Ragazzini sbagliano i pronomi, indagati per “molestie sessuali”. Ecco dove portano leggi e gender a scuola
«Uno stupro, mani addosso, aggressione, insomma che cosa ha fatto mio figlio?». Quando il 25 aprile scorso Rosemary Rabidoux ha ricevuto la telefonata del preside che le preannunciava l’arrivo di una e-mail che accusava suo figlio di molestie sessuali, è rimasta scioccata: Braden ha solo 13 anni, frequenta una scuola media, cosa poteva avere combinato? Ha usato i pronomi sbagliati rivolgendosi a un altro studente della Kiel Middle School, è stata la risposta del preside.
Pronomi sbagliati uguale molestie sessuali, «è uno scherzo?». Ma la signora Rabidoux ha capito che si trattava di una cosa molto seria appena ricevuti gli incartamenti: Braden, insieme ad altri due compagni, era stato accusato dai funzionari scolastici di aver violato il Titolo IX, la legge federale – colonna della giurisdizione egalitaria americana – che vieta la discriminazione su base sessuale nelle scuole che ricevono assistenza finanziaria dal governo.
Sbagliano i pronomi, indagati per “molestie sessuali”
Siamo in Winsconsin, è un giorno di marzo quando un amico di Braden si rivolge a uno studente “non binario” usando i pronomi “biologicamente corretti” invece dei “they” e “them” da lui rivendicati. Scoppia una rissa verbale, Braden interviene per difendere il diritto dell’amico a esprimersi liberamente. Nel giro di poche settimane la scuola lo accusa di “mispronouning”, un’accusa tutt’altro che simbolica: le famiglie dei tre studenti hanno dovuto ingaggiare gli avvocati del Wisconsin Institute for Law & Liberty per affrontare la faccenda.
Secondo il distretto l’utilizzo di “pronomi errati” costituisce infatti in automatico una molestia sessuale punibile ai sensi del Titolo IX. L’intervento è dovuto, spiegano gli esperti interrogati sulla questione, in quanto dal 2020 la sentenza della Corte Suprema sul caso Bostock vs Clayton County ritiene che la discriminazione basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere sia inscindibile da quella basata sul sesso. Secondo i legali dei ragazzi l’accusa è al contrario del tutto “inappropriata”: non solo l’uso di pronomi biologicamente corretti è protetto dal primo emendamento, ma non può ricadere nelle molestie sessuali definite dallo stesso Titolo IX in riferimento a stupri, aggressioni, violenze, stalking eccetera.
Non usa “they/them”, sospesa ragazzina
Certo, il dipartimento dell’educazione sta cercando di modificare il Titolo IX per inserirvi anche l’identità di genere, ma a leggere le carte dei legali c’è da preoccuparsi, e non solo perché la scuola sembra avere gonfiato il caso con dichiarazioni e riferimenti a eventi successivi l’”incidente” di marzo: l’intera classe di Braden si dice “frustrata” dall’attenzione a non sbagliare pronomi e giostrarsi tra singolari, plurali, e perfino lo studente non binario in questione non è esente dal dispensare insulti, battute, offese, prese in giro dei compagni. Una classe “nella norma”, non fosse per l’intromissione a gamba tesa degli adulti col pallino di risolvere l’educazione col dispositivo arcobaleno. «Stiamo seguendo un’altra famiglia la cui figlia è stata recentemente sospesa a scuola per “molestie sessuali”», scrivono i legali, citando il caso di una ragazzina sospesa con l’accusa di avere usato “un pronome sbagliato” riferendosi a un compagno in una conversazione con una terza persona, nemmeno davanti a lui. Inoltre «l’uso dei pronomi “they/them”, in particolare, è scomodo, grammaticalmente scorretto e, fino a tempi recenti, inaudito (…) e per quanto il distretto possa voler controllare quali pronomi usano gli studenti, non ha una licenza per agire come polizia del pensiero in classe».
Eppure l’introduzione di pene e provvedimenti per punire “deadnaming” e “misgendering” sta facendo scuola in America (qui il recente caso delle scuole di Fairfax, in Virginia), così come la convinzione che i ragazzi smettono di essere «figli di qualcun altro” appena si siedono al banco, «sono tuoi quando sei in classe” (e queste sono le esortazioni del presidente Biden agli insegnanti).
Il papà incarcerato in Canada, la polizia di Twitter
“Non succederà mai”: a chi preconizzava un futuro in cui un cittadino sarebbe stato incriminato se si fosse rifiutato di usare i pronomi di genere è stato dato dell’omofobo, transfobico, bigotto: e invece succede. È successo in Canada a un padre, Robert Hoogland: un caso di cui Tempi ha già scritto più volte iniziato proprio in una scuola, con le direttive Sogi (Sexual Orientation and Gender Identity) alle quali il ministero della Pubblica istruzione ha imposto agli istituti della British Columbia di adeguarsi, e finito con l’arresto e incarcerazione (con tanto di libertà su cauzione negata) dell’uomo per violazione della Bill C-16, la “legge Zan” canadese.
