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Chloe, Helena e le altre, transgender pentite e influenzate dai social

«Avevo 11 anni e pochi amici. I queer su Instagram avevano un seguito incredibile». «La mia disforia è stata innescata online». «Non avevo mai avuto problemi con l'essere una ragazza prima». La disperazione dei detransitioners che non riavranno più il loro corpo

Caterina Giojelli
23/06/2022 - 6:20
Salute e bioetica
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Molte detransitioners raccontano di aver iniziato a mettere in discussione il genere influenzate dai coetanei sui social media
Molte detransitioners raccontano di aver iniziato a mettere in discussione il genere influenzate dai coetanei sui social media (foto Ansa)

A 12 anni Chloe ha deciso che era una transgender. A 13 anni lo ha detto ai suoi genitori. In capo a pochi mesi le sono stati somministrati i bloccanti della pubertà e prescritto il testosterone. A 15 anni si è sottoposta a una doppia mastectomia. Meno di un anno dopo, a soli 16 anni, ha capito con orrore di avere sbagliato tutto: «Ho letteralmente perso i miei organi».

«Non avevo problemi col mio genere prima di andare sui social»

Chloe è una detransitioner, una dei tantissimi teenager che dopo essere stati mutilati nel corpo da cure irreversibili chiedono oggi “perché mi avete lasciato fare questo?”. Questo: cioè curare con la transizione di genere qualunque disturbo, confusione, disagio, depressione, perfino la solitudine patita da ragazzini. Il New York Post ha raccolto alcune storie, come quella di Chloe Cole. Oggi ha 17 anni e vive in California: ne aveva 11 quando si è iscritta a Instagram ed è stata travolta dai contenuti e messaggi Lgbt, «vedevo che i transgender vantavano un numero incredibile di sostenitori online, e la quantità di elogi che ricevevano mi colpiva perché all’epoca non avevo molti amici». Helena Kerschner di anni oggi ne ha 23 e vive nell’Ohio. Ha iniziato a sentirsi una transgender a 14 anni, rapita da blog e post degli attivisti su Tumblr. «Stavo attraversando un periodo in cui ero molto isolata a scuola, così mi sono rivolta a Internet. La mia disforia è stata sicuramente innescata da questa comunità online. Non avevo mai pensato al mio genere o avuto problemi con l’essere una ragazza prima di andare su Tumblr».

Tra il 2009 e il 2019 il numero dei bambini sottoposti a trattamenti di genere nel Regno Unito è aumentato del 1.000 per cento tra i maschi e del 4.400 per cento tra le femmine. Negli Stati Uniti nel 2007 c’era una sola clinica dedicata, a Boston, oggi sono oltre mille, di cui 300 pediatriche, il numero di giovani e giovanissimi che si identificano come transgender è raddoppiato. E con le transizioni, gli scandali. Da quello che ha travolto il Karolinska Institutet in Svezia, che ha ammesso di aver danneggiato “irreparabilmente” la salute di dei bambini, ai fatti terribili avvenuti alla Tavistock & Portman di Londra denunciati dagli stessi medici e dal Times: «È in corso un esperimento di massa sui bambini, i più vulnerabili». Tra di loro, Keira Bell, la ragazzina che a soli 16 anni, nel giro di tre soli appuntamenti, si trovò ad assumere bloccanti della pubertà, poi iniezioni di testosterone e a vent’anni a subire una doppia mastectomia. Fino a realizzare che ad essere sbagliato non era il suo corpo.

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«In fondo volevo solo essere bella»

Mentre Bell iniziava la sua battaglia legale contro la Tavistock e l’approccio affirming dei medici, dall’altra parte dell’oceano Helena si sentiva a disagio: in quella comunità virtuale che era diventata per lei “casa” veniva data massima attenzione alla «giustizia sociale. C’era molta negatività sull’essere una ragazza bianca, eterosessuale e cis, e io ho preso la cosa molto, molto sul personale». Helena soffriva di depressione e non si piaceva, in quel contesto in fretta era giunta alla conclusione che ero «nata nel corpo sbagliato e che tutti i miei problemi nella vita sarebbero stati risolti se avessi fatto la transizione». Non è stato diverso per Chloe: «Il mio corpo non corrispondeva agli ideali di bellezza e ho iniziato a chiedermi cosa non andasse. Pensavo che se non ero abbastanza bella per essere una ragazza potevo essere un bel ragazzo. In fondo volevo solo essere bella». Chloe oggi si chiede perché trascinare i ragazzini come lei in percorsi medici irreversibili invece che alla scoperta di sé e ad essere aiutati con uno psicoterapeuta a «non odiare i nostri corpi».

