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Milano marcia verso l’autodichiarazione di genere, cioè verso un mare di guai

Politici e studenti scendono in piazza per i diritti transgender e contro il governo dei nemici del ddl Zan. Senza curarsi di cosa è accaduto dove self-id e e carriera alias sono diventati legge e propaganda

Caterina Giojelli
15/11/2022 - 6:23
Società
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Trans live matter a Milano. Dove altrimenti oliare di progressismo un dibattito iniziato oltre dieci anni fa nel resto del mondo, cancellandone tutte le conseguenze, gli scandali, i dietro front di decine di paesi, le testimonianze dei giovanissimi transgender pentiti o contrari al self-id trattenendo solo le follie dei dibattiti su pronomi, carriera alias e registro di genere?

A Milano arriva Trans live matter

«In una stagione politica in cui i pochissimi e fragili diritti delle persone transgender sono a rischio, abbiamo deciso di unire le forze e di chiamare la prima marcia trans milanese». Lo spiegano l’associazione per la cultura e l’etica transgenere e lo sportello trans di Ala Milano onlus, promotori della manifestazione che si terrà il 20 novembre, giornata internazionale per la memoria transgender. Parteciperanno Elena Buscemi (presidente consiglio comunale di Milano), Diana De Marchi (presidente commissione pari opportunità), Monica Romano (prima consigliera transgender eletta a Milano), Gianmarco Negri (primo sindaco transgender d’Italia) e Vladimir Luxuria (prima parlamentare transgender in Europa).

È stato invitato anche il sindaco Beppe Sala perché obiettivo dichiarato della marcia è dare «attuazione alla mozione approvata dal consiglio comunale lo scorso maggio che istituisce il registro di genere». Il primo in Italia a bypassare con un atto amministrativo ogni dibattito pubblico a tema, e, va da sé, a suscitarne uno volto a scardinare la legislazione nazionale: il “registro per il riconoscimento del genere di elezione” di Milano consente infatti alle «persone transgender, non binarie e gender-non-conforming» di «autodeterminarsi» e inserire il loro nome di elezione (non il “deadname” assegnato alla nascita) su tutti i documenti di pertinenza comunale, senza alcun bisogno di atti medici, perizie, sentenze, testimoni.

Carriera alias e diritti transgender

Ad invocare la “carriera alias a livello internazionale” sono anche i collettivi studenteschi che scenderanno in piazza il 18 novembre. L’ormai famigerato caso del liceo Cavour ha fatto scuola nonostante il Cavour figuri tra gli istituti che hanno già adottato la procedura spacciata come “strumento di tutela dei minori”: una sorta di profilo burocratico non previsto dalla legge né autorizzato dalle autorità competenti, che consente ai minori di far sostituire il proprio nome con un nome di elezione sui documenti scolastici e sui registri, senza necessità di allegare alla domanda documentazione medica o psicologica.

Che la parola diritti faccia ormai rima solo con “diritti transgender” a scopo commerciale ed editoriale è scontato in una “stagione politica” governata dagli oppositori del ddl Zan. Ciò che non dovrebbe essere affatto scontato, e ancor meno cancellato in barba alle norme in vigore sui cambiamenti di sesso, è invece cosa è accaduto laddove identità di genere, carriera alias e self-id sono diventati legge e propaganda. Breve ripasso.

Criminali e violenti approfittano del self-id

In Australia o Canada, diverse case rifugio per donne sono rimaste senza finanziamenti e costrette a chiudere perché si rifiutavano di accogliere uomini fatti e finiti che si dichiaravano donne. Nel New Jersey sono già state registrate violenze sessuali nelle carceri. In Canada, California e Scozia, in forza del “self-id”, o autodichiarazione di genere, che ha travasato decine di maschi nelle prigioni femminili, le detenute vivono nella paura.

Alle Canarie un criminale che ha ucciso la cugina a martellate ha approfittato dell’approvazione dell’autodichiarazione di genere per evitare le aggravanti, puntare alla riduzione della condanna e al trasferimento in un carcere femminile. In Spagna è stato ritirato un ordine di protezione a una donna vittima di un partner violento perché lui ha cambiato sesso sbarazzandosi delle aggravanti sulla violenza di genere. In Svizzera, dove dallo scorso anno bastano 10 minuti e 75 franchi per un cambio di sesso all’anagrafe, un uomo ha deciso di diventare donna per prendere la pensione un anno prima.

Le vittime dello squadrismo trans

Negli States l’attentatore della moschea del Minnesota Michael Hari che i giornali chiamano già “Emily Claire” ha chiesto ai giudici il riconoscimento della sua identità trans, il trasferimento in un carcere femminile e vuole anche una riduzione della pena a 30 anni invece dell’ergastolo. Episodi, sì, solo alcuni dei tanti che costringono costantemente il sistema giudiziario a scontrarsi con le più disparate, drammatiche e paradossali derive del civilissimo self-id.

