Sono tornata dall’Italia dopo 13 giorni. Sono nata a Roma ma ora vivo in Israele. Sono ebrea, ho quattro figli e 280 alunni ai quali insegno in 5 istituzioni differenti nel corso della settimana. In questo viaggio avevo cercato di spiegare il sistema educativo in Israele, l’atmosfera che si respira in questi giorni, i dilemmi dei genitori e degli educatori come me in questo momento così difficile. Ho incontrato giovani liceali confusi, sono stata ospitata da gente che voleva sapere, che voleva chiarire. Mi sono state rivolte domande difficili e ho visto immagini e letto frasi che mi hanno costretto a pormi nuove domande, a chiarirne la risposta, il senso, il motivo, l’origine.
Intossicazione da inchiostro
Tornando in Israele, raccontando le mie impressioni ai miei colleghi in sala professori, alla mia famiglia, alla gente del mio kibbutz ho sentito all’improvviso il senso profondo del termine “intossicazione”. Sono tornata intossicata. Intossicata dalla televisione, dai giornali, dagli articoli di sedicenti giornalisti esperti in storia, in ebraismo, in islamismo, in guerre, in Pace. E nonostante le persone straordinarie dalle quali sono stata ospitata e trattata come in un sogno, mi si è riempito tutto inesorabilmente, la testa, il cuore, le spalle, la valigia, tutto di qualcosa di indescrivibile, qualcosa che si insinua e si lascia tutt’intorno solo un alito freddo, una scia senza luce di una materia inconsistente e nauseabonda, stavo per cadere nella trappola, stavo per essere travolta in quella lotta melliflua nella quale il tuo interlocutore ti annienta spiritualmente, sottolineando solo e solamente tutti i tuoi difetti per dominarti e tu nella tua ingenuità dimentichi che nessuno è perfetto, dimentichi per un attimo la tua storia. E appena in Israele vedo gli sguardi attoniti dei miei interlocutori quando racconto degli ultimi articoli pubblicati da giornali seri come La Stampa, di giornalisti seri come Messori, le dichiarazioni di Dini, di D’Alema su Israele. I miei interlocutori mi guardano attoniti. Alcuni sono così presi dal sopravvivere che non si chiedevano da tempo se Israele ha o non ha il diritto di esistere. Altri hanno detto «è vero siamo colpevoli, non riusciamo a trovare una soluzione per il Popolo Palestinese!»
Entità religiosa sarà lei
Popolo ebraico benedetto, popolo ebraico non a caso scelto, che si preoccupa di tutto, che lotta da sempre per la sua sopravvivenza, che si chiede giorno dopo giorno interrogativi dolorosi sul suo destino, sul destino degli altri, che si sente responsabile di tutto, che cerca di sopravvivere nel suo pluralismo dove tutti hanno ragione: destra, sinistra, religiosi, arabi, russi, cerkessi, drusi, rabbini, falasha, ricchi, poveri, dislessici, geni, giovani, bambini, palestinesi, donne, artisti, tutti. Tutti hanno diritto. Tutti, chi più chi meno, tollerano, e chi non lo fa viene giudicato. Perché nessuno è perfetto. Mi sono fermata un attimo e mi sono domandata, così, su un sentiero tra lavanda e rosmarino: ma che significa «Sono Ebrea?». «Perché Israele?» Perché essendo me stessa è come se facessi un affronto agli altri? Perché ridurmi a “un’entità religiosa”, come ha fatto Barbara Spinelli? Io non sono un’entità religiosa, credo in D-o, ci parlo ogni giorno, lo sento vicino a me quando insegno, quando guardo i miei figli, quando faccio l’amore con mio marito, quando vedo qualcuno felice per merito mio… Ma sono molto di più di “un’entità religiosa”, sono parte di un Popolo che ha una lingua e una tradizione di secoli. Ho la mia musica, il mio Libro e tanta altra letteratura. Ho le mie critiche come essere umano sano, come si hanno critiche ai propri genitori. Ho delle responsabilità, una chiara e definita morale da rispettare. Non ho nessuna pretesa di elezione o di superiorità, ammiro ed apprezzo la tradizione, le usanze e le credenze degli altri Popoli, fintanto siano positive, costruttive e sane.
I meli in mezzo ai sassi
Non ho mai preteso di cambiare, convincere, influenzare altri. Voglio solo una casa, una casa piccola, proprio come la mia, per insegnare ai miei figli che la vita vale di più se ci si ricorda del passato. Che vale di più se si dà il massimo nel presente, che è inestimabile se si sa costruire un futuro. E la mia è un’educazione un po’ mista, da movimento giovanile di sinistra sionista, da collegio rabbinico, con un po’ di sentimentalismo della Comunità ebraica di Roma, la più antica del mondo, e il razionalismo delle Università israeliane. Ma sempre ebrea rimango. E se qualcuno vuole provare ad esorcizzare questi sentimenti cosi inquietanti che attanagliano il suo bisogno di “verità” che venga qui, ospite nostro, in questo piccolo kibbuz, in questo minuscolo pezzo di terra che è Israele. Gli mostreremo il confine del Libano, dove stanno costruendo nuove case e che per noi israeliani è un segno di speranza, gli mostreremo una lezione nella nostra scuola dove studiano bambini di 8 etnie differenti, gli spiegheremo il valore delle ricorrenze e delle feste ebraiche, gli mostreremo come siamo riusciti a piantare alberi di meli in mezzo ai sassi. Sono sicura che tutti i suoi dubbi si dissolveranno e riuscirà a scacciare tutti quei pericolosissimi demoni che qualcuno tenta di destare, gli stessi che hanno causato dolore, angoscia e lo sgomento più profondo appena sessant’anni fa!