Quello che dice Chloe lo sostiene anche David Bell, lo psichiatra e psicanalista inglese che ha scoperchiato il vaso di Pandora sull’abuso di terapie bloccanti la pubertà da parte del Gids (Gender Identity Development Service), il servizio di sviluppo dell’identità di genere della  Tavistock & Portman. Lo sostiene il collega Marcus Evans, dimessosi dalla Tavistock in polemica con quello che la clinica propinava come “trattamento reversibile” a minori con disturbi dello spettro autistico o disforici, nonché a genitori, già convinti da celebrità ed influencer che la transizione fosse cosa normale, facile e indolore. Molti professori si sono uniti ai medici per affrontare il tema della pericolosità dell’uso off-label dei farmaci, «un esperimento dal vivo non regolamentato sui bambini». Lo sostengono Marci Bowers, chirurga di fama mondiale (specialista in vaginoplastica, è stata lei a operare la star dei reality Jazz Jennings), ed Erica Anderson, psicologa clinica presso l’affollatissima Child and Adolescent Gender Clinic dell’Università della California a San Francisco, entrambe transgender, entrambe alle prese con migliaia di pazienti ed entrambe in prima linea a lanciare l’allarme contro l’uso dei bloccanti della pubertà e l’approccio “affirming” che sta travolgendo i minorenni.

«Preferireste avere un figlio morto o uno transgender?»

Lo sostiene Laura Edwards-Leeper, psicologa clinica infantile a Beaverton, Oregon, che lavora con adolescenti transgender e crede che essi vadano «assolutamente trattati in modo diverso» rispetto agli adulti, cioè passando per una seria e attenta indagine delle cause della disforia denunciata prima di osare trattamenti dai troppi effetti collaterali e incomprensibili ai bambini. Conseguenze – dall’osteoporosi al ricovero in psichiatria – che hanno decretato in Svezia lo stop alla somministrazione di ormoni: «Toppi i rischi di gravi lesioni». O come  il rischio di sterilità e la disfunzione sessuale denunciato da Bowers e Anderson una volta assunti bloccanti e ormoni incrociati. Helena si è accorta di aver sbagliato tutto in un letto d’ospedale, ricoverata in seguito al secondo grave episodio di autolesionismo, al culmine dell’enorme instabilità emotiva in cui l’aveva gettata il testosterone.

Edwards-Leeper e Anderson sono tra i tanti, troppi medici che pur lavorando alla riassegnazione del genere hanno denunciato la facilità con cui i terapeuti si stanno limitando ad affermare la nuova identità dei giovani spianando loro la strada a trattamenti ormonali e magari anche chirurgici, nonché a istruire i genitori su come “supportare” e trasferire socialmente la nuova identità dei figli che altrimenti potrebbero «porre fine» alla loro vita: «Il 41 per cento dei bambini non supportati si suicida», è stato detto da uno di questi ai genitori della giovanissima Patricia, «preferireste avere un figlio morto o uno trans?». Una domanda inammissibile: secondo un recentissimo studio dell’Heritage Foundation la somministrazione bloccanti della pubertà non previene i suicidi. Al contrario, il tasso dei suicidi aumenta laddove si è facilitato l’accesso a bloccanti e ormoni incrociati ai minori anche senza il consenso dei genitori.

«Non posso permettere che succeda ad altri ragazzi»

Eppure è proprio la paura che il proprio figlio possa arrivare a farsi del male, l’incapacità di valutarlo o stare davanti al suo disagio che porta molte madri e padri a dare il consenso ai trattamenti chirurgici e alla terapia ormonale su raccomandazione degli “esperti”. Secondo la World Professional Association for Transgender Health i bloccanti della pubertà vengono comunemente somministrati al primo segno di sviluppo a bambini di appena 9 anni. Le iniezioni di testosterone ed estrogeni vengono spesso prescritte all’età di 13 o 14 anni. E a volte vengono eseguiti interventi chirurgici seri come la mastectomia su bambini di appena 13 anni.

Helena ha raccontato al Nyp che tutto ciò che è ha dovuto fare per ottenere una prescrizione di testosterone è stato entrare in una clinica di Planned Parenthood quando aveva 18 anni. Non ha mai visto un medico, per quattro volte la dose “iniziale” le è stata somministrata da una infermiera. Chloe ha fatto tutto invece, dall’assunzione dei bloccanti alla mastectomia, con l’aiuto e il consenso di mamma e papà. Solo un endocrinologo ha provato a metterle i bastoni tra le ruote, quando aveva 13 anni, rifiutandosi di prescriverle il testosterone, ma alla sua famiglia è bastato cambiare medico per ottenere la ricetta. La dottoressa Lisa Littman, ex docente di Scienze comportamentali e sociali alla Brown University, ha coniato un termine per le ragazze come Helena: “Disforia di genere a esordio rapido”. Ragazze, cioè femmine biologiche che durante o poco dopo la pubertà si sentono disforiche soprattutto grazie all’influenza dei coetanei sui social media. Giovani al traino di qualcosa di molto pericoloso e da cui non potranno tornare indietro. «Voglio che la mia voce sia ascoltata», ha detto Chloe. «Non voglio che la storia si ripeta. Non posso permettere che quanto accaduto a me succeda ad altri ragazzi».

Tags: Ideologia GenderLGBTQIStati Unititransgender
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