIEDI ANCORA. E i bambini? Nonostante la celebre affermazione di Lewis, secondo la quale «un libro non merita di essere letto a dieci anni, se non merita di essere letto anche a cinquanta», il primo pubblico di questo tipo di narrativa rimangono loro. Nell’era della Realtà Aumentata cosa può dire ancora la letteratura Fantastica ai nostri figli? «Credo – risponde l’esperto – che di fiabe ci sia ancora bisogno, per fortuna. Ho spesso modo di constatare che proprio quando hanno accesso a una tecnologia sfrenata, i bambini dimostrano un gran bisogno di semplicità e un racconto in cui l’eroismo è dato dal sacrificio tocca il loro cuore. Parafrasando il vecchio adagio, potremmo dire: “Finché c’è fiaba, c’è speranza!”. Finché ci saranno bambini che ascoltano con occhi incantati queste fiabe, il cuore umano sarà ancora aperto e desideroso. Come diceva Lewis: “Vi fu un tempo in cui facevi domande perché cercavi risposte, ed eri felice quando le ottenevi. Torna bambino: chiedi ancora”».

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2 commenti

  1. seregni marina

    Molto bello!!!!

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