Succede nel Regno Unito, ostaggio di trans “menstruator”, “possessori di cervice”, dove una madre come Lynsey McCarthy-Calvert è costretta a dimettersi per aver lasciato intendere su Facebook che “solo le donne partoriscono”, e dove se usi i pronomi sbagliati su Twitter ti trovi in casa la polizia: accade a celebrità come lo sceneggiatore di sitcom Graham Linehan, accade a delle “signore nessuno” come Kate Scottow, entrambi colpevoli di transfobia per essersi riferiti a un attivista transgender come fosse un “lui”, chiamandolo con nomi usati prima della transizione a donna. Casi di “misgendering” e “deadnaming” si moltiplicano insieme agli interventi delle forze dell’ordine poiché, disciplinato da un atto del parlamento britannico, il reato di comunicazione malevola può essere segnalato da chiunque («è l’invio e l’intenzione del colpevole ad essere considerato un reato»).
Ecco dove porta il gender in atenei, carceri, sport
Succede nelle accademie, dove la censura arriva al parossismo mettendo fine alla carriera di docenti come Kathleen Stock, Selina Todd, Kate Newey, Rosa Freedman, Jo Phoenix, Chloë Houston, succede nell’editoria, come è successo a Suzanne Moore e soprattutto a J. K. Rowling, streghe femministe convinte che il sesso biologico esiste e colpevoli di proclamarlo. Succede, al di qua e al di là dell’oceano quando “identità di genere” fa irruzione in direttive, norme, regolamenti, leggi, codici penali.
E se abbiamo visto con quali risultati nelle carceri, o nelle spa, negli sport, o ancora a certe latitudini universitarie (non per nulla i grandi epurati di atenei e redazioni come Boghossian, Weiss, Stock e Ferguson «preoccupati per lo stato dell’educazione superiore» hanno dato vita in Texas alla University of Austin, contro la cancel culture e per «la ricerca intrepida della verità»), è nelle scuole che la politicizzazione del genere, assurta a policy su nomi, pronomi e via discorrendo sta moltiplicando pene e provvedimenti.
Il caso Cross e il ricatto del “cuore spezzato”
Ricordate i genitori che hanno sfilato con i cartelli “Protect Trans Kids” e “We Support Equity” scontrandosi con genitori con le magliette “Let Tanner Teach”? Il caso era quello del professore Tanner Cross, insegnante di educazione fisica in una scuola elementare pubblica di Leesburg, in Virginia, sollevato dall’incarico per avere espresso “preoccupazione” riguardo all’introduzione della politica “del pronome preferito” nel corso di un dibattito pubblico.
A portare Cross in tribunale tuttavia non erano state le sue opinioni, ma il ricatto del “cuore spezzato” dei “bambini transgender sconvolti”, “non li manderemo più a lezione” orchestrato da cinque famiglie della scuola spalleggiate dal Washington Post e lobby di pressione politica Lgbtq. Il ricatto morale è sempre lo stesso: dal carcere alla spa, dal luogo di lavoro allo sport, dall’università fino alla scuola di primo grado “se non ci date quello che chiediamo la gente morirà o si farà del male” (lo abbiamo letto anche sul Nyt, che senza bagni gender ci saranno morti, «ad oggi siamo sulla buona strada per superare il numero di persone trans e di genere non conforme uccise nel 2020»).
Arruolati e “incriminati” anche i ragazzini
Solo che dall’altra parte (urge ribadirlo il giorno seguente alle rinnovate articolesse sul “ddl Zan o morte” e sull’Italia omofoba, in coda perfino all’Ungheria in quanto a dotazione di leggi per punire non si capisce cosa non sia già punito dal codice penale) non ci sono le leggi Jim Crow, c’è il primo emendamento che non solo in Virginia assicura libertà di pensiero a un insegnante di educazione fisica e ad ogni studente che varca il cancello della scuola.
Non c’è il Ku Klux Klan, ci sono per esempio in Connecticut studentesse che rivendicano il diritto alla concorrenza leale nei campionati scolastici. Ci sono, in quanto al boom di ragazzini non binari e “trattati” come tali non solo con i pronomi, medici convinti in scienza e coscienza che le procedure di riassegnazione del sesso dei minori sono sbagliate e sono contrari alla somministrazione di bloccanti della pubertà. Ci sono scuole che a proposito di sesso credono nella biologia, e non nella percezione, ci sono insegnati che credono più alla Bibbia che al Nyt. Soprattutto ci sono ragazzini loro malgrado arruolati nelle battaglie senza alcuna misura degli adulti, ragazzini come Braden, 13 anni, accusato di molestie sessuali per avere utilizzato un pronome sbagliato.
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!