Il tutto mentre dall’Irlanda al Winsconsin al Canada non si contano i casi di professori,  studenti e genitori inguaiati dall’uso dei pronomi, arrestati o sospesi perché colpevoli “deadnaming” e “misgendering”, o i casi di donne finite alla sbarra o alla porta, o addirittura minacciate di morte perché contrarie alla prevalenza dell’identità di genere sul sesso biologico a livello politico e sociale – dalla Finlandia (col caso Päivi Räsänen) alla Spagna (caso Carola López Moya), al Regno Unito (da Kathleen Stock a JK Rowling).

Chiudono le cliniche di genere, «Abbiamo fatto del male ai bambini»

Tuttavia è sulla pelle di bambini e adolescenti, esposti alla narrazione queer nelle scuole, sui social e influenzati delle celebrità, che la propaganda per l’approccio affirming a “tutela dei minori” ha trovato terreno di coltura e generato i più terribili scandali. Da quello che ha travolto il Karolinska Institutet in Svezia, che ha ammesso di aver danneggiato «irreparabilmente» la salute dei bambini, ai fatti terribili denunciati dagli stessi medici che hanno portato alla chiusura della Tavistock & Portman di Londra e con essa all’approccio affirming in tutto il Regno Unito, nonché all’influenza della narrazione pervasiva e pericolosa di associazioni transgendere come Mermaids («Mermaids dice sempre ai genitori che è una questione di vita o di morte. “Preferiresti un ragazzo vivo o una ragazza morta?”: la narrazione di Mermaids è ovunque»).

Ad abbandonare il trattamento farmacologico per minori “non conformi al genere” (da cui ha preso le distanze anche Lancet) oltre a Svezia e Uk, ci sono stati americani come Arkansas, Texas, Tennessee, e poi Australia, Finlandia. In Francia centinaia di intellettuali, medici, magistrati si sono scagliati contro il «furto dell’infanzia» e la «mercificazione del corpo» dei minori indottrinati alla transizione di genere.

Chloe e gli altri detransitioners vittime di medici “macellai”

In America, dove migliaia di pediatri (e gli stessi luminari della medicina transgender) si sono mobilitati contro i bloccanti della pubertà, sta facendo scalpore la causa intentata da Chloe Cole contro i medici («macellai») che l’hanno “trattata” – con ormoni e infine con una doppia mastectomia – dai 13 ai 17 anni. Chloe, la cui storia è se possibile ancora più drammatica di quella della detransitioner inglese Keira Bell, si è convinta di essere un maschio all’età di 11 anni, navigando online tra i post dei ragazzini queer e cool, e ha sofferto tutti gli effetti collaterali dei bloccanti della pubertà e del trattamento con testosterone denunciati in Svezia e Uk, dalla perdita permanente di fertilità, all’aumento del rischio di osteoporosi, fratture ossee e ideazione suicidaria.

Tutto col benestare disperato dei suoi genitori, messi alle strette dai professionisti che la seguivano con l’ormai noto ultimatum: «Preferireste avere una figlia morta o un figlio vivo?». Secondo i medici la disforia di Chloe poteva essere curata solo con la transizione, e senza transizione la ragazzina si sarebbe uccisa. Chloe oggi ha 18 anni e chiama «macellaio» chi le ha dato ascolto da bambina impedendole per sempre di avere figli: «A 15 anni non avevo la testa. Ero una bambina, cercavo solo di adattarmi, senza pensare alla possibilità di diventare genitore».

In Italia siamo fermi a dieci anni fa

Nonostante gli allarmi che provengono dai paesi più attrezzati sulle transizioni di genere, nonostante le testimonianze sempre più numerose di giovani detransitioners vittime del “contagio sociale”, in Italia non abbiamo dati sulla somministrazione della triptorelina ai minori raccomandata dall’Aifa e di un approccio che i medici continuano a promuovere come «totalmente reversibile». Proprio come si diceva dieci anni fa, in quei paesi che oggi hanno messo al bando tale approccio alla luce delle conseguenze sui ragazzi.

A Londra il Gender Recognition Act, ovvero la riforma chiedeva di ammettere il cosiddetto self-id o autocertificazione di genere, è stata archiviata senza alcun rimpianto anzi: secondo il sondaggio del Times trovava contrari il 94 per cento dei britannici. Ma nemmeno questo sembra importare ai promotori del registro di genere imposto alla cittadinanza o delle carriere alias nelle scuole, dove la “tutela dell’altro” si è ridotta a un nome fittizio da brandire sul tavolo di un funzionario dell’anagrafe, sulla cattedra di un professore o a mo’ di slogan in piazza per dirigere il paese, a grandi passi, un molto progressivamente aggiornato mare di guai.

Foto Ansa

Tags: clinica tavistockddl Zandetransitionerkeira bellLey TransLGBTQItransgender
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