Se l’Albania oggi sfida l’Italia a Euro 2024 è anche merito dell’Italia

Di Andrea Romano
15 Giugno 2024
De Biasi, Panucci, Reja e non solo. Il regime comunista per decenni ha impedito al movimento calcistico di crescere, ma dagli anni Novanta la collaborazione tra la nostra Federcalcio e quella albanese ha portato risultati inimmaginabili. Fino a stasera
Albania calcio euro 2024
Giocatori e tifosi dell'Albania festeggiano la qualificazione a Euro 2024 dopo la partita contro la Moldova, lo scorso 17 novembre (foto Ansa)

Il problema del successo è che viene costantemente frainteso. Perché si finisce sempre per assolutizzare un’idea che dovrebbe essere relativizzata il più possibile. Ne sa qualcosa l’Albania, un Paese da meno di tre milioni di abitanti che si prepara a celebrare la sua seconda partecipazione all’Europeo come un piccolo successo nazionale. E poco importa se le speranze di passare un girone composto da Italia, Spagna e Croazia sono ridotte all’osso. Quello che conta è semplicemente esserci, sottolineare lo sviluppo di un movimento che per troppo tempo è stato compresso, marginalizzato, abbandonato. Una crescita costante che ha trovato la forza di non esaurirsi dopo la qualificazione a Euro 2016, ma di guardare avanti. Anche per merito dell’Italia.

L’Albania comunista e le origini del calcio a Tirana

Perché dietro all’esplosione del pallone albanese c’è molto del know how e della tradizione calcistica tricolore. D’altra parte per quattro decenni il football nella Shqiperia era stato qualcosa di molto vicino a un fatto privato. Enver Hoxha, il Guardiano del popolo, si era messo alla testa del più piccolo stato dell’orbita sovietica e lo aveva trasformato in una Nazione decisamente iraconda. Bastava poco per scatenare la rabbia del dittatore. Non si poteva ascoltare la radio. Non si poteva possedere una bicicletta, figurarsi un’automobile. Non si potevano canticchiare canzoni occidentali. Non si potevano portare i capelli lunghi, simbolo di libertà. Anzi, le uniche acconciature consentite erano quelle stabilite dei parrucchieri dell’amministrazione statale.

Il partito era decisamente invasivo. Stabiliva che lavoro potesse fare ciascun cittadino, programmava matrimoni. Chi si opponeva veniva spedito nei campi di lavoro. E lì le cose diventavano piuttosto complesse. Le pene erano dure. Un uomo venne condannato a dieci anni solo per essere stato il primo a sedersi dopo un comizio di Hoxha. Gli oppositori politici venivano alloggiati in celle troppo basse per stare in piedi e troppo corte per stare sdraiati. Così di tanto in tanto qualcuno iniziava a correre verso le barriere di filo spinato solo per farsi sparare dalle guardie. È in questo contesto di controllo e di paura che si è sviluppato il calcio albanese.

Si gioca solo contro avversari comunisti

Come nella migliore tradizione dell’Est la polizia segreta diede vita a una squadra (la Dinàmo), l’esercito a un’altra (Partizani), spartendosi i giocatori migliori e dunque i titoli e successi. La Nazionale poteva giocare solo contro squadre del blocco sovietico e le trasferte non erano viste di buon occhio. Meglio evitare fughe di calciatori e di dover incontrare stati capitalisti. La situazione cambiò nel 1953, con la morte di Stalin, punto di riferimento di Hoxha. Il leader albanese vedeva il revisionismo di Chruščëv come una bestemmia urlata fra le navate di una chiesa. Così anche le amichevoli contro l’Unione Sovietica vennero bloccate.

Poi, con la rottura dei rapporti diplomatici con l’Urss nel 1961, il suolo albanese tornò a ospitare amichevoli e coppe continentali. Memorabile la gara di andata della Coppa dei Campioni nel 1970, quando il 17 Nëntori Tirana ospitò l’Ajax. I giocatori olandesi rifiutarono di presentarsi dal barbiere che lo Stato aveva aperto presso l’aeroporto. Così si trovò un accordo particolare. Ok alle barbe e ai capelli lunghi, a patto che i calciatori dell’Ajax non rivolgessero parola ai colleghi. Qualcosa dovette andare perso nella traduzione. La partita finì 2-2, ma i ragazzi dell’Ajax si lamentarono perché nessuno aveva spiccicato una parola con loro. Non sapevano che sugli spalti era pieno di agenti della polizia segreta pronti a sanzionare i trasgressori con 10 anni di reclusione.

Il mito dell’Italia e l’accordo tra Federcalcio

Le cose iniziano a cambiare con la fine del regime e l’inizio degli anni Novanta. L’Italia, il cui mito era alimentato anche dall’iniziativa dei condomini che, di nascosto, spostavano le antenne televisive per captare i programmi della Rai, diventa un polo d’attrazione per l’emigrazione albanese. Arrivano in migliaia, convinti di poter sfruttare una certa prossimità territoriale e culturale. I giocatori albanesi iniziano ad affacciarsi in Serie A. A cavallo del nuovo millennio i tifosi italiani esultano per i gol di Bogdani e Tare, cantano i loro nomi. Dossena diventa ct della Nazionale delle Aquile. Ma è ancora troppo poco.

La vera svolta arriva nell’aprile del 2012. La Figc e la Federcalcio albanese sottoscrivono un accordo di cooperazione calcistica. Gli Azzurri metteranno a disposizione dei dirimpettai le proprie competenze in ambito tecnico e tattico, ma anche nella gestione delle infrastrutture e della medicina sportiva. In più si organizzeranno una serie di amichevoli. La prima si gioca nel novembre del 2014 per raccogliere fondi destinati alla popolazione di Genova colpita dall’alluvione, e si conclude con la vittoria azzurra per 1-0, gol di Okaka.

Il miracolo di De Biasi e l’eredità di Panucci e Raja

L’avvicinamento fra le due Federazioni non è casuale. Nel 2011 la Nazionale albanese viene affidata a Gianni De Biasi, a cui viene chiesto di far qualificare l’Albania a una competizione internazionale. Fantascienza. De Biasi lavora su due binari: cerca di stimolare i calciatori e li convince di poter centrare obiettivi ambiziosi, poi ragiona sulla rosa. Molto albanesi all’estero hanno una doppia cittadinanza. Bisogna lavorare per fare in modo che scelgano l’aquila con due teste. De Biasi lavora così sullo scouting. Non c’è giocatore con il doppio passaporto che non venga valutato. Alla fine il miracolo avviene davvero. L’Albania si qualifica per Euro 2016. «In Albania mi guardano come se fossi un guaritore» dice De Biasi. Il sistema funziona.

Dopo l’addio del ct vengono ingaggiati prima Panucci e poi Reja. E la loro eredità è ancora presente. Lo stesso Sylvinho, il nuovo selezionatore, ha ammesso come la sua formazione sia avvenuta in Italia, con Ulivieri. Ma nello staff rossonero c’è anche Alarico Rossi, toscano di 38 anni che sette anni fa era arrivato come match analyst e ora ha messo a punto un algoritmo per la selezione dei giocatori.

Ecco perché la sfida di stasera ha un valore particolare. È come se due nazioni diverse giocassero un derby. D’altra parte nel 2019 il sindaco di Tirana Erion Veliaj aveva detto a Limes: «Molte persone considerano l’Albania una provincia italiana di fronte alla Puglia. Si dice che non si può scegliere il proprio vicino: io credo che, anche nel caso in cui avessimo potuto scegliere, non avremmo potuto scegliere un vicino migliore dell’Italia